Falsi miti celtici e paura della musica

Tanto quanto la conoscenza della storia è basilare per comprendere i brani musicali, così la musica può essere un elemento fondamentale per la comprensione della storia.

Massima espansione celtica in Europa : il loro dominio arrivava dall’Oceano Atlantico al Mar Nero.

I Celti quando arrivarono tra il VII° e il VI° secolo prima di Cristo, si suppone dal nord dell’Eurasia, occuparono subito un territorio vastissimo, la gran parte dell’Europa centrale ed occidentale. Quelle che oggi sono diventate Repubblica Ceca, Slovacchia, Germania, Austria, Belgio, Svizzera e nord-est della Francia.

Successivamente, nel II° secolo, conquistarono anche il resto della Francia, il nord e l’ovest della Spagna, Portogallo, parte dell’Italia settentrionale, Gran Bretagna, Irlanda e una porzione di Balcani.

I Falsi miti sui Celti

Anche se credevano nella vita dopo la morte non furono loro ad erigere i misteriosi megaliti che sempre vengono attribuiti all’immaginario celtico e che si suppongono legati al mondo dei defunti. Semplicemente utilizzarono questi enigmatici e talvolta enormi simboli di pietra, che trovarono già conficcati per terra da chissà chi e chissà come e perché[1].

Questo sarebbe un primo mito da sfatare.

Normalmente si fa riferimento e si sente dialogare di “musica celtica” ma nessuno può dire che forma avesse o a cosa potessero assomigliare realmente i suoni degli antichi Celti[2]. Questo è un secondo mito da sfatare. Può darsi che inizialmente utilizzassero la musicalità delle parole per meglio memorizzarle visto che la trasmissione druidica era unicamente in forma orale. Ma è una mera supposizione. Dei loro originali strumenti musicali, a fiato per uso guerriero e a corde al servizio della poetica, non esiste alcuna prova certa[3].

Un terzo mito da sfatare è che abbiano inventato la cornamusa come si potrebbe superficialmente supporre dai contesti nei quali la si ascolta in epoca recente. Questo strumento non appartiene affatto al mondo celtico ma è nato sulle rive del Mediterraneo, per poi essere portato nel resto d’Europa da quelli che furono i becchini della Civiltà Celtica, ovvero i Romani. Il suo sviluppo nei Paesi Celtici fu straordinario, ciascuno di loro possiede cornamuse con peculiarità proprie[4].

La Cornamusa del Northumberland (nord-est dell’Inghilterra), alimentata da un soffietto sotto il braccio e non dalla bocca e che non emette suoni quando le dita chiudono tutti i fori, ha trasceso i secoli. E’ uno strumento amatissimo dai suoi suonatori, dalle variazioni evocative potenti, quasi si trattasse di una versione folk della musica di Mozart. In Scozia la celebre musica classica per cornamusa, denominata “piobaireachd” è nella maggior parte dei casi più ben più antica degli avvenimenti ai quali la tradizione la associa comunemente. Fin dagli anni cinquanta del secolo passato le cornamuse, sono uscite un po’ ovunque dai contesti chiusi dei riti tradizionali contadini e montanari. Anche qui in Italia zampogne di ogni specie sono entrate nella musica popolare moderna e oggi ci sono generi musicali che non possono più farne a meno.

La conquista dei soldati delle legioni dell’Impero Romano durò oltre un secolo e distrusse fino la più importante scuola druidica nel nord del Galles, risparmiando fortunatamente le regioni più remote: le Highlands (A’ Ghàidhealtachd – “La Terra Dei Gaeli”, quella che oggi gli Scozzesi nella loro lingua chiamano The Hielands ovvero “Gli Altipiani”)[5], le isole dell’ovest e la terra d’Irlanda[6].

Il paesaggio celtico che conosciamo attualmente è quello tramandato dall’era medioevale del V° e VI° secolo quando l’Impero Romano decadrà e numerose genti della Cornovaglia, del Galles e del sud-ovest della Gran Bretagna, invase dalle popolazioni germaniche, si sposteranno in una terra armoricana a quel tempo quasi inabitata[7]. E’ a loro che la Bretagna deve il suo nome attuale, in precedenza era chiamata Llydaw (dal gallese “penisola”) e fors’anche la sua lingua che deriva dal cornico più che dal gallico. Potrebbe essere questo un quarto mito da sfatare.

Arpe e Cornamuse

Gli Irlandesi intanto in quel periodo storico non subivano minacce di conquista e potevano imporre la propria lingua all’Isola di Man e al nord-ovest della Scozia. Comunque quando arriveranno gli invasori scandinavi saranno proprio loro ad adottare, poco a poco, lingua e cultura gaelica, le popolazioni vichinghe sposarono quelle irlandesi e scozzesi. Questi norvegesi-gaeli (iberno-scandinavi) finirono col perdere sempre più la connotazione norrena tranne per alcuni toponimi, cognomi scozzesi molto comuni conservano infatti ancora quelle lontane radici: MacDonald, MacDougall, MacLeod. Saranno piuttosto gli Inglesi a stravolgere le società celtiche distruggendone la struttura in clan e anche per bardi e musicisti la vita diventerà dura, costretti a diventare artisti itineranti[8].

Bardo e Musico nel Medioevo

La musica tradizionale spostandosi dalle corti alle campagne prenderà di conseguenza a ritmare altri riti quotidiani di lavoro e di divertimento raccontando le storie relative a quelle vite. In Irlanda diventeranno popolari nuovi strumenti come violino, flauto, uilleann pipe. L’arpa lentamente inizierà a sparire rimanendo a brillare solo nel cielo dell’immaginario irlandese, brillò talmente però da divenire e da rimanere il simbolo stesso del Paese.

In Scozia, dal canto suo, da metà XIX° secolo, gli ufficiali pensarono fosse buona idea conservare le cornamuse negli eserciti e anzi le potenziarono affiancando loro i tamburi inglesi. Nacquero in questo modo le orchestre militari (pipe bands), dotate di un loro specifico repertorio musicale composto per le occasioni.

Cristianesimo & monachesimo celtico

San Patrizio sconfigge l’antica religione in Irlanda

Un altro grande sconvolgimento per le popolazioni celte era avvenuto nel Medioevo al giungere del Cristianesimo quando il futuro San Patrizio sbarcò in Irlanda verso il 432. La conversione alla nuova fede non creava traumi nell’immaginario popolare coesistendo al fianco dell’antico paganesimo, molti Celti sposarono la causa della nuova religione perché si completava con la filosofia dei druidi, rispettava le scuole bardiche ed evitava spargimenti di sangue. Parecchi di loro si fecero anzi missionari, presero le loro arpe e partirono per Galles, Scozia e Bretagna e anche oltre, giungendo fino al sud dell’Europa e iniziando tra l’altro quello che poi diverrà il famoso pellegrinaggio del Cammino di Santiago di Compostela, in Galizia .

Columba di Iona (Colum Cille, in gaelico-irlandese) uno dei massimi monaci irlandesi che introdussero il cristianesimo in Scozia è oggi, con San Patrizio e Santa Brigida, uno dei patroni d’Irlanda. Proveniva dalla famiglia reale degli O’Neill dell’Uster ed era stato educato alle scuole bardiche, nel VI° secolo si esiliò sull’Isola di Iona nelle Ebridi, fondando un’Abbazia che diverrà il centro del cristianesimo celtico. La musica che veniva creata in quel luogo è stata ritrovata in un inedito manoscritto del XIII° secolo oggi chiamato “Antifonario di Inchcolm”. Venne rinvenuto nell’Abbazia omonima nell’estuario di Forth, che nel frattempo aveva preso il posto di quella originale di Iona, dovrebbe essere databile tra il VII°/IX° secolo e contiene testi mettono in evidenza allitterazioni, consonanze e rime interne e finali sia in latino che in gaelico.

Quei primi monaci erano dei “fili”, ovvero poeti eruditi della classe druidica, trascrittori della più antica tradizione orale irlandese.[9]

“Skellig”(dal cd The Book of Secrets di Loreena McKennitt) e i tempi del primo monachesimo quando uomini asceti e mistici si ritiravano dal mondo per vivere in luoghi isolati e impervi

La Chiesa celtica conserverà a lungo, nell’Europa medioevale, la propria identità nonostante l’egemonia romana, gli anacoreti ricercavano soprattutto una relazione intima tra il divino e la natura ed esprimevano in questi testi tutta la loro preoccupazione nei confronti della pretesa sottomissione.

L’Antifonario precedeva i salmi e rappresentò uno spazio di libertà all’interno della liturgia nel quale poteva continuare ad esprimersi la tradizione locale (non va dimenticato, ad esempio, che l’idea di un inferno eterno è estranea al pensiero dei Celti) e contiene numerosi elementi originali della poesia gaelica eroica a dimostrazione delle resistenze davanti al costante processo di deculturazione. Sembra anche che l’arpa accompagnasse la liturgia dei monaci e il periodo di composizione di questi canti è corrispondente alla datazione delle più antiche sculture europee in pietra che ritraggono questo strumento[8.1].

I veti della Chiesa sugli strumenti musicali del diavolo

Nel Medioevo, musicalmente parlando, non mancarono comunque gli atteggiamenti ambigui nel mondo celtico.

In Bretagna, nonostante la sottomissione alle regole di Roma sia datata IX° secolo, quindi ben dopo l’Irlanda di Iona, i preti proibivano di suonare la cornamusa nei dintorni delle chiese considerandola strumento diabolico. E’ documentato che arrivarono perfino a scomunicare alcuni suonatori e questo durò in alcuni casi fino alla seconda Guerra Mondiale. A testimoniare l’influenza religiosa sulla popolazione bretone furono adottati anche santi dai nomi biblici che altrove giunsero per tramite degli Ebrei ma che qui furono cristianizzati.

Ancora oggi s’incontrano facilmente in Bretagna persone con nomi quali Isacco (Izac, Nizac), Mosè (Moysan, Moisan, Moizan), Noè (Nohé), Matteo (Mahé), che qui ha la particolarità di venire utilizzato sia al maschile che al femminile. Salomon è uno dei cognomi più diffusi, soprattutto nella sua variante Salaün. San Salomone fu anche un re bretone durante il IX° secolo, nipote del glorioso Nominoë, sovrano che regnò pacificamente (probabilmente dal 854 al 874) e attualmente viene onorato come martire nella Diocesi di Vannes, dove si celebra la sua festa ogni 25 giugno. Il nome del profeta Elia ha dato invece origine a Ely, Elias, Hélias mentre Daniel (con i suoi diminutivi Daniélo, Daniélou) è reso popolare da un santo gallese del VI° secolo.

Nonostante la musica sia eredità preistorica per l’essere umano, nella Francia della rivolta dei Bonnets Rouges (1675) Luigi XIV prometteva un viaggio all’inferno a chiunque suonasse un biniou, ma poi toccò anche ai musicisti di accordéon, soprannominato “boîte du diable” (scatola del diavolo). Approfittando della credulità popolare il diavolo veniva spacciato per abilissimo suonatore di violino, cosicché diventava facile assimilare i più valenti musicisti alla sua ispirazione. In realtà a spaventare il potere dell’epoca era ben altra cosa: gli strumenti inducevano alla danza le cui movenze portavano ad una serie di allusioni erotiche dei corpi. Era l’incontro tra i sessi il reale obiettivo della morale religiosa.

Anche in Scozia la chiesa protestante arrivò a bruciare violini e cornamuse e questa condanna degli strumenti porterà la gente ad ingegnarsi ed inventare le canzoni tradizionali “puirt-a-beul” (melodie dalla bocca). La stessa cosa condurrà in Irlanda alla nascita delle corrispondenti “portaireacht”. Così potevano lo stesso, impostando i testi gaelici sulle melodie, accompagnare le danze anche in assenza di strumenti e contemporaneamente in modo astuto riuscire a tramandare oralmente le melodie.
Nel Léon bretone e ancor più in Galles questo ostracismo nei riguardi degli strumenti musicali fu all’origine della nascita delle corali.

Purtroppo in seguito la storia dice che anche altri, come i nazisti dopo il 1933, tenteranno di distruggere quelle che consideravano abominevolmente “espressioni culturali degenerate” delle loro vittime ebree e zingare.
In epoca più recente un pianoforte a coda sfasciato è diventato uno dei simboli della riconquista del potere dei talebani che anche ultimamente hanno devastato gli strumenti della prima e unica orchestra femminile afgana. Già in precedenza, tra il 1996 e il 2001, vigeva un divieto per legge che rendeva, tristemente, l’Afghanistan un paese senza suoni.

Capercaille live The Tree; già registrato nell’album “Dusk Till Dawn” (1998) e in “Beautiful Wasteland” (1998)

Crathadh d’aodaich è una “mouth music song” dalle Isole Ebridi cantata da Karen Matheson sull’aria di un reel, le parole non hanno molto senso, sono delle frasi ripetute in cui una ragazza attende il ritorno del suo fidanzato. 

La fonofobia, si sa, non è mai un problema di udito! La musica è strumento di straordinarie capacità comunicative per la ricerca e la collocazione degli avvenimenti storici. In tutto il Regno Unito da molti decenni quella tradizionale fa parte delle politiche di istruzione già dalle scuole elementari, canzoni conosciute e amate nei dischi quali Sir Patrick Spens si trovano sfogliando le antologie dei ragazzi, in qualche occasione perfino nell’originale scrittura in dialetto scozzese.

Il Folk Revival

Com’è noto, gli archivi di canti tradizionali[10] furono creati grazie a Alan Lomax, Cecil Sharp, Lucy Broadwood e compositori quali Ralph Vaughan Williams o Percy Grainger che, a inizio ‘900, percorsero le campagne per annotare e registrare quante più canzoni folk potevano da contadine e contadini. Probabilmente nel fondato timore che l’industrializzazione avrebbe trascinato nell’oblìo se non cancellato definitivamente questi patrimoni di cultura popolare. Certo, il diffondersi del folk fu in gran parte opera dalla conservatrice EFDSS (English Folk Dance and Song Society) che sosteneva fin dagli anni trenta l’idea sociale e morale borghese di una musica tradizionale unicamente ancorata al passato. I fondi statali da cui attingeva furono comunque utilizzati in seguito anche dalla WMA (Workers’ Music Association) di sinistra che, con la pubblicazione nel 1948 del Pocket Song Book, difese e diffuse i canti pacifisti, quelli operai e di lotta sindacale. Quando a metà degli anni cinquanta Ewan MacColl e Bert Lloyd fondarono il loro club “Ballad and Blues” a Soho, amavano e volevano preservare il folk a tal punto da obbligare chi si esibiva a proporre solamente quel repertorio. Un decennio dopo, in un periodo in cui furoreggiavano pop e rock’n’roll, quelle antiche ballate allegoriche sono passate da dinosauro del passato ad iniziatrici della rinascita del folk, diventando guida musicale e ispirazione profonda per tutto un movimento musicale. E questo succederà in molti Paesi Europei per motivi culturali ma anche economici e addirittura, in taluni casi, patriottici.

Il realismo spesso cruento delle righe dei traditionals è specchio della loro capacità di raccontare legami autentici con le comunità. Possono anche essere considerate storie fantasiose o suggestioni dovute alla superstizione ma inoltrandosi nei Monts d’Arrée nella Bretagna nord-occidentale oppure nel sud-est scozzese, si incontrano ancor oggi contadini vestiti come si confà che le cantano a cappella davanti a un bicchiere di sidro o di whisky. Ballate intrise di crudeltà d’ogni tipo, fantasmi e misteri, battaglie e naufragi, rituali, tradimenti ed unioni. Gente capace di spiegare con convinta precisione e talvolta dovizia di particolari dove si svolgono le scene rappresentate nelle canzoni o quali sono i luoghi assolutamente da evitare per non correre rischi di fare brutti incontri se non peggio.

Non sono solo canzonette

La musica folk ha continuato ad esprimere, all’interno delle società di epoche diverse, aspetti ideologici, come la rappresentazione dei conflitti al loro interno, ma ha saputo anche offrirsi a profonde riflessioni su differenti processi sociali. Le canzoni sono prodotte da tempi e luoghi ma ne trovano poi altri a seconda dei contesti dove giungeranno ad essere conosciute ed ascoltate. Potranno delineare caratteristiche di identità o di società assai differenti da quella di origine. Sono state immediato ed incisivo linguaggio attraverso cui giovani dagli anni cinquanta del secolo passato, hanno tracciato e manifestato identità collettive, idee, stili di vita in rottura con le generazioni precedenti. Attraverso l’appropriazione emotiva si sono fatte colonna sonora della loro esistenza in grado di rimanere indelebile nelle menti al di là del tempo che passava. La storia dell’umanità recente e non solo, è leggibile attraverso questa specie di finestra sul passato che sono le canzoni.

Per il mercato si tratta di prodotti ma per molti sono tesori di conoscenze, prospettive, identificazioni e suggestioni che vanno a formare una memoria culturale comune. Risultando per molti adolescenti più formative della scuola e più democratiche, avendo dato voce anche a chi non ne aveva, e stimolando cambiamenti sociali. Hanno messo in luce diseguaglianze e soprusi nelle comunità, con la loro oralità hanno aggregato gente, offerto solidarietà, condivisione, confortato solitudini e debolezze.

L’onda celtica

La musica popolare è rinata in Scozia nel XVIII° secolo, un attimo prima che i coloni inglesi giunti nelle Americhe non ne potessero più d’essere pesantemente tassati dal Parlamento britannico e iniziassero la Rivoluzione Americana e poco prima che in Europa gli elementi del pensiero illuminista culminassero in quella Francese.

Fu un insegnante di nome James Macpherson a pubblicare verso il 1760 una raccolta basata su “frammenti di poesia antica raccolti sulle montagne” che egli attribuì a Ossian, il bardo figlio di guerriero[11]. Questa pubblicazione farà nascere una moda che infiammerà una specie di febbre celtica in Europa, animando un’ondata romantica e risveglio delle nazionalità.

Oran an Fheidh la melodia è stata abbinata ad un testo in gaelico scozzese all’epoca delle “Highland clearances” (1750 -1880) con il titolo “Ó mo dhùthaich

Il bretone visconte François-René de Chateaubriand, uomo politico, diplomatico e fondatore del Romanticismo, si dimostrò particolarmente entusiasta delle poesie di Ossian. Peccato che quello che veniva presentato da Macpherson come un lavoro di raccolta etno-musicologica, in realtà altro non fosse che una collezione di poesie…di sua invenzione!

Ma il fervore di Chateaubriand venne accolto, l’altro visconte Théodore Hersart de La Villemarqué ammise che senza di lui non sarebbe esistito neppure il suo Barzaz Breiz[12], la celebre raccolta di canzoni originali armoricane pubblicata nel 1839, che servì a far conoscere in tutta Europa la cultura e la musica bretoni. Se escludiamo gli inni religiosi infatti fino a quel momento erano note solo le leggende a cui si ispiravano famosi romanzi medievali e, tra l’altro, solamente in lingua francese. L’autore aveva ventiquattro anni quando pubblicò questi cinquantaquattro canti (gwerz, sone e kanaouen) di cui i più antichi raccolti paiono risalire al Medioevo. George Sand li definì “diamanti”. Canti pieni di crudeltà, allusioni e simboli a immagine degli istinti, paure e desideri umani, di avventure storiche, sociali, religiose, di calamità e lotte con la natura. Questi seducenti testi leggendari riflettono la filosofia di una Grande Storia umana, trasformano l’oggettivo in soggettivo, quasi sembra di udirle uscire dalle sue righe, le grida, i singhiozzi, le risa.

In Irlanda sarà il diciannovenne Edward Bunting[13] il pioniere che raccoglierà i ricordi degli ultimi arpisti verso la fine del XVIII° secolo. Poi altri seguiranno, in particolare va ricordata nel 1873 la pubblicazione della raccolta “Ancient Irish Music”. Ma la musica tradizionale a Dublino e nelle altre città d’Irlanda tutta fino all’inizio anni settanta del secolo scorso veniva più che altro considerata a decoro dei pubs. Semplicemente parte della convivialità, nonostante nelle zone rurali accompagnasse da sempre le diverse occupazioni quotidiane nelle zone rurali, alleviando stanchezze di lavoro e, con le sue ninnenanne, addormentasse i piccoli.

La chiesa proibiva con ostinazione l’antica musica rituale associandola all’idolatria. Proprio quindi il contrario dei pagani che credendo la musica gli fosse stata data in dono dagli dèi, erano convinti di far loro piacere, suonandola. Sostenevano inoltre di servirsene in maniera del tutto naturale per comunicare con i propri antenati defunti, pur senza conoscere che lo aveva fatto con la sua musica anche Orfeo nel richiamare dagli inferi lo spirito della moglie.

Anche se non è indispensabile per sopravvivere, non si mangia e non la si respira, nessuno può dire quale sia veramente il suo scopo preciso nella vita, non si riesce proprio a fare a meno della musica. Lo scienziato cognitivo ebreo-canadese Steven Pinker sostiene addirittura che psicologicamente piaccia tanto a tutti proprio perché non serve a niente.


[Note di Cattia Salto]

Un testo fondamentale sulla civiltà celtica dal punto di vista degli studi archeologici è ancora il libro I Celti scritto in occasione della mostra a Venezia nel lontano 1991
Sulla mitologia celtica c’è un ottimo sito web (dedicato a vari miti e leggende) https://bifrost.it/Miti/Celti.html
con una ricca bibliografia (spesso libri in inglese/francese e non sempre tradotti in italiano) per ogni approfondimento culturale https://bifrost.it/CELTI/Bibliografia/Bibliografia.html
Nel web si trova molta “fuffa” sul mondo celtico e la sua cultura, le affermazioni ripetute da molti non sono necessariamente veritiere o fondate

[1] Quella che è stata definita la cultura megalitica (della Grande pietra) dell’Europa è esistita dal 5000 al 1000 ac (tardo Neolitico e prima Età del Bronzo). Sebbene sia ancora un mistero non ancora compreso dagli studi archeologici l’architettura del neolitico presuppone ragionevolmente l’esistenza di viaggiatori (non giunti dallo spazio ma dal mare) che si prodigarono a diffondere tra le comunità di raccoglitori-cacciatori le pratiche agronomiche e le conoscenze di una civiltà andata semidistrutta a causa di un evento catastrofico https://ontanomagico.altervista.org/megalitismo.html
Sulle civiltà proto-celtiche si veda https://www.worldhistory.org/trans/it/1-10978/cultura-di-hallstatt/
sulla cultura di La Tène invece https://www.worldhistory.org/trans/it/1-10981/cultura-di-la-tene/

[2] In Terre Celtiche Blog non ci si stanca mai di ribadire che la musica degli antichi celti non è la musica celtica come s’intende ai nostri giorni.

[3] In particolare in riferimento ai ritrovamenti archeologici degli antichi strumenti musicali, le fonti ci appaiono così scarse e lacunose, con scarsi ritrovamenti nei paesi di area celtica databili a partire dal VII sec a.C. e un grosso “buco” dal V sec d.C. fino per l’appunto ai primi secoli della nuova era, concomitanti con l’espansione dell’impero romano verso le terre del Nord! Così alcuni studiosi ipotizzano un influsso mediterraneo (ovvero marcatamente greco-romano) sulla musica dei Celti https://ontanomagico.altervista.org/strumenti-antichi-celti.html

[4] La cornamusa è uno strumento antichissimo: musa, piva, zampogna, baghèt sono i vari nomi con cui viene chiamato nelle varie parti d’Italia, ogni nome indica uno strumento particolare, con caratteristiche costruttive e sonorità proprie. Anticamente questo strumento era lo strumento del popolo per eccellenza, accompagnava i momenti lieti e tristi della comunità agro-pastorale, inoltre annovera una vasta tradizione musicale sia sacra che profana, ben documentata fin dal Medioevo. https://ontanomagico.altervista.org/piva.html

[5] Il Nord della Scozia è separato anche fisicamente da due grandi massicci quali le Grampians Mountains e il Glen More nan Albin. Le Highlands e le isole hanno conservato la cultura gaelica per secoli e ancora oggi uno stile di vita più antico sopravvive nella quotidianità degli scozzesi: l’orgoglio di appartenenza al clan (molti scozzesi vivono ancora su terre che per tradizione appartenevano ai loro avi), l’uso del gaelico, la musica, le danze e le gare di forza che si rinnovano nei numerosi Raduni annuali. https://terreceltiche.altervista.org/nazioni-celtiche-affini/terra-di-scozia-nelle-sue-canzoni/

[6] Il territorio dell’Irlanda si è storicamente diviso in base alle etnie prevalenti: semplificando per approssimazione si può affermare che troviamo a OVEST gli Irlandesi, a EST gli anglo-normanni, a NORD gli immigrati inglesi e gli scozzesi presbiteriani (molti dei quali provenienti dal Border). Possiamo anche osservare che il Nord dell’Isola ha cercato da sempre di assumere un ruolo dominante, emblematico il mitico scontro tra le due regioni antiche più settentrionali: l’Ulster e il Connacht, simboleggiato dal combattimento di due tori, il bruno dell’Ulster e quello dalle corna bianche del Connacht. Il sangue dei due animali bagnò tutta l’isola e anche il vincitore della lotta morì per lo sforzo. La maledizione si è abbattuta sull’Irlanda per i secoli a venire.
https://terreceltiche.altervista.org/la-terra-dirlanda-nelle-sue-canzoni/

[7] Già terra gallica conquistata dai Romani ai tempi di Cesare, prende il suo nome Bretagna (piccola Britannia, Brittany in inglese con quella y finale nel nome per differenziarla dalla Grande) dai Celti isolani. Nel V secolo sotto le spinte degli invasori anglo-sassoni, alcuni Celti della Gran Bretagna si rifugiarono in una piccola terra sul continente proprio al di là del Mare Celtico. https://terreceltiche.altervista.org/nazioni-celtiche-affini/bretagna/

[8] Nell’età del Ferro il Bardo era partecipe del sacro all’interno dell’ordine sacerdotale, un druido-poeta. Nel Medioevo con il diffondersi del Cristianesimo anche in Irlanda l’ordine druidico scomparve, e i Bardi diventarono poeti di professione alle dipendenze dell’aristocrazia. Tenuti in grande onore e ancora ricchi di privilegi, iniziarono una lenta decadenza di pari passo con la perdita di potere dei loro mecenati di stirpe celtica. Diventato musicista errante il Bardo irlandese si avvicina al popolo e lo esorta alla rivolta, difendendo i costumi e le tradizioni celtiche. E così la poesia e la musica bardica crebbero insieme alle modalità e ai suoni della gente comune.
https://terreceltiche.altervista.org/i-bardi-delle-terre-celtiche/
https://ontanomagico.altervista.org/bardi.html
[8.1] Sebbene nel nostro immaginario l’arpa celtica sia considerata lo strumento per eccellenza dell’antico bardo, le prime testimonianze iconografiche dello strumento risalgono al IV sec Dopo Cristo e perciò quasi alle soglie del Medioevo, i primi bardi suonavano l’antenata dell’arpa ossia la lyra, uno strumento diffuso presso la cultura greca ai tempi di Omero. L’arpa bardica è quella messa a punto proprio nel Medioevo
https://ontanomagico.altervista.org/arpa-celtica.html

[9] Molti studiosi sono concordi nello sminuire l’azione evangelizzatrice del Santo, il quale non sconfisse affatto i Druidi e le credenze indigene, poichè il processo di cristianizzazione fu molto lungo e non si compì che fino al XIV secolo. Fu appunto in epoca medievale che l’agiografia si piccò nel voler dimostrare le sua gesta eroiche, il quale da solo, con la sola forza della sua fede, sconfisse i Druidi. In realtà la figura di San Patrizio e la sua festa nel 1700 sono frutto orgogliosa rivendicazione d’irlandesità (religiosa ed etnica) contro l’oppressione inglese.
https://terreceltiche.altervista.org/st-patrick-gentleman/
https://ontanomagico.altervista.org/cristianesimo-celtico.html

[10] https://terreceltiche.altervista.org/ballad/
https://terreceltiche.altervista.org/balladry-anglo-scozzese/#1

[11] Ossian è un bardo leggendario dell’antica Scozia o Irlanda, paragonato ad Omero e a Shakespeare, grazie al presunto ritrovamento dei suoi poemi in Scozia. Le sue leggende si rincorrono in Irlanda, Isola di Man e Scozia, ma la sua popolarità crebbe solo nella metà del 1700 quando James MacPherson scrisse “I Canti di Ossian” affermando di aver ritrovato suoi manoscritti e frammenti nelle Highlands scozzesi, tra i quali un poema epico su Fingal, il padre, che disse di aver “semplicemente” tradotto, in realtà inventando di sana pianta: la moda ossianica divampò per tutta Europa dando vita al Romanticismo. L’intero ciclo presenta molte analogie con il ciclo britannico di re Artù e molto probabilmente le leggende di Finn e di Artù derivano entrambe dalla comune tradizione celtica insulare di una confraternita di cacciatori-guerrieri guidati da un formidabile capo che difendeva il reame contro le incursioni provenienti dall’esterno.
https://terreceltiche.altervista.org/ossians-lament/

[12] scrive Giorgio Gregori “Il Barzaz Breiz (o Barzhaz, o Barsaz) che si può tradurre “Ballate di Bretagna” è considerato come la “Bibbia” delle canzoni e delle tradizioni bretoni. Si tratta di una raccolta di canzoni popolari pubblicata nel 1839 da Theodore Hersart de La Villemarqué, il quale asseriva di essere di lingua madre bretone e di avere appreso oralmente canti e storie. Questo testo fu estremamente influente, perché esaltava la tradizionale lotta dei bretoni contro l’oppressione dei regnanti francesi, rianimandone l’orgoglio, la lingua, le tradizioni.
Quest’opera è fondamentale per comprendere le relazioni contraddittorie della Francia con le sue origini galliche e il celtismo, e per comprendere in parte i fondamenti ideologici del movimento nazionalista bretone. Con le varie edizioni vennero inseriti man mano nuovi brani e quella del 1883 arrivò a contenere ben 690 pagine, di cui 100 come introduzione. Nella prima edizione i testi erano in bretone, con traduzione francese a fronte e note dettagliate per ciascun brano . Poi saranno in francese, con il bretone a piè di pagina. A differenza della quasi totalità dei volumi dell’epoca, che riportavano solo i testi, in coda al libro troviamo anche una cinquantina di pagine di spartiti: possiamo considerarlo la prima pubblicazione di musica popolare bretone.
https://terreceltiche.altervista.org/la-serie-dei-numeri-parte-1-tra-branduardi-e-la-villemarque/

[13] L’ordine bardico irlandese si “estingue” nel XVIII° sec e già da subito qualche filantropo si ingegnò ad organizzare degli incontri (concorsi, balli, festivals) per trascrivere le melodie e conservare per i secoli futuri una vivida testimonianza dell’eredità dei Bardi. Il primo di questi incontri si tenne a Belfast nel 1792 nel mese di luglio, a cui si presentarono solo una decina di arpisti. Edward Bunting venne incaricato di trascrivere i brani eseguiti dagli arpisti nei 4 giorni del festival e il suo entusiasmo fu tale che non smise più per tutta la vita. Così pubblicò tre raccolte di musica, nel 1797, 1809, e 1840. Il pregio del lavoro di Bunting, fu quello di aver raccolto molte informazioni storiche, tecniche e musicali dagli arpisti, purtroppo le melodie trascritte furono spesso “arrangiate” dallo stesso Bunting, un organista di formazione classica, che annotò per lo più solo le melodie e non gli accompagnamenti.
https://terreceltiche.altervista.org/i-bardi-delle-terre-celtiche/

Da aggiungere a integrazione della presentazione di Flavio Poltronieri anche il contributo dello studioso scozzese  nonchè Reverendo Alexander Carmichael (1832-1912). il quale girò in lungo e in largo le Highlands e le Isole parlando con le persone comuni affinchè cantassero le loro canzoni e raccontassero il proprio stile di vita. Così raccolse nel suo libro “Carmina Gadelica”, “inni, incantesimi e magie” della tradizione orale e li tradusse in inglese. [La Keltia editrice ha pubblicato il libro in italiano]
Nel mondo contadino esistevano ancora tutta una serie di preghiere e invocazioni, spesso in forma di canzoni, che facevano parte del bagaglio culturale risalente al tempo dei Druidi, rivolte tuttavia al Dio cristiano e ai Santissimi
https://terreceltiche.altervista.org/i-bardi-delle-terre-celtiche/

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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