“La moglie del pozzo di Usher” è una ballata che parla di revenants ed è stata collezionata dal professor Child al #79: tre fratelli sono stati mandati dalla madre per mare e muoiono in un naufragio. Appresa la notizia la madre si dispera, maledice il vento e il mare e vorrebbe riavere i figli “in earthly flesh and blood“, (in carne e ossa). Nella notte di San Martino i tre figli ritornano a casa e stanno con lei solo per quella notte, perchè dovranno ritornare nel Mondo dei Morti non appena spunta l’alba. Mentre Child riporta solo tre versioni testuali, Bertrand H. Bronson nel suo “Traditional tunes of the Child ballads” (1959) ha rintracciato 58 melodie provenienti dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti.
Alcuni commentano la ballata affermando che la donna era una vecchia strega che, facendo ricorso alla magia, aveva riportato indietro dal regno dei morti i suoi figli in carne e ossa (morti viventi); ma questa interpretazione non tiene in debito conto due fattori: i canti tradizionali che vanno sotto il nome di Sea Invocation songs e il culto dei morti nella tradizione celtica.
Un grande lavoro di raccolta è stato operato dallo studioso Alexander Carmichael (1832-1912) che nel suo “Carmina Gadelica” (qui) pubblicò quello che rimaneva della spiritualità e della tradizione celtica nelle Highlands.
SEA SPELL
C’è una lunga tradizione di lamenti o incantesimi delle donne rivolte al mare: le donne dei pescatori rimaste a casa in attesa del ritorno dei loro mariti, figli, padri hanno elaborato una sorta di rituale collettivo – preghiera al mare che, nelle tristi occorrenze, diventava anche un lamento funebre. In questi canti c’è tutta l’antica forza che si attribuiva un tempo alle parole, la magia delle parole che si traduceva in suono e musica, così la forza degli elementi era imbrigliata e ricondotta alla volontà di un singolo (o dalla ancor più potente volontà di un coro di “sorelle”). Alcuni di questi antichi canti sono giunti fino a noi purtroppo in forma frammentaria e per lo più da remote isole semi-abbandonate spazzate dai venti e soggette ai capricci del mare (ad esempio “Geay Jeh’n Aer” dall’Isola di Man o “The Unst Boat Song” dalle Isole Shetland).
SAMAHIN E IL CULTO DEGLI ANTENATI
I Celti credevano che i morti ritornassero sulla terra in particolari momenti dell’anno: così alla festa di Samahin i vivi accoglievano i loro antenati e discendenti accendendo falò e fuochi e preparando del cibo e delle bevande per loro. L’antica usanza si è consolidata in molte tradizioni d’Europa ed era ancora una consuetudine contadina negli anni del secondo dopoguerra. Ormai della Festa dei Morti è rimasto il giro al cimitero per portare i fiori freschi sulle tombe (o sfoggiare il bouquet più bello) e la carnevalata di Halloween: una volta si lasciavano sulla tavola o alle finestre pane, patate o ceci bolliti, castagne lesse o arrostite, oppure la “minestra dei morti” (riso o orzo cotto nel latte) ma anche vino e sidro, latte o semplicemente l’acqua; le donne preparavano dei dolci speciali detti pan, ossa o fave dei morti per i bambini e i soulers i questuanti che andavano di casa in casa (continua). Il defunto ritornava in vita anche se solo per una notte, quella più magica dell’anno e veniva ringraziato e imbonito con delle offerte!
I nostri morti sono l’humus della terra in senso materiale e spirituale. Scrive la Bonnet: “Nelle società tradizionali, la ricchezza, la vita simbolizzata dall’imperativo “Crescete e moltiplicatevi” è dovuta ai morti. Questi defunti non hanno più una funzione evidente nella società dei visibili, poichè sono la controparte non visibile della forza vitale. I morti, i geni tutelari, vivono nelle viscere della terra, considerata come “nostra madre universale”. (J. Bonnet La terra delle donne e le sue magie, 1991) E’ come dire che sono i morti che nutrono i vivi, una verità sacrosanta perchè nulla muore mai veramente ma concorre al ciclo vita-morte-vita.
Riccardo Venturi scrive: “Il dolore incontrollato dei vivi disturba il riposo dei defunti. E quale dolore più grande può esservi di quello di una madre per i propri figli morti da poco? Ma a volte ritornano; ed in questa lugubre, dolente ballata (ma dalla bella e dolcissima melodia) lo fanno non come esseri incorporei, bensì come veri e propri morti viventi in carne ed ossa, degli autentici révenants. Solamente i loro copricapi di legno di betulla (la betulla protegge gli spettri dall’influenza dei vivi) e l’essere costretti ad andarsene prima dell’alba fanno qui intendere che si tratta di visitatori spettrali.
Il nostro testo settecentesco, riportato da Sir Walter Scott nel suo celeberrimo Minstrelsy of the Scottish Border (II, 111), è stato spesso, e a ragione, lodato; particolarmente commovente è l’ultimo verso, dove si accenna al fatto che uno dei figli ha lasciato non solo una madre, ma anche una fidanzata. Come (quasi) sempre avviene quando c’è di mezzo Sir Walter Scott, però, è lecito sospettare che il grande letterato sia intervenuto sul testo.
Un altro testo dello Shropshire avvolge le superstizioni pagane con un untuoso strato di fede cristiana (in Il Soprannaturale e Remote Tradizioni Popolari -Ballate popolari angloscozzesi)
PRIMA VERSIONE
La ballata venne pubblicata per la prima volta da Sir Walter Scott (in Minstrelsy of the Scottish Border ed 1802), così come l’aveva sentita cantare da una vecchia di Kirkhill, (West Lothian, Broxburn) (cf)
Il narratore inizia a raccontare (con il tipico andamento delle ballate) avvisando gli ascoltatori circa i personaggi coinvolti, la moglie del Pozzo di Usher e i suoi tre figli; dopo la maledizione (o l’incantesimo) -ci immaginiamo la donna che di fronte al mare canti in gaelico una delle tante invocazioni tramandate di generazione in generazione da madre a figlia- si passa senza soluzione di continuità alla notte di San Martino quando i tre ragazzi ritornano a casa: da qui l’interpretazione che la vecchia (intesa come strega) abbia riportato in vita i figli. Più che un gesto negromantico a mio avviso è stato il dolore inconsolabile della vecchia madre per la perdita dei figli a riportali a casa, proprio nella magica notte di Samahin, il capodanno celtico.
C’è decisamente il gusto gotico per il macabro, temi cari all’ottocento come il sepolcro lacrimato e le apparizioni di fantasmi o di anime dannate in cerca di vendetta.
REVENANTS
In francese la parola revenant conserva un duplice significato quello primario è di «anima che torna dall’altro mondo sotto un’apparenza fisica», l’altro è «fantasma» «apparizione di un morto». Possiedono quindi una duplice natura e si presentano come entità corporee (con le stesse sembianze che avevano in vita o anche di qualche animale o sotto forma di scheletri) oppure incorporee come fantasmi.
Nel folklore europeo i revenats sono anime che mantengono la loro forma materiale, la personalità e i sentimenti di quando erano in vita. E’ una concezione materiale delle anime dei morti che si manifesta nelle credenze e usanze funerarie di buona parte d’Europa. I revenants sono per lo più anime in pena, compresi quanti son deceduti di morte violenta o accidentale (assassinati, annegati…) o richiamate dall’affetto dei vivi che li piangono troppo. In alcune tradizioni tuttavia i revenants sono anime dannate come i vampiri e i non-morti ovvero schiere infernali e demoniache.
Robin Laing in Imaginary Lines
The Hare and the Moon in Wood Witch 2015
Il testo riprende quasi integralmente la versione trascritta da Sir Walter Scott, omettono solo un verso.
I There lived a wife at Usher’s Well (1), And a wealthy wife was she; She had three stout and stalwart sons, And sent them over the sea. II They hadna been a week from her, A week but barely ane, Whan word came to the carline (2) wife, That her three sons were gane. III They hadna been a week from her A week but barely ane Whan word came to the carline wife, That her three sons were gane. IV (3) “I wish the wind may never cease, Nor fashes in the flood, Till my three sons come hame to me, In earthly flesh and blood.” V It befell about the Martinmass (4), When nights are long and mirk, The carlin wife’s three sons came hame, And their hats were o the birk (5). VI It neither grew in syke (6) nor ditch, Nor yet in ony sheugh;(7) But at the gates o Paradise, That birk grew fair enough VII “Blow up the fire my maidens, Bring water from the well; For a’ my house shall feast this night, Since my three sons are well.” VIII And she has made to them a bed, She’s made it large and wide, And she’s taen her mantle her about, Sat down at the bed-side. IX Up then crew the red, red, cock (8), And up the crew the gray (8 bis); The eldest to the youngest said, ‘Tis time we were away. X The cock he hadna crawed but once, And clappd his wings at a’, When the youngest to the eldest said, Brother, we must awa. XI The cock doth craw, the day both daw, The cahannerin (9) worm doth chide; Gin we be mist out o our place, A sair (10) pain we maun bide. XII (11) ‘Lie still, lie still but a little wee while, Lie still but if we may; Gin my mother should miss us when she wakes, She’ll go mad ere it be day.’ XIII “Fare ye weel, my mother dear! Fareweel to barn and byre! And fare ye weel, the bonny lass (12) That kindles my mother’s fire!” |
Traduzione italiana di Riccardo Venturi* I C’era una dama a Usher’s Well, Era una dama assai ricca; Aveva tre figli forti e gagliardi E li mandò per mare. II Non passò che una settimana, Una settimana, appena una, Che dissero alla dama di campagna Che i suoi figli erano morti III Non passò che una settimana, Una settimana, appena una, Che dissero alla dama di campagna Che i suoi figli erano morti IV “Vorrei che il vento mai ristesse, Nè le tempeste sopra il mare, Finché i miei figli non torneranno Col loro sangue e la loro carne.” V Fu nell’estate di San Martino, Quando le notti son lunghe e oscure Che i suoi figli tornarono a casa Con copricapi di betulla VI Non cresceva nè in gore, nè in fossi E neppure nei canali; Ma alle porte del Paradiso La betulla stupenda cresceva VII “Ancelle, accendete il fuoco! Portate acqua dal pozzo! Stasera la casa è in festa, Ché i miei figli son sani e salvi.” VIII E ha rifatto loro il letto, L’ha rifatto ampio e largo E si è messa una mantella Sedendo di fianco al letto IX Cantò il rosso, rosso gallo Poi cantò la cornacchia; Il maggiore disse al minore: “Ora è tempo d’andare via.” X Il gallo cantò una volta, Appena battè le ali, E il minore disse al maggiore: “Fratello, dobbiamo andare.” XI “Il gallo canta, il giorno nasce Ed il lombrico sta mugolando; Noi dobbiamo andare via Ci attende una grande pena” XII [“Restiamo ancora, restiamo ancora un poco, restiamo ancora se possiamo, se la mamma non ci trovasse quando si sveglia potrebbe impazzire prima che sia giorno” ] XIII “Addio, mia cara madre, Addio al granaio e alla stalla! E addio a te, bella fanciulla Che accendi il fuoco di mia madre!” |
NOTE
* da Il Soprannaturale e Remote Tradizioni Popolari -Ballate popolari angloscozzesi)
Le note sono di Cattia Salto
1) usher’s well= non corrisponde a una località precisamente individuabile, alcuni vedono nel pozzo la prefigurazione di un passaggio tra la terra dei viventi e la terra dei morti, una sorta di calderone magico
2) carline = old woman; inteso come “old hag”. Anche il termine “wife” è da intendere come “old woman”
3) la vecchia lancia un incantesimo o manda una maledizione al mare affinchè nessun altra nave possa più fare naufragio: così ordina al vento di non soffiare più e al mare di non agitarsi più; alcuni trasformano l’originario fashes o flashes (tumults, troubles, storms) in fishes di modo che la frase diventa “né pesci nuotare nel mare” frase che conserva comunque il suo significato nel contesto e anzi ci dice qualcosa di più sul motivo per cui i suoi ragazzi erano andati per mare: come pescatori
4) Martinmas = 11 novembre è la festa di San Martino. Una volta quando il computo del tempo si faceva su base lunare la celebrazione di Samahin oscillava da fine ottobre e per tutta la cosiddetta “estate di San Martino“. Tanto durava il Capodanno celtico così a San Martino si chiude l’annata agricola e se ne apre un’altra: si pagano (si rinnovano o si concludono) i contratti d’affitto, e si fanno i traslochi se bisogna lasciare la casa avuta in mezzadria o il lavoro non più rinnovato.
5) birk = birch, mi viene in mente il copricapo dei mummers fatto con i vimini (rami di betulla o salice) intrecciati, la betulla nel contesto della ballata è il legame con il regno dei morti
6) syke = trench ma anche brook
7) sheugh = furrow ma anche ditch. Si riferisce ad un ambiente coltivato e recintato come un orto o giardino oppure all’argine di un fossato
8) Il canto del gallo avvisa che il sole sta per sorgere, la magica notte di Samahin è finita e i revenants devono ritornare nel loro mondo. Il canto del gallo annuncia il nuovo giorno, in senso metaforico è il canto della rinascita ovvero di una guarigione fisica ma anche spirituale (il trapasso dell’anima alla vita celeste)
8 bis) covi e cornacchie sono chiari simboli di sciagura
9) channerin = grumbling, gnawing; l’immagine dei vermi che brontolano è piuttosto buffa
10) sair= sore, A sair pain we maun bide: We must expect sore pain, cioè se il revenant non ritorna nell’Altro Mondo lo attende una grande pena. Il concetto è passato ovviamente sotto la visione cattolica del mondo dei morti: i revenants non sono delle anime dannate quanto piuttosto delle anime penitenti ovvero anime del purgatorio che devono scontare una pena (che sarà più lunga o peggiore se non rientrano sottoterra al canto del gallo) Sono tuttavia delle anime buone che hanno conservato il desiderio di ritornare al loro ambiente famigliare o costrette a tornare per portare a termine qualcosa di incompiuto durante la vita o per chiedere dei suffragi.
11) strofa aggiunta da The Hare and the Moon “The Oxford Book of Enghlish Verse”, traduzione italiana di Cattia Salto
12) probabilmente una fidanzata del morto
Versione “The Oxford Book of Enghlish Verse” (1900 Arthur Quiller-Couch e successive edizioni)
Karine Polwart in “Fairest Floo’er“, 2007
I There lived a wife at Usher’s Well And a wealthy wife was she She had three stout and stalwart sons And she sent them o’er the sea II Well, they hadna been a month frae her Not one month and a day When cauld, cauld (1) death come o’er the land And he (2) stole those boys away III She said, “I wish the wind would never mair blaw Nor fish swim in the flood ‘Til my three boys come hame tae me In earthly flesh and blood In earthly flesh and blood” IV Well, it fell aboot the Martinmas time When the nichts are lang and mirk The carlin wife’s three boys come hame And their hats were o’ the birk V That neither grew in any wood Nor down by any wall But at the gates o’ paradise Aye, the birken tree grew tall VI Well, she has laid the table braid Wi’ bread and blood-red wine “Come eat and drink, my bonnie boys Come eat and drink o’ mine” VII “Oh mither, bread we cannae eat Nor can we drink the wine For cauld, cauld death is lord (2) of all And to him we must resign VIII (3) For the green, green grass is at oor heads And the clay is at oor feet And how your tears come tumbling down To wet the winding sheet To wet the winding sheet” IX Well, she has made the bed full braid (4) She’s made it lang and deep She’s laid it all wi’ golden thread And she’s lulled those boys tae sleep X Well, the cock, he hadna crowed but once Tae welcome in the day When the eldest tae the youngest says “Brother, we must away” XII For the cock does craw, the day does daw And the chunnerin worm does chide And if we’re missed out o’ oor place Then a sair pain we maun bide |
Traduzione italiana di Cattia Salto I* C’era una dama a Usher’s Well, Era una dama assai ricca; Aveva tre figli forti e gagliardi E li mandò per mare. II Non passò che un mese, Un mese e un giorno Che la morte crudele passò sulla terra E portò via quei ragazzi. III Lei disse “Che vento non possa più soffiare Nè pesce nuotare in mare Finchè i miei tre ragazzi torneranno da me In carne e ossa In carne e ossa”. IV* Fu nell’estate di San Martino, Quando le notti son lunghe e oscure Che i suoi figli tornarono a casa Con copricapi di betulla V Che non crebbe in un bosco Nè a ridosso delle mura Ma alle porte del Paradiso Si, la betulla alta cresceva. VI Allora apparecchiò la tavola Con pane e vino rosso come sangue “Venite a mangiare e a bere, miei bei ragazzi, venite a mangiare e a bere” VII “O madre, pane non possiamo mangiare Né bere vino, Perchè la fredda, fredda morte è signora di tutto e a lei ci dobbiamo sottomettere”. VIII “Chè abbiamo verde erba verde sulle nostre teste/ E la terra ai nostri piedi E come le tue lacrime vengono giù Vanno a bagnare il sudario Vanno a bagnare il sudario” IX Beh ha preparato il letto grande l’ha fatto lungo e largo Si è avvolta in uno scialle dorato Per cantare la ninna-nanna a quei ragazzi X Beh, il gallo, non cantò che una volta Per salutare il giorno Quando il maggiore disse al minore: “Fratello, dobbiamo andare.” XII “Il gallo canta, il giorno nasce Ed il lombrico sta mugolando E se ci lasciassimo sfuggire il nostro posto Allora ci attenderebbe una grande pena.” |
NOTE
* traduzione italiana di Riccardo Venturi da Il Soprannaturale e Remote Tradizioni Popolari -Ballate popolari angloscozzesi
note e strofe non conformi al testo di Sir Walter Scott sono a cura di Cattia Salto
1) could= cold, tuttavia in italiano l’espressione più usata è morte crudele (nel senso di insensibile e quindi priva di sentimenti= fredda)
2) la morte per gli inglesi è maschile
3) la strofa non è presente nel “The Oxford Book of Enghlish Verse” e nemmeno nei testi riportati dal professor Child, fa parte invece delle seconda versione “all’americana”, probabilmente ha citato la strofa in Joan Baez: la strofa introduce l’immagine della sepoltura lacrimata perchè è nelle lacrime che bagnano il sepolcro, che si perpetua il legame con il mondo dei vivi. La Chiesa, nonostante la sua credenza nella vita dopo la morte, non ha mai approvato le dimostrazioni estreme degli affetti dei vivi per i morti, così dopo il periodo di lutto -nelle ballate è in genere di un anno – in cui chi è rimasto si prende il tempo per il pianto e il dolore, la vita deve continuare altrimenti il fantasma del defunto viene strappato dalla tomba, ed è costretto a vagare per la terra
4) braid= broad
Versioni del Folk revival inglese
Martin Carthy ha registrato più volta la ballata con il testo in inglese della versione di Sir Walter Scott a cui ha abbinato alla melodia di Hiru Truku, Bakarrik Aurkitzen Naz (melodia basca)
Steeleye Span in “All Around My Hat” 1975
FONTI
http://ontanomagico.altervista.org/samain-la-festa-celtica-d-inverno.html
http://alungkama.blogspot.it/2011/04/paraphare-of-wife-of-ushers-wife.html
http://freepages.genealogy.rootsweb.ancestry.com/ ~usher/ushersct/html/ushers_well.htm http://walterscott.eu/education/files/2013/02/Interpretative-Notes-to-The-Wife-of-Ushers-Well.pdf
http://walterscott.eu/education/ballads/supernatural-ballads/the-wife-of-ushers-well/the-ballad-the-wife-of-ushers-well/
http://mainlynorfolk.info/steeleye.span/songs/thewifeofusherswell.html
http://www.mudcat.org/thread.cfm?threadid=20497 http://www.barbelith.com/topic/11088
continua seconda parte