Live at last 1978 (tutti i testi)

Bornmouth, Dorset, costa sud inglese, cittadina che a vederla da lontano appare un lungo agglomerato di case in stile coloniale con il bianco dei terrazzi e dei colonnati che acceca gli occhi. L’aria è quella da epoca vittoriana. Il Winter Gardens era un teatro costruito nel 1875 ma che solo qualche anno dopo (1893) iniziò a ospitare concerti di musica classica, oggi non esiste più, è stato demolito definitivamente nel 2006.

Steeleye Span live al Winter Gardens

Al Winter Gardens niente maschere, niente scenografia, né costumi la sera del 7 marzo 1978, colpi lontani di batteria annunciano l’iniziale “Fighting for Strangers“. John Kirkpatrick è stravaccato su una sedia come fosse all’osteria. “Thomas the Rymer” arriva come secondo brano, poi “Cam Ye O’er Frae France“, la fisarmonica in lontananza conferisce al pezzo un vago sapore di bistrot parigino. Quindi Kirkpatrick, grande e grosso, inizia a ballare il morris legandosi campanacci percussivi a caviglie e ginocchia, agitando nastri rossi con le mani. A questo punto seguono una serie di gighe e reels, anche Madeline Prior balla sorridendo mentre il modesto Martin Carthy imbraccia un’altra volta, udite udite, una vecchia Fender Telecaster. Proprio lui, l’austero e leggendario revivalista che un giorno del 1998 verrà insignito del MBE (Ordine dell’Impero Britannico) accettato (dopo parecchie titubanze dovute al significato imperialistico) solo perché riconoscimento all’intera musica popolare inglese. Colui che nel 1974 sedeva in studio a Parigi a fianco di Gabriel Yacoub mentre si registrava il disco d’esordio di Malicorne. O che dieci anni prima aveva fatto conoscere al giovane Bob Dylan quelle antiche melodie tradizionali inglesi che tanto influenzarono le sue prime canzoni (senza dimenticare Paul Simon con l’altrettanto famosissimo “parsley, sage, rosemary and thyme”).

Arrivano in sequenza “The Black Freighter“, “Long Lankin“, “Saucy Sailor“, “Elf Call“, “Gaudete“, “The Victory“. I bis a grande richiesta sono una serie di antichi canti popolari eseguiti umoristicamente a metà strada tra gli Sha Na Na e i Beach Boys.

Durante il concerto furono eseguiti anche alcuni brani che non erano mai apparsi in alcun disco degli Steeleye Span, ad esempio “The Maid and the Palmer“.

Come una piece di teatro elisabettiano

In epoca elisabettiana la musica godette di larghissima diffusione sia all’interno delle classi povere della società inglese che dell’aristocrazia. Lo stesso drammaturgo Shakespeare ne fece grande uso a teatro, rappresentando sia la corte reale che le atmosfere di baldoria tipiche della drinking scene, con tanto di cori da taverna e canzonacce scurrili. In alcune rappresentazioni l’atmosfera drammatica si alterna a quella “brilla” di frasi sconclusionate, versi burleschi e frammenti di canzoni popolari. In taluni casi tutto ciò maschera doppi sensi e intenti ironici, come spesso accade sia nella composizione delle ballate che nella tradizione teatrale in genere. L’atmosfera che aleggia intorno agli Steeleye Span risente delle recenti proposte di Carthy, di introdurre nel repertorio del gruppo anche un paio di celebri brani scritti da Bertolt Brecht (1898-1956). Il principale drammaturgo tedesco del Novecento, influenzato dalle correnti artistiche a lui contemporanee, aveva sviluppato la sua teoria di “teatro epico”. Questa contemplava uno spettatore che, lungi dall’immedesimarsi, doveva mantenere una distanza critica e riflettere in modo oggettivo sulla rappresentazione a cui assisteva in scena.  Ma l’esecuzione musicale più impressionante dell’intero concerto risulta l’inedita e lunghissima saga di “Montrose” che, con i suoi inserimenti e arrangiamenti strumentali, uniti a un impianto poliritmico e polivocale, appare come vero e proprio testamento a riassunto di tutta la loro storia.

Nelle canzoni del gruppo ha vissuto una lunga sequenza di gente di strada, bella e brutta, scaltra o ingenua, minatori abbrustoliti e abili tessitrici, ubriaconi incalliti e puttane avvenenti, agricoltori instancabili e pescatori marci, imbroglioni di ogni sorta e fattucchiere ammalianti, predatori voraci a quattro o a due gambe. Presi da villaggi immaginari o naufràgi spaventosi, da castelli sconosciuti o bicocche anonime, trasformati dalla creatività dell’immaginazione popolare e portati dal suo talento in mezzo alle righe delle canzoni. Quella di quel marzo ’78 dovrebbe essere una festa e a momenti pare possedere il sapore di populiste polke campagnole, ma non siamo sull’aia e alla fine comunque sempre di un crepuscolare commiato si tratta.

Cinque giorni dopo il concerto, i giornali inglesi riporteranno l’ufficialità dello scioglimento del gruppo a cui seguirà questa prima selezione live ufficiale, dopo dieci dischi, uno d’oro e cinque d’argento. Chapeu, Signori! Da allora sono successe molte cose, purtroppo Tim Hart se n’è tristemente andato per sempre a soli 61 anni, il giorno prima di Natale del 2009 e lo stesso, recentemente, Bob Johnston.

In occasione delle celebrazioni per il cinquantenario del gruppo, nel 2019 è stato commercializzato un cd dal vivo alla De Montfort Hall di Leicster, registrato in precedenza e precisamente la sera dell’11 febbraio 1978 (con un errore nella copertina dove viene riportato 1977!) Il concerto venne originariamente trasmesso alla radio inglese e la scaletta differisce quasi per intero da quella che quasi un mese dopo, apparirà su Live At Last. Solamente tre brani sono presenti su entrambi; questo il programma proposto dal cd: Galtee Farmer, Awake Awake, The Black Freighter, Hunting The Wren, Sweep, Chimney Sweep, The Duke Of Athols Highlanders, Walter Bulwer’s Polka, Cam Ye O’er Frae France, The Boar’s Head, Seventeen Come Sunday, Rave On.

post scriptum: La notte di sabato 27 giugno 1998, nell’Appennino Reggiano, accanto all’inconfondibile profilo a forma di nave della Pietra di Bismantova, ho visto una chicca di concerto all’aperto tra i più intensi degli Steeleye Span. Occasione fortunata, probabilmente unica nel suo genere o quasi, è stato assistere a un intero spettacolo con la voce di Gay Woods senza Maddy Prior. Per di più con la scaletta favolosa di un momento di composizioni ispiratissime e una formazione in quartetto strepitosa, senza batteria. Del bodhran irlandese nelle gighe si occupava Gay, così come della presentazione delle canzoni, da buona maestra di cerimonia. Particolare non da poco: ero seduto a fianco di Jacqui McShee e del suo compagno Gerry Conway, che si sarebbero esibiti la sera dopo. A parte il fatto che non è mai stato semplicissimo ascoltare la voce della Woods, penso sia pressoché impossibile udire (per esempio) “Gaudete” senza l’acuto di Maddy Prior o “My Johnny Was A Shoemaker” senza la sua parte. E comunque, la sua presenza vocale è sempre massimamente caratterizzante nelle canzoni degli Steeleye Span, a me piace moltissimo ma un’occasione così rara, è impagabile! Peter Knight, violinista maestoso sui tempi lenti e strepitoso su quelli veloci, mi ha informato, un po’ contrariato, che in quel momento era occupata in un progetto solista. Gentilmente mi donò anche la scaletta del concerto di quella sera, compilata di loro pugno, il disco del momento era “Horkstow Grange”, dal quale provenivano tre brani, ma quattro venivano da quel capolavoro assoluto che era stato il precedente “Time”. Tim Harries a basso e tastiere, quella sera, fu assolutamente splendido nella sue parti, una vera sorpresa, dal vivo meglio anche che nei dischi. Ovviamente una formazione del genere non poteva che realizzare un concerto da sogno, unico, per chi conosce e ama da decenni Steeleye Span, intorno, la gente del paese medievale di Castelnovo ne’ Monti, applaudiva estasiata. Ancor oggi ringrazio e lodo i musicisti che seppero creare quella lontana serata di magia sonora: Peter Knight, Bob Johnson, Tim Harries e Gay Woods.

la skaletta originale del concerto

1. The Atholl Highlanders/Walter Bulwer’s Polka
2. Saucy sailor / Black Freighter
3. The maid and the palmer
4. Hunting the wren
5. Montrose
6. Bonnets so blue (strum)
7. The false knight on the road

Maddy Prior vocals
Tim Hart guitar, vocals
Rick Kemp bass, vocals
Martin Carthy guitar, vocals
John Kirkpatrick accordion, vocals
Nigel Pegrum drums

Live at last -full album
/ 5
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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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