La Bella Leandra

Leandra/La Bella Leandra è il titolo di una ballata piemontese trascritta da Costantino Nigra al numero 43. Sono 12 le lezioni raccolte, tra colline di Torino, Monferrato, Canavese e Roero.
La trama è semplice: il figlio del re si traveste da mendicante per poter vedere con i suoi occhi una bellezza tanto declamata, ne rimane colpito e la rapisce a scopo matrimonio.
Una prassi che doveva essere diffusa nel medioevo quando si combinavano i matrimoni dei sovrani, tra ritratti scambiati e matrimoni per procura c’era sempre qualche Principe o Re che voleva constatare di persona.

Autari e Teodinda

La Bella Leandra - Autari e Teodolinda
Matrimonio tra Autari e Teodolinda

Paolo Diacono lo storico del Longobardi così scrive in merito al matrimonio tra il Re Autari e Teodolinda
(Anno 588) ” Il re Autari mandò i suoi messaggeri in Baviera a chiedere in sposa la figlia del re Garibaldo. Questi li accolse con favore e promise loro sua figlia Teodolinda. Appena Autari conobbe la risposta di Garibaldo, volle vedere di persona la sua sposa e partì subito per la Baviera, portando con sé pochi uomini e un vecchio di fiducia, d’aspetto piuttosto autorevole. Quando furono ammessi alla presenza di Garibaldo, Autari, di cui nessuno conosceva la vera identità, si avvicinò a Garibaldo e gli disse: – Il mio signore Autari mi ha mandato qui apposta per vedere la vostra figliola, sua sposa e nostra futura regina, onde io possa poi descrivergli con precisione che aspetto ha. Garibaldo fece subito venire la figlia e Autari restò a guardarla in silenzio, poiché era molto graziosa. Infine, soddisfatto per la sua scelta, disse al re: -Vostra figlia è davvero bella e merita di essere la nostra regina. Ora, se non avete nulla in contrario, vorremmo ricevere dalle sue mani una tazza di vino, come ella dovrà fare spesso in avvenire con noi. – Garibaldo acconsentì e la principessa, presa una tazza di vino, la porse prima a colui che sembrava il più autorevole, poi la offrì ad Autari, senza immaginare neanche lontanamente che fosse il suo sposo: e Autari, dopo aver bevuto, nel restituire la tazza, sfiorò furtivamente con un dito la mano e si fece scorrere la destra dalla fronte lungo il naso e il viso. La principessa riferì arrossendo la cosa alla nutrice e questa le rispose: – Se costui non fosse il re che deve essere tuo sposo, certo non avrebbe osato neppure toccarti. Ma adesso facciamo finta di niente: è meglio che tuo padre non ne sappia nulla. Secondo me, però, quell’uomo è un vero re e un marito ideale.-

La Bella Leandra: Versione Piemontese

Leandra potrebbe essere considerata una variante del Moro Saracino e tra le ballate anglo-scozzesi presenta delle affinità con la ballata scozzese The Gaberlunzie.

Una lezione piemontese viene dalla cantora astigiana Teresa Viarengo pubblicata in “Il Cavaliere Crudele. La ballata popolare in Piemonte e la sua diffusione nell’Italia settentrionale e centrale”, a cura di Roberto Leydi e Franco Coggiola, Milano, i dischi del sole DS110/12, 1965.
Nel rifacimento de La Lionetta sulla versione B del Nigra (dettata da una donna nativa di Pinerolo) la musica è composta da Maurizio Bertani. Un canto interpretato da tre voci: Voce narrante : Roberto Aversa, Lenadra e la madre: Laura Malaterra, Figlio del re: Maurizio Bertani

Teresa Viarengo 1965
La Lionetta in Il Gioco del Diavolo 1981

[Teresa Viarengo]
Nel bosco di Leandro, ‘na bela fija a j’é (x2)
Fioeul del re ca l’a savulo a la voeul andé a rubé
A s’è vesti’ da pagi, da pelegrin romé (1)
a la porta de la bela l’ ilimosna ij va a serché
“Fijeta di Leandro, fija di quindes an
o feje ‘n po’ l’ ilimosna a sto pelegrin roman”
Sta fija pronta e lesta l’ilimosna j a ben fé
l’é in fasendje l’ilimosna a la man j a restringé (2)

“O mama d’la mia mama, varda che brut vilan
l’è ‘n fasendje l’ilimosna al m’a restrengiu la man”
“O fija d’la mia fija o laslo pura fé
a saralo chilch bel giuvo c’as voralo maridé”
“Fijeta di Leandro, fija di quindes an
o vnì ‘nsegné la strada a sto pelegrin roman”
Sta fija pronta e lesta la strà sa j l’ a insegné
a l’è insegnandje la strada an gropeta ‘s l’a tiré

Quand a l’è sta ‘ gropeta fasia che pioré
“O pioré pa tan la bela che sì la sposa del re”
Pa tanti foeuje ‘n si èrbo nel bosco di Lion
con tanti soldà ‘n s’le armi ca na speto ‘l sò padron
Soldà j’ero ‘n s’le armi, fasio solenità
“evviva la regin-a, padro-na ‘d la sità”
Le dame a la finestra e ij prinsi a li balcon
“evviva la regin-a ,padron-a di Lion”

[traduzione italiana Cattia Salto]
Nel bosco di Leandro c’è una bella fanciulla,
il figlio del re che l’ha saputo la vuole andare a rapire.
Si è travestito da paggio, da pellegrino romeo,
è andato a chiedere l’elemosina alla porta della bella.
“Figlia di Leandro, fanciulla di quindici anni,
fate un po’ d’elemosina a questo pellegrino romeo”
La fanciulla pronta e lesta gli fa l’elemosina
e nel far l’elemosina, il pellegrino le stringe la mano.

” Carissima mamma, vedi che brutto villano,
nel dargli l’elemosina mi ha stretto la mano! ”
” O figlia mia, lascialo fare,
sara’ qualche bel giovanotto che si vuole sposare” “Figlia di Leandro, fanciulla di quindici anni,
venite a insegnare la strada a questo pellegrino romeo”
La ragazza pronta e lesta gli insegna la strada,
nell’insegnargli la strada la tira in groppa (al cavallo).

Quando fu in groppa non faceva che piangere.
“Non piangete, o bella, che voi siete la sposa del re”
Piu’ delle foglie sugli alberi del bosco di Lione
sono i soldati in armi che aspettano il loro padrone.
I soldati erano in armi e facevano festa,
“evviva la regina, padrona della città.”
Le dame alla finestra, i principi ai balconi,
“evviva la regina, padrona di Lione”.

NOTE
1) i pellegrini non erano propriamente dei mendicanti. I luoghi del pellegrinaggio nel Medioevo erano sostanzialmente tre: Roma, Gerusalemme e Santiago di Compostela così tre erano i nomignoli con cui erano identificati i tre gruppi, ossia Romei, Palmieri, e Giacobei, infatti i primi portavano come simbolo le chiavi incrociate di San Pietro, i secondi la palma di Gerico (o l’ulivo, ma anche delle piccole croci), i terzi la capasanta ovvero la conchiglia di San Giacomo
2) l’elemosina consisteva nel dare da mangiare e da bere

La versione musicata dalla Lionetta come nella grafia trascritta dal Nigra (Nigra #43B)
Ant i boschi di Leandra – Na (gran) bela fia a j’è / S’a j’è pa nè re nè prinsi – Ch’a la posso andè rubè
‘L prinsi a s’è vestì da pagi, – Da pelegrin rumè / A la porta di Leandra – La limozna andà ciamè
E Leandra compassiunusa – La limozna a j à bin fé / An fazendie la limozna – Se la man a j à saré
“O mama dela mia mama – O chi sarà lo cul vilan / An fazent-je la limozna – a ma strinzù la man”
“O fia fia della me fia – O laselo pur a fé / A sarà quaic re, quaic prinsi – che ti vudrà spusé”
“O Leandra, bela Leandra – La stra v ni me a mustré / Vni a mustré la stra, Leandra – A custu pelegrin rumé”
E Leandra compassiunusa – La stra andà-je mustré / Quand l’è stà in mes a la strada – An grupeta l à tiré
“O Leandra, bela Leandra – No fasia che piuré / O piuré pa tan Leandra – Che sarè spusa del Re”
Ai sarà pa tante foje s’j’erbo – Ant i boschi di Leun / Cum’a j’è d’soldà sut ‘j’arme – Ch’speto la spuza d’so padrun


Da una registrazione effettuata da Riccardo
Schwamenthal il 1° ottobre 1968 a Scanzorosciate (Bergamo). Informatori: Maria e Felice Pietro Cortesi.

Troviamo la ballata anche in un Canzoniere Italiano dal titolo “Il Bosco degli Alberi” edito nel 1972, pubblicato anche su disco “Italia. Le stagioni degli anni ’70 nei documenti originali di tutte le regioni italiane disposti secondo le stagioni, le funzioni e le forme proprie alla cultura orale di base e d’intervento”, a cura di Sandro Portelli, Milano, i dischi del sole, DS 508/10, maggio 1971.

Nel bosco degli alberi (1), una bella figlia c’è, e nessuno mai sapevano, di andarla a ritrovar.
Lui si vestí di gioia (2), e poi dopo se ne andò, là nel bosco degli alberi, a cercar la carità.
“La carità signora, questo povero pellegrin” che nel farga l’elemosina, e lü ’l gh’ha ciapà la man.
“O mama la mé mama, guarda là chel brüt vilàn, che nel farga l’elemosina, e lü ’l gh’ha ciapà (3) la man”
“S’el gh’ha ciapà la mano, e te lasseghla pür ciapà, sarà forse la sua fortuna, che Iddio gli ha mandà”
La mama sü la porta, ol papà l’è sül balcún, stan vedere la Giuseppina, che l’è in mèso al batagliún (4)
stan vedere la Giuseppina si l’è in mèso al batagliún.

NOTE il testo è italianizzato e piuttosto comprensibile
1) leander in piemontese vuol dire oleandro, probabilmente il termine viene scambiato per il nome di un albero e così Nel bosco di Leandro diventa Nel bosco degli alberi
2) “di stracci”; sembra richiamare the Jolly Beggar, jolly= joy
3) la figlia si lamenta con la madre che il mendicante le abbia preso (ciapà) la mano
4) “è in mezzo al battaglione”. E in effetti la Giuseppina potrebbe aver voluto seguire il fante in guerra, mancando l’identificazione del mendicante con il figlio del re. La ballata diventa affine al tema della ragazza dell’armata

La Bella Leandra: La versione marchigiana

La Macina in Storie di Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto vol.2, 2006

Dall’indagine etnomusicologica del gruppo La Macina (gruppo di ricerca e canto popolare).
Informatrice: Rosina Piccioni Bevilacqua (1900-1993) Registrazione di Fernando Bevilacqua, 1974, Apiro (Mc)
La Bella Leandra è registrata nell’album “Storie di Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto” vol.2, 2006. La voce principale è di Gastone Pietrucci con la partecipazione straordinaria di Moni Ovadia e Giovanna Marini

LINK
https://www.piemunteis.it/wp-content/uploads/43.-La-bella-Leandra.pdf

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Pubblicato da Cattia Salto

Amministratore e folklorista di Terre Celtiche Blog. Ha iniziato a divulgare i suoi studi e ricerche sulla musica, le danze e le tradizioni d'Europa nel web, dapprima in maniera sporadica e poi sempre più sistematicamente sul finire del anni 90

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