Now we are six 1974 (tutti i testi)

La riscoperta del proprio folklore aveva rappresentato anche uno smarcarsi dalle consuete matrici blues afro-americana ma oramai il richiamo del rock era evidentemente diventato troppo forte. Certamente, sia folk che rock rappresentano culture popolari ma inserire la batteria nel gruppo equivaleva anche a un cambiamento sostanziale: il basso non avrebbe più avuto l’onere di sostenere da solo la sezione ritmica. Un punto di non ritorno. E così avvenne. Il crescente successo commerciale non dev’essere stato estraneo alla decisione, in fondo Steeleye Span si stava avvicinando alla popolarità delle stelle della musica rock anglosassone e quello del singolo natalizio Gaudete era stato il colpo decisivo.

Now we are six

La Chrysalis Records fece le cose per bene: l’amico Ian Anderson dei Jethro Tull fu trasformato in “consulente di produzione” dell’LP e basta ascoltare “Thomas the Rhymer” per ipotizzare che il pezzo avrebbe potuto tranquillamente figurare in “Aqualung”. Ho la netta sensazione però che valga ancor più il discorso inverso, ovvero che il celebre flautista abbia incamerato numerose ispirazioni dalla vicinanza a un reale gruppo folk di tale portata. Addirittura David Bowie offrì un cameo sax old-fashioned in conclusione del disco, i suoi “occhi vitrei” sono davvero fuori luogo in questa sede, diciamo che aveva la “scusa” di essere stato, in gioventù, compagno di scuola con un membro degli Span.

La critica non prese benissimo queste scelte che sapevano un po’ di commercializzazione ma il modo in cui i musicisti risolvono in tempo di morris “Drink down the moon” con quell’atmosfera incantata di voce, mandolino, oboe e dulcimer, è davvero magistrale. Certo, mancano gli oramai classici corali a cappella ma la musica originale composta per i testi tradizionali di “Seven hundred elves” e “Thomas the rhymer” risulta comunque ineccepibile. Personalmente non amo, in generale, la fisionomia sagomata della comune sezione ritmica ma il cantus firmus degli Steeleye Span riesce in ogni caso a portare l’ascoltatore dove vuole. A far parte della brigata del terzo ussari reali come a farlo sentire contadino delle fredde plaghe del nord, il tutto grazie a chitarre distorte e violino col wa-wa.

Il linguaggio folk moderno degli Steeleye Span ha rivitalizzato in maniera definitiva l’antico paganesimo britannico passando dalla voce di cristallo prezioso di Maddy Prior.

Accanto alla ricerca musicale, sempre più importanza nei concerti assunse in questo periodo, quella spettacolare, attraverso lo splendore delle rappresentazioni dei mummers (la mia cronaca di uno di essi, recentemente pubblicato in disco, qui: https://www.blogfoolk.com/2022/11/steeleye-span-live-at-rainbow-theatre.html)

Seven Hundred Elves
Drink Down the Moon
Now We Are Six”
Thomas the Rhymer
The Mooncoin Jig”(strum)
Edwin
Long-a-Growing
Two Magicians
Twinkle Twinkle Little Star
“To Know Him Is to Love Him” (Phil Spector)

Maddy Prior vocals
Tim Hart guitar, electric dulcimer, banjo, vocals
Rick Kemp bass, vocals
Bob Johnson electric and acoustic guitar, vocals
Peter Knight fiddle, mandolin, banjo, piano, vocals
Nigel Pegrum  drums, recorder, flute, oboe, tambourine

* Le rimanenti canzoni del disco non sono rilevanti nel mondo della folk music e sono state inserite probabilmente sull’onda del successo commerciale di cui godeva il gruppo in quel momento. La banale e melensa “To Know Him Is to Love Him” scritta da Phil Spector, contempla perfino un inutile David Bowie al sax alto.
Le canzoncine “Now We Are Six” e “Twinkle, Twinkle Little Star” sono interpretate dal coro infantile della St. Eleye Primary School Junior Choir, con accompagnamento al piano da parte di Miss Knight.
[in realtà le voci camuffate dai sei della band]

Now we are six, full album
/ 5
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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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