Alan Stivell: tutti i testi di Trema’n Inis (Vers L’Île), 1976.

a cura di Flavio Poltronieri

Trema’n Inis (Verso l’isola), tutti i testi dell’LP. Di questo disco, nel sito amico Antiwarsongs.org sono presenti alcune lodevoli traduzioni da parte di ottimi traduttori (vedi relativi links), a cui rimando; a completamento d’opera provvedo per le restanti canzoni.

Alan Stivell

Alan Stivell trae i testi di Trema’n Inis da opere sia di poeti della sua generazione che della precedente:
1- Stok Ouzh An Enez (In Vista Dell’Isola) [Youenn Gwernig, Stivell]
2- Hommes Liges Des Talus En Transe
(Uomini Ligi Ai Terreni Argillosi Delimitati Da Muretti Di Pietra) [Paol Keineg, Stivell ]
3- Rinnenn XX (Arcano XX) [Gwilherm Berthou, Georges Cochevelou]
4- An Eur-se Ken Tost D’ar Peurbad (Quest’Ora E’ Così Vicina All’Eterno) [Maodez Glanndour, Georges Cochevelou,]
5- Negro Song (Canzone del Negro) [Pêr Denez, Stivell]
6- E-tal Ar Groaz (Faccia Alla Croce) [Yann Sohie, Stivell]
7- Ar Chas Doñv ‘Yelo Da Ouez (I Cani Ridiventeranno Selvaggi) [Yann-Ber Piriou, Stivell]

A metà degli anni settanta il folk-rock europeo si trovava in un periodo di transizione: dopo i trionfi mondiali i Fairport Convention erano implosi dimezzandosi perfino il nome [1], gli Steeleye Span toccavano il loro punto più commerciale con All Around My Hat e i Malicorne erano appena nati.

Alan Stivell aveva trentadue anni, poche settimane prima che questo minimalista LP arrivasse sul mercato, aveva sciolto definitivamente il mitico gruppo che aveva originato il suo successo all’Olympia di Parigi. Sull’onda del momento una parte di quei musicisti formerà il gruppo Ys con l’intenzione di non farsi troppo ingabbiare da presunti “limiti celtici”, rifiutarono anche l’offerta di Alan a firmare un contratto discografico con la propria etichetta “Keltia III” ma i risultati furono davvero scarsi e deludenti.

Trema’n Inis

Trema'n Inis
Trema’n Inis Alan Stivell

Trema’n Inis (Verso l’isola) è concepito nella casa di Stivell con intento divulgativo ed evita completamente canti tradizionali e arie da danza, a favore di una canzone d’autore folk introspettiva.
Si tratta di un LP evocativo e intimo di poesia musicata in dialetto bretone (a parte Hommes liges…) con testi scelti da opere sia di poeti della sua generazione che della precedente. Le musiche dei brani numero tre e quattro risultano composizioni antecedenti di suo padre Jord [Georges Cochevelou], mancato nel dicembre precedente e al quale il disco è dedicato, in virtù della sua magistrale opera di resurrezione dell’arpa celtica a inizio anni cinquanta.

I due brani in questione vengono interpretati proprio su quel prezioso prototipo originale di strumento con corde di nylon e il loro registro religioso risulta perfettamente illustrato dalla seducente immagine ricca d’ombre della copertina. Immagine “pre-romana celtica” delle colonne di granito scolpito della chiesa di San Pietro e Paolo di Langonnet, dove Stivell all’epoca vive.

Per il resto le melodie sono tutte originali di Alan con sovra-incisioni di arpe contemplative, spirituali e fluide (sul testo di Gwernig), cristalline quanto dissonanti, brusche o impetuose (sul testo di Keineg) o perfino in chiave di chitarra bluesy (sul testo di Denez). Suona anche bombarda e organo e solamente nel brano finale (testo di Pirioù) lo raggiunge per un cameo, Dan Ar Braz alla chitarra elettrica. Stivell prosegue il suo percorso di “progressione dialettica” in alternanza di un disco elettrico e uno tradizionale, seguendo in questo modo la spirale sempre presente in ogni arte celtica. I poeti presi in considerazione sono molto differenti tra di loro sia sul piano umano che intellettuale e letterario.

Il primo brano, scritto dal collega cantautore bardo Youenn Gwernig esprime una tensione collettiva e silenziosa verso l’approdo a un’Isola misteriosa e attraente ma la dedica al padre defunto richiama altre isole e altre barche. Come ad esempio, quella dei “trépassés du Cap Sizun” o della tradizione leggendaria dell’ultimo viaggio dei druidi verso la sepoltura a Sein o ancora quella che porta a Avalon dove fu condotto Re Artù dopo la battaglia di Camlann e dove riposa. Ma potrebbe trattarsi pure dell’isola mistica metafora del superamento del se verso un mondo più a misura d’uomo.

Il secondo pezzo è di Paol Keineg e venne pubblicato nel 1969 (assieme a “Vento di Harlem”) dall’editore Pierre-Jean Oswald, con una copertina in cui originalmente campeggiava la scritta “Bretagna socialista” (all’interno della collezione “L’alba dissolve i mostri”). Il nome del poeta di Quimerc’h in quel caso veniva ortografato Paol Quéinnec, aveva venticinque anni, appartenendo perciò alla stessa generazione di Stivell (è nato un mese prima di lui), laureato in lettere moderne, era uno dei fondatori dell’UDB (Unione Democratica Bretone), partito autonomista di sinistra.

Una lunghissima lirica che non separa mai lotta politica da risveglio poetico ma anzi le associa in un impegno che apparteneva allora un po’ a tutti gli scrittori editi da Oswald. Esorta al coraggio, a “germinazioni segrete” come Émile Zola quando denunciava la “congiura del silenzio” e assimila le ferite del popolo bretone a quelle di Cristo, come Francisco Goya nel dipingere “El tres de mayo de 1808 en Madrid”, quando denunciava l’oppressione napoleonica. Trattasi di una selvaggia poesia di vento, nubi e sale contro la spoliazione del sangue stesso di un Paese che sembra levarsi e parlare con i suoi più intimi movimenti naturali, utilizza un linguaggio profondamente radicato e tagliente che aderisce al quotidiano contadino del vissuto bretone. Nella Bretagna di quegli anni tutta l’arte (e non solo) parlava di “colonizzazione” da parte di Parigi e della Francia, si anelava a una autogestione socialista. Nella litania di Hommes Liges… è il destino del proprio popolo che l’autore legge in se stesso, una storia di fango e servitù che inizia con la pioggia incessante che cade “sui galli della brughiera, le costellazioni di betulle bianche, gli aratri mattutini imbrattati di creta, sul pane caldo, sui pavimenti di aghi di pino…” Si tratta indubbiamente di una poesia derivante dall’arte incantatoria degli antichi bardi, dove l’ondata violenta che bagna campagna e uomini, rinnova poeticamente una specie di “Battello Ebbro” bretone di rimbaudiàna memoria. Le parole di Keineg si collegano immediatamente e inevitabilmente all’appello dei tempi nuovi di liberazione e verranno dichiaratamente apprezzate anche dal collega surrealista Louis Aragon nel 1973. La cascata di note musicali che l’arpa di Stivell sa far sembrare gocce di pioggia salvifica, unita alla voce che sottolinea l’esilio e lo sradicamento, portano questa poesia sonora di fraternità verso un “più lontano”, anche se purtroppo il cantante evita di citare il passaggio dove Keineg parla delle “donne fresche”. L’ultima strofa è accompagnata dall’organo.

La terza poesia si deve al contrario al massone Gwilherm Berthou (1908-1951) divenuto poeta Kerverzhioù e rappresentante prima della frazione radicale del partito nazionalista bretone di estrema destra e in seguito del movimento neo-druidico. Il poeta, appartenente al celebre movimento Gwalarn, la cui rivista bimestrale (il primo numero uscì nel 1925) fu fondamentale per la rinascita letteraria bretone, era anche linguista e uomo di scienza. L’“arcano” rappresenta la preparazione misteriosa solitamente riservata agli adepti e c’è chi sostiene che “i poeti esistano proprio per manifestare gli arcani del mondo”. In questo testo c’è un fermo richiamo all’ordine o ad impegnarsi maggiormente che lascia comunque aperte svariate possibilità interpretative, di differente natura.

Il quarto brano è di Maodez Glanndour (1909-1986), pseudonimo dell’abate Loeiz Ar Floc’h, originario di Pontrieux e rettore a Louannec nel Trégor, scrittore, dottore in filosofia, traduttore in bretone di testi evangelici e biblici, anch’egli appartenente al movimento letterario Gwalarn di Roparz Hémon, lo scrittore più importante di questa letteratura e autore di un monumentale dizionario storico della lingua bretone. La poetica di Glanndour ha sfruttato al massimo le risorse musicali della lingua bretone, come il precedente anche questo testo che evoca il Mistero è una scelta di Stivell in evidente e struggente ricordo del proprio padre.

Il crudo quinto testo Negro Song, appartiene a un altro grande poeta di Rennes, nato a Saint-Lunaire e pubblicato da Oswald, ovvero Pêr Denez (1921-2011), scrittore, universitario alla Facoltà di lettere, traduttore di Edgar Poe e a cui si deve una buona spinta alla creazione di una licenza in bretone da parte di François Mitterrand (1981). Un vero e proprio blues armoricano dove l’autore ricorda di come i Bretoni siano stati a lungo anche soldati al servizio della Francia, da Verdun all’Indocina, oltre che muratori edificatori di Parigi e domestici al servizio dei potenti francesi e abbiano contribuito essi stessi a far subire la loro stessa miserabile sorte ad altre sfortunate genti. Questo testo era stato precedentemente (1972) musicato alla chitarra e inciso anche dall’amico fraterno Evgen Kirjuhel nel suo disco d’esordio.

La penultima poesia messa in musica è Faccia Alla Croce e parrebbe essere l’unica composta in bretone durante la sua breve vita, da Yann Sohie (1901-1935), insegnante, antimilitarista, anticlericale, antifascista, internazionalista e militante della lingua. Il testo racconta delle sette bare di sette donne anziane decedute durante l’inverno nel villaggio di Kernévez, borgo del Finistère, che portano nel loro viaggio eterno, il bretone, “anello d’oro che univa i cuori nuovi dei bambini ai cuori degli anziani”. Le assonanze in “ez” e la continua ripetizione di “seizh” (sette) ne fanno un testo molto musicale che Stivell prima recita e poi canta all’arpa.

Il disco termina con un testo profetico di Yann-Ber Piriou di Lannion (sempre pubblicato da P.-J. Oswald) che riprende la tematica cara, che riaffiora in più parti del disco, che i Bretoni debbano finalmente rialzare la testa dopo aver vissuto timidamente lunghi secoli di vergogna.

Quando Trema’n Inis fu commercializzato alla fine del 1976, la Francia di Giscard d’Estaing si trovava nel pieno di un grande sciopero degli artisti, iniziato il 18 di novembre e che durerà per settimane; in dicembre si fermeranno anche i giornali nazionali e quindi nessuna promozione verrà organizzata.

1- Stok Ouzh An Enez (In Vista Dell’Isola)

Pep-hini bremañ a rank chom mut
na c’hoarzh na c’harm
na trouz, mar plij, pep-hini!
Ne vo ket tizhet an Enez ma venn da bep-hini balbouzat;
arabat dihuniñ ar gwrac’hed
Ken kizidik a hun.
Da be vad merdeiñ ken pell all
ma’z eo ret mont d’ar strad ouz genou an aber?

Sellit,
hag e oa ken glas-se ar gwez en hoc’h huñvre?
Ha c’hoazh dindan ar man e sourr
dourioù kuzh,
klevit,
met ne larit mann.

Marteze vo ret dilestrañ e donvor
ha mont war neuiñ daveti;
marteze vo ret mat neuial
davet an Enez
en noz:
ne vo stourm ‘met etre hor c’horfoù hag ar mor.
ne vo klevet met tarzh ar mor war an aod,
luskellerzeh, luskellerzeh,
mar plij, mar plij,
arabat dihun ar gwrac’hed!

Ne vo klevet met trouzig hon treid
war an traezh
ha kri ha skreved
Hag an Enez vo deomp,
marteze.

Che ciascuno ora taccia
niente risate, niente grida
niente rumore, per favore, per favore!
Non raggiungeremo l’Isola se ognuno si mette a chiacchierare;
non svegliamo gli onischi
dal sonno così leggero
a cosa serve navigare così a lungo
se bisogna affondare all’entrata dell’estuario?

Guardate,
gli alberi di cui sognavate erano così verdi?
E ancora sotto il muschio frusciano
acque segrete,
ascoltate,
ma non dite niente.

Forse bisognerà sbarcare al largo
e raggiungerla a nuoto;
forse bisognerà
nuotare verso l’Isola
nella notte:
sarà la lotta dei nostri corpi contro il mare
e il rumore del mare fragoroso sulla costa,
ninnananna, ninnananna,
per favore, per favore,
non svegliate gli onischi!

Non si sentirà che il rumore sordo dei nostri passi
sulla sabbia
e il grido dei gabbiani.
E l’Isola sarà nostra,
forse.
Traduzione italiana di Flavio Poltronieri (dal volume “Koroll Ar C’hleze” – Danza della Spada – Raccolta di testi bretoni contemporanei – 1985)

3- Rinnenn XX (Arcano XX)

Henozh e barr an neñv em eus gwelet un ael,
mirer ar garourion na gavont ket o far,
na zeuio den biken da vruzunañ o c’hael,
na zeuint ket a-benn da gas kuit an arvar.

Henozh em eus gwelet un ael e barr an neñv
a lâre din krediñ en Dichadennaouer,
rag eok a-walc’h edomp evit hor breviñ kreñv:
“Me a zeuio en ho metoù evel ul laer”.

Henozh, e barr an neñv, un ael am eus gwelet,
a c’harme din: “Diwall ! ouzh ho parn me a vez;
eus ar pred o fuiñ, eus ar youl o kousket,
eus an deiz didalvez e tañvai ar vezh!

Questa sera in mezzo al cielo ho visto un angelo
guardiano degli innamorati che non trovano la loro anima gemella,
nessuno mai verrà a spezzare la loro prigione,
non arriveranno a rigettare il dubbio.

Questa sera ho visto un angelo in mezzo al cielo
che mi diceva di credere al Liberatore
poiché eravamo proprio maturi per essere sconfitti:
“Verrò in mezzo a voi come un ladro”

Questa sera in mezzo al cielo, un angelo ho visto,
mi gridava: “Attenti! Sono qui per giudicarvi;
del momento che fugge, della volontà che dorme,
del giorno senza valore voi gusterete la vergogna!”

Traduzione italiana di Flavio Poltronieri (dal volume “Koroll Ar C’hleze” – Danza della Spada – Raccolta di testi bretoni contemporanei – 1985)

4- An Eur-se Ken Tost D’ar Peurbad (Quest’Ora E’ Così Vicina All’Eterno)

Ar c’havaned zo aet pell zo da gousket en tour,
hag an heol splann zo aet pell zo en tu-hont d’ar bed.
Mouget eo sklerijenn an deiz…
Nemet em c’hambr, ur gouloù war enaou a vev,
em spered, ur gouloù
edon va ene, ur gouloù war enaou a vev. O Sklaerder-diabarzh, te ken tost d’ar peurbad!

Er-maez eo ar goañv, dibourc’h ar gwez, revet ar bleuñv
ar vougasenn fenozh a ren gant he dalc’h spontus
nemet em c’hambr war va burev,
Ez eus ur flammel ruz en he bleunioù.
Hag em c’halon ivez ur flammel ruz en he bleunioù,
em ene kuzh, ur flammel ruz en he bleunioù.
O Buhez er c’hevrin, te ken tost d’ar peurbad!

O’ Peoc’h. N’eus nep trouz:
tamolodet eo ar bed en e gousk;
an evned-kazh zoken ne c’harmint ket fenozh
hag em c’hambr, n’eus ken trouz;
em spered n’eus ken trouz.
Stêr vras va soñjoù-den a hañval chom digas,
didrouz!
Nemet e don va ene kuzh e klevan ur mouskan,
ur vouezh sklintin,
mouezh ur stivell, O Va fedenn!
O son ar vuhez-se, son ken tost d’ar peurbad!

dal profilo Facebook di Alan Stivell

Le cornacchie sono andate da molto tempo a coricarsi nella torre,
il sole luminoso se n’è andato da molto tempo dall’altra parte del mondo.
Spenta è la luce del giorno…
Ma nella mia camera una luce è accesa,
nello spirito una luce,
nella mia anima vive una luce accesa.
O chiarore intimo, tu così vicino all’eterno!

Fuori è inverno, spogli gli alberi, gelati i fiori
la nebbia stasera regna col suo sconforto
ma nella mia camera
la fiamma rossa di un ciclamino fiorito
e nel mio cuore anche, la fiamma rossa di un ciclamino,
nascosta nella mia anima, la fiamma rossa di un ciclamino.
O Vita nel mistero, tu così vicina all’eterno!

O Pace! Più nessun rumore:
il mondo si è rannicchiato nel suo sonno;
nemmeno le civette gridano stasera
e nella mia camera più nessun rumore,
nel mio spirito più nessun rumore,
il grande fiume dei miei pensieri umani sembra arrestarsi,
silenzio!
Ma nel fondo nascosto della mia anima sento ronzare
una voce limpida,
una voce di zampillo, O mia preghiera!
O Canto di quella vita, canto così vicino all’eterno!

Traduzione italiana di Flavio Poltronieri (dal volume “Koroll Ar C’hleze” – Danza della Spada – Raccolta di testi bretoni contemporanei – 1985)

[1] in preda alla confusione totale perfino Simon Nicol se ne va, nelle mani del solo, gigioneggiante Dave Swarbrick non sapevano più neppure quale direzione musicale intraprendere, della nuova formazione fa bizzarramente parte anche proprio Dan Ar Bras, per concludere il contratto con la Island Records viene assemblato uno scialbo disco che non si può neppure definire folk music

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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