L’uomo con la barca

C’è un racconto bretone che ho ascoltato una volta in un «filò» vicino al Roc’h Ruz, sui Monts d’Arrée. Diceva ci sia stato un tempo dove, tra Penhors e La Torche, non era rimasta che una sola barca. Nessuno ha capito mai dove fossero finite, ma il fondo del mare ne sapeva di certo qualcosa.

L’Uomo con la Barca e la Barca dell’Uomo

Quel pescatore però al posto della barca era come se avesse perduto il proprio nome, perché tutti lo chiamavano “L’Uomo con la Barca”. Si trattava di un tipo taciturno come taciturna era sua moglie. Una contadina che faticava in un campo sottratto alle paludi e ai sassi, per portare a casa le patate da mettere nel piatto a cena, accanto al pesce. Una pia donna che ogni tanto cantava al Signore “…per nativitatem tuam, per crucem et passionem tuam, per sanctam resurrectionem tuam”.

All’imbrunire, in lontananza si udivano i rintocchi della campana e lei cantava più forte, pregando di ottenere protezione da “fulgore et tempestate, ut fructus terrae dare et conservare digneris, te rogamus, audi nos, libera nos, Domine”.
L’Uomo con la Barca amava il mare più di qualsiasi altra cosa al mondo e l’accudiva amorevolmente, accarezzandole l’albero, la vela, lo scafo. Non avrebbe mai preso in mano una zappa o raccolto una patata, così come d’altronde, la moglie non avrebbe mai superato la linea delle alghe. Era una specie di tacito accordo tra di loro.

L’Uomo con la Barca e l’ultimo soccorso in mare

L’uomo con la Barca

Una notte di settembre, una nave finì addosso alle rocce al largo di Penmarc’h, il vento impazzava furiosamente, distruggeva ogni cosa, strappava le vele, ne portava lontano i brandelli. Alcuni finivano nelle terre dei contadini, che non si facevano certamente pregare per raccoglierle, portarle a casa dove le mogli li avrebbero lestamente trasformate in pesanti e resistenti camicie per l’inverno.
Il pescatore stava battendo la costa in mezzo alla tempesta e cavalcava temerario sulle onde altissime. Tra mille difficoltà cercava di raggiungere il relitto e portare un aiuto a quelli che erano sopravvissuti. Per tutta la notte durò la sua lotta, andò avanti e indietro per sei volte e al sorgere dell’alba era riuscito a portare in salvo diciassette naufraghi al porto di Saint-Guénolé. Non disse una parola e stanchissimo riprese il mare dirigendosi verso casa ma la sua barca si arenò sul greto e lui svenne stremato.

C’era bassa marea, il flusso dell’acqua lo rianimò per un attimo ma il suo respiro era affannoso, cadde di nuovo in ginocchio sui ciottoli che conducevano verso la sua casa e perse ancora i sensi. Il mare nel frattempo avanzava lentamente, ma neanche troppo lentamente, infatti le onde in breve gli arrivarono fino alle spalle. Lui tentò di rialzarsi ma cadde di nuovo. Vide la sua barca allontanarsi al largo da sola, poi il rumore dello sfracellarsi della chiglia sulle rocce. All’udire ciò, anche lui si lasciò andare e venne inesorabilmente inghiottito dai flutti. Era arrivato fino al vialetto di casa, a trenta passi dalla moglie, che nel frattempo lo stava aspettando dietro la linea delle alghe, in piedi.

Nell’ attesa lavorava con il ferro e la lana e non si accorse di niente. Finita la calza, la posò e si mise ad intonare la solita, antica preghiera campagnola rivolta al cielo e che va bene sia per chiedere la pioggia che per scongiurare l’ arrivo delle carestie, delle pestilenze o delle guerre: “a peste, fame et bello, libera nos Domine». Cantava con ardore le sue invocazioni e le sue suppliche: “ab omni peccato,ab ira tua, ab insidiis diabuli, a spiritu fornicationis, a morte perpetua, libera nos, Domine”.

La Barca dell’Uomo

Suo marito non tornò più a casa e lei rassegnata, continuò la propria vita, al posto dei pesci le venne voglia di mangiare del lardo salato. Era saporito assieme alle sue patate. Si costruì pian piano, da sola un piccolo porcile e quando il mare le restituì la barca, utilizzò il fondo rimasto miracolosamente intero, come tetto per riparare il maialino. Cantò ancora molte volte le sue litanie che chiedevano al Signore la liberazione dal peccato, dall’ira divina, dalle insidie del diavolo, eterno nemico. L’unica differenza tra la sua vita di prima e quella attuale era che adesso la piccola donna bretone veniva da tutti soprannominata “La Barca dell’Uomo”.

Camille Godet, La tour carrée St Guénolé Penmarch ou La récolte des pommes de terre, 1932

Accordi d’arpa e scie del mare

Andando per questo mare, qualche intrepido avrà senz’altro incontrato le banshees (1) al chiaro della luna. In Bretagna tutto sembra essere accordato con gli elementi che nutrono l’immaginario atlantico. Anche l’arpa è accordata con le correnti del mare forte di Dana o quelle che si intrecciano all’infinito, tra Douarnenez e le Orcadi. Nel 1988, l’Unesco ha dichiarato “Riserva della biosfera”, il Mar d’Iroise. E’ il tratto di mare dotato della più alta concentrazione di fari di tutta Europa. Qui è un’impresa perfino il cambio della guardia tra un turno e l’altro. Queste mitiche vedette marine sono perennemente battute dai sette venti e in lotta con le tempeste. Saint-Mathieu: la penisola di Crozon, la stretta di Brest, Pierres-Noires e altri “Inferni”… navigare da un’isola all’altra è un tema ricorrente nella mitologia celtica, un mito costante come gli scogli o le piccole isole che le carte geografiche non riportano.

 Henry Moret – Rochers De Goulphar

Sotto le onde di quell’immenso tempio che è l’Oceano, fileranno sicuramente, a noi invisibili, anche barchette votive in bronzo. Fileranno veloci lungo canali di comunicazione perennemente aperti verso un cammino conosciuto e segreto assieme. Come il filo della matassa dei “filò” della Lessinia (2) dove abito io.
Intanto dall’acqua, l’arpa continua a portare suoni altrimenti inimmaginabili. Forse quelli dei Shardana (3) che conoscevano i misteri e i segreti che hanno perennemente abitato i santuari nuragici e i ripostigli delle profondità.
Se vai sul mare bretone puoi immaginare la traccia bianca che i curraghs (4) lasciavano dietro di se verso Bran, Maelduinn o Brendan, perchè assomiglia alle vibrazioni delle corde dell’arpa dei Celti.

NOTE

(1) spirito femminile il cui lamento avverte di una morte imminente in una casa (il termine è derivato da una leggenda irlandese).
(2) https://www.blogfoolk.com/2019/06/lessinia-folk-cimbro-degli-anni-2000.html
(3) nessuna informazione certa di questi Popoli del Mare è giunta dai documenti greci o ittiti; hanno fatto parte di molte aree culturali orientali: Antico Egitto, Siria, Palestina, Fenicia, popoli dell’Egeo-Anatolia, qualcuno sostiene fossero Sardi, chi Siriani, chi Greco-Micenei; in Irlanda sono chiamati “Tuatha Dé Danann.
(4) barchette utilizzate per la navigazione lunga la costa, con due piccole vele, ricoperte un tempo di pelli bovine, spalmate di grasso e zavorrate da un’enorme pietra. Misurano dai quattro ai sette metri di lunghezza e molti monaci irlandesi tra il V° ed il VI° secolo, giunsero in Bretagna proprio in questo modo, dall’Irlanda (da cui si legge spesso che i santi bretoni arrivarono qui su delle “navi di pietra”).

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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