Magninà la questua di Carnevale nel Basso Piemonte

La Magninà ovvero la mascherata dei magnini, canzone tradizionale per la questua di Carnevale nello specifico delle Langhe e Roero.

la Magninà
Il Magnin (calderaio), xilografia dal dipinto Enrico Yunk 1879

I Magnini sono (o meglio erano) gli stagnini o calderai, gli ambulanti ormai scomparsi che riparavano il pentolame di cucina, e altri utensili in rame.
Nelle Langhe e Roero la loro figura è associata a una questua benaugurale seguita dal polentone cucinato nella pubblica piazza e distribuito alla popolazione.

Sono molti gli storici polentoni, oggi diventati occasioni per degustare le specialità enogastronomiche del territorio, che nelle Langhe astigiane vengono ricondotti a una comune leggenda (alquanto improbabile).
Dei calderai ambulanti laceri e affamati giungono in paese e fanno leva sul buon cuore del castellano, (ovvero capeggiano la sommossa della popolazione stremata dalla carestia e infuriata per l’aumento delle tasse) il quale dona loro una grande quantità di farina di granoturco. I calderai preparano il polentone nel loro accampamento improvvisato e invitano tutta la popolazione a mangiare con loro. In alcune versioni donano al paese il grande calderone nel quale viene tradizionalmente cucinata la polenta “commemorativa”.

In realtà il polentone è una tradizione legata alle questue benaugurali del mondo contadino, che in questo ambito territoriale è associata alla figura del calderaio.

Magninà

E’ stato grazie al “Gruppo spontaneo di Magliano Alfieri” coagulatosi attorno alla figura carismatica di Antonio Adriano che nel Roero (Basse Langhe e Basso Monferrato) hanno ripreso vita consuetudini contadine perdute, relative ai canti di questua, quali il Cantare le Uova, il “Cantè Magg” e La Magninà, una mascherata praticata ancora nel secondo dopoguerra, con i magnin, uomini travestiti da stagnini, che andavano in giro cantando La Magninà. Negli anni Sessanta e Settanta i figli di quei contadini, hanno cercato di riallacciare il filo di una tradizione spezzata dai loro stessi padri, ricantando e suonando quelle canzoni e melodie, per rivivere la tradizione in prima persona.

Archivio del Centro Ricerca Etnomusica e Oralità (C.R.E.O.)
Intervista a Renato Castello

(versione Cantovivo)
E noi i soma set fratej
ch’i venima dal pais
e la prima ad ancontré
na fijeta da maridé
Pairol l’é rot madamisela
ramin-e e bronse da far acomodé.

Dime ‘n pò o voi bela fija
se vi veuli maridé
Òhi sì sì che mi ‘m maridria,
sposerìa ‘l pairolé.

Dime ‘n pò o voi pairolàire
‘d che pàis në seve voi
e noi i soma dei montisèj
‘ndoa ch’a-j fan l’anbecà a j’àusèj
Dime ‘n pò o voi pairolàire
e che vesta ‘m veuli compré
La comproma di setin
a la mòda dij magnìn
Dime ‘n pò o voi pairolàire
e che anel im veuli compré
Lo comproma di aràm
a la mòda dij montanar
Dime ‘n pò o voi pairolàire
che mesté ‘m feve fé
I’é da cuse e da filé,
la polenta l’é da toiré
E noi i soma bei magnìn,
i rangioma ij pairolìn
tuti ‘nsema ‘s doma da fé
s’a-i é ‘d padele da stagniné.

Salutoma tucc coj dla ca,
vej e giovo e le masnà
ringrassioma sor padron
e v’anvitoma al polenton.

traduzione italiana Cattia Salto
Siamo sette fratelli
che veniamo dal paese
e la prima che incontriamo
è una ragazza da maritare.
Paioli rotti, madamigella,
tegami e casseruole da far aggiustare.

“Ditemi un po’ bella figliola,
se vi volete sposare?”
“Oh si che mi sposerei
prenderei il calderaio”.

“Ditemi un po’ calderaio
di che paese siete?”
“Siamo di Monticello d’Alba (1)
dove imbeccano gli uccelli (2).”
“Ditemi un po’ calderaio
e che abito mi comprerete?”
“Lo compriamo di raso (3)
alla moda degli stagnai”
“Ditemi un po’ calderaio
e che anello mi comprerete?”
“Lo compriamo di rame
secondo l’usanza dei montanari”
“Ditemi un po’ calderaio
che mestiere mi farete fare?”
“C’è da cucire e da filare
la polenta da togliere.”
E noi siamo gli stagnai
aggiustiamo i pentolini
tutti insieme ci diamo da fare
se ci sono delle padelle da stagnare.

Salutiamo tutti quelli della casa,
vecchi, giovani e bambini,
ringraziamo il signor padrone (4)
e v’invitiamo al polentone!

NOTE
Gruppo spontaneo di Magliano Alfieri iniziano con “Noi siamo di Monticello e mio padre è il più bello”. Poi chiedono alla bella ragazza da quale paese provenga. Lo stagnino vuole sposare la ragazza seduta sulla panca. E’ la volta della ragazza che dice “O si io lo prenderei, anche se è tutto nero”. (il viso sporco di fuliggine è dovuto al fuoco della fucina portatile sempre ravvivato per poter stagnare le pentole) Il canto termina con “E adesso che la polenta è ben pagata, alla polenta siete invitati”
1) Montisel
2) la seta in piemontese si dice seda, satin è il raso
3) non so se sia un modo di dire
4) la frasi sono quelle tipiche dei canti di questua

la versione del Gruppo spontaneo di Magliano Alfieri
il testo è leggermente diverso da quello qui riprodotto, vedasi nelle note.
Cantovivo in La Lüna E ‘L Sul (1983) ultima traccia La Magninà
(Alberto Cesa, Donata Pinti, Umberto Rinaldi, Franco Lucà, Livio Cardone, Guido Costa & Claudio Montafia)

Link
http://www.stamperiastampeantiche.it/dettaglio-eng.php?numero=36619
https://culturalimentare.beniculturali.it/sources/sagra-del-polentone
http://www.winepassitaly.it/index.php/It/2013-04-04-14-09-58/zone-del-vino/acquese-e-ovadese/itinerari-acquese-ovadese/la-leggenda-dei-polentoni

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Pubblicato da Cattia Salto

Amministratore e folklorista di Terre Celtiche Blog. Ha iniziato a divulgare i suoi studi e ricerche sulla musica, le danze e le tradizioni d'Europa nel web, dapprima in maniera sporadica e poi sempre più sistematicamente sul finire del anni 90

3 Risposte a “Magninà la questua di Carnevale nel Basso Piemonte”

  1. Per mia fortuna quand’ero piccolo io, l’unico con la faccia dipinta di nero era lo spazzacamino che compariva in quello che per me era il momento più bello dell’anno, spesso con il silenzio della neve. Da quell’atmosfera è nato qualcosa che mi ha portato per sempre verso la poesia. Niente processioni, persone mascherate, doni o danze. Se fossi nato in Inghilterra e in altra epoca folcloristica, oppure in seguito, drammatica, chissà…comunque il grande Barbarani, di cui ho scritto anche qui:
    https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=56608
    recitava: “…la Berlina dà ricovero nel minuscolo atrio ad un gruppo di spazzacamini che sognano la fuliggine del loro martirio…”

  2. Cara Cattia, due curiosità.
    Qui, nel dialetto veronese lo stagnino o calderaio viene detto “parolòto”. Per esempio un bambino capriccioso e disobbediente poteva venir spaventato così: “Vàrda che vien al parolòto!” ovvero “Attento che viene l’uomo nero!”
    Il termine “polentón” invece non identifica la piatanza bensì un personaggio sfaticato, uno tipo abbastanza grosso e pesante che si suppone mangiasse per esserlo, parecchia polenta, non è propriamente dispregiativo ma neppure benevolo.

    1. Durante la ricerca su questo mestiere scomparso ho letto che all’occorrenza castravano anche gli animali domestici o da cortile, per via degli attrezzi di lavoro adoperati! Insomma i bambini veronesi si mettevano subito sull’attenti dopo una minaccia del genere.
      E il fatto che il volto dello stagnino fosse affumicato di nero non è casuale nell’ambito del mumming e dei mascheramenti rituali! I bambini si affollavano sempre davanti al calderaio al lavoro, affascinati dalla sua fucina.

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