La Rivière Tanyé: D’Lorient à l’orient

Ninnananna dalla Bretagna al Bengala, passando per Cina e Oceano Indiano

In mezzo alle onde di Bretagna c’è una polifonia orchestrata dai flutti: echi di risacca e grida di uccelli formano la musica dell’Oceano, mentre le parole sono quelle del popolo del mare: Ulisse, San Brendan di Clonfert, Sindbād, Vasco de Gama, Yves Joseph Christophe di Kerguelen-Trémarec, Jean-Baptiste Charcot, Alain Colas…l’onda non si ferma mai, ma la mouette tutti i giorni s’immobilizza nel letto del contro-vento, a urlare di strazio. Lo faceva di sicuro anche quando questi cavalloni si abbattevano furiosamente sui disgraziati marinai di vascelli dalle stive marce d’umidità e piene da scoppiare di carillons e patate. Con le quali andavano avanti e indietro da terre e isole dai nomi leggendari e magici.

Le rotte dei velieri

Nell’acqua un tempo si incontravano suoni provenienti da ogni riva. Anche in quei luoghi remoti c’erano delle genti che vivevano e pregavano in faccia ai loro venti e alle loro maree, intenti a vendersi l’anima per poco o niente o ad innalzare templi a fortuna e casualità. Luoghi come Surat, Pondicherry, Karaikal, Chandannagar, Mahé, Gao, Sumatra, Yanaon, Malabar…

Quando le vele tornavano nei porti di partenza scaricavano sacchi di cannella da Ceylon, chiodi di garofano dalle Molucche, tè verde da Moka, caffè da Bourbon, sete, porcellane, lacche e vernici da Nankin…

La regione di Bretagna e la regione del Tibet sono terre estreme, non di passaggio ma di isolamento, e per questo rimaste sempre in stretta relazione con la propria espressione spirituale e culturale più antica e profonda. La prima è addossata al mare, la chiamano “Penn ar bed” (Testa del mondo), l’altra è arroccata al cielo, fino a diventare “Toenn ar bed” (Tetto del mondo). Il Tibet è l’altopiano più alto della terra, mediamente circa 5000 metri e comprende anche l’Everest. E’ inimmaginabile una terra che più di questa sia capace di mettere in contatto l’uomo con l’eterno: l’immensità delle catene montuose che paiono non aver una fine, può indurre a qualsiasi rinuncia. Ci sono molti luoghi nella Natura nei quali Dio, qualunque sia la forza che noi immaginiamo esista sotto questo nome, ha impresso i segni evidenti della Sua onnipotenza. Le mistiche vette tibetane sono uno di questi. La coscienza di queste genti sconfina facilmente nello sciamanesimo e la morte è talmente onnipresente da diventare percezione magica. Il Bardo tibetano è prossimo all’Ankou bretone. I visi dei bretoni come quelli dei tibetani sono marcati dalla forza di sole e venti. A questi popoli è stato chiesto dalla storia di lottare allo stremo per la salvaguardia della propria identità. Per i primi, i tempi bui sono passati, i secondi purtroppo restano ancora e sempre nel cuore della tormenta. Anzi oramai non è più solamente una questione di salvaguardare una cultura ma proprio la vita stessa.

La matrice indoeuropea

Musica celtica e musica indiana sembrano appartenere a universi lontani ma così assolutamente non è. I Celti sono di origine indoeuropea e le concordanze basilari di quei suoni sono rimaste: la grande spiritualità, l’uso di strumenti a bordone o dalle corde simpatiche (nella vielle à roue come nel sitar), le gamme orientali, l’uso di voci e delle danze in rapporto al ritmo. Ovviamente quelle musicali non sono le uniche affinità, basta osservare i costumi tradizionali od inoltrarsi nei gusti delle due cucine.

La musica sacra tibetana è parte fondamentale dell’universo delle tradizioni religiose da tempi immemori ma in Occidente poco si sa della cultura popolare e della ricchezza del patrimonio delle tre provincie del Kham, Amdo e Tibet Centrale, della musica colta di quella regione. Assai amaramente bisogna annotare che quel poco è arrivato solo grazie all’emigrazione forzata di parte di quelle genti. Comunque le notevoli affinità con la musica bretone sono sorprendenti sia nelle danze che nelle voci a risposta. Senza dimenticare i modi pentatonici, i timbri strumentali e la pratica ricorrente del canto riservata alle piccole realtà familiari. Il ritmo della laridée di Vannes, che era il ballo più popolare nel Morbihan meridionale all’inizio del 1900, si sposa perfettamente con la sonorità del liuto tibetano. E, anche se privo di qualsiasi sbocco sul mare, il canto dei popoli del Nepal dell’est, trova una eco sorprendente in quello tradizionale del Pays Vannetais, nel sud della Bretagna. Le influenze orientali nelle melodie celtiche possono emergere improvvisamente qua e là nel suono di una cornamusa, così come in un kas a barh, l’antica danza emblematica che significa “andare verso l’interno” o in una ninnannna bretone dove tra le linee della voce il suono di un sitar può proporre un kan ha diskan.

Le Isole Mascarene

In mezzo all’Oceano Indiano c’è La Réunion, dipartimento francese d’oltremare nel Tropico del Capricorno a 170 chilometri a sud-ovest di Mauritius, piccola isola di microclimi nelle Mascarene[1] che ha preso forma intorno al suo vulcano.

Gli Arabi durante il Medioevo la chiamavano Dina Morgabin, ovvero “Isola che riposa”. In questo antico paradiso dei Dodo si ascolta una ninnananna creola chiamata “La Rivière Tanyé” (La Bourbonnaise) che narra di un’anziana donna che pesca nel fiume.

Questa terra sembra un kalou dove si mescolano, amalgamandosi, i differenti colori e le spezie musicali di un sorprendente viaggio atemporale. Il ritmo della ronde, ballata delle fest-noz europee, si sposa perfettamente con la gamma di toni indiani, i passi di raga e di plinn si fondono in un’unica danza senza nome. In luoghi come questo qualcosa si accosta alla radice di qualcosa d’altro donandole una nuova nascita, la musica è pensiero, sentimento, un motto che non deve niente alla storia e tutto alla leggenda.

A Mauritius con la stessa ninnananna creola si addormentano i bambini, le due isole se ne attribuiscono l’origine ma la melodia proviene invece dalla Bretagna. Anche se siamo a quasi diecimila chilometri di distanza, qualche fotografia appesa nei bar ricorda ancora oggi i marinai di Saint Malo che intonavano le loro cantiques per chiedere protezione alla Vergine Maria Santissima. Erano quegli stessi che portavano le piante di caffè da Mokhā sulle coste yemenite del Mar Rosso fino all’Isola di Bourbon. Alcune arie da matrimonio attualmente quasi del tutto sparite in Bretagna, sopravvivono ancora a La Réunion, sulle alture di Saint-Louis, nel Circo di Cilaos, ai piedi del Piton des Neiges. E non è strano trovare delle affinità tra il dialetto “gallo” e il creolo, “koméla” ad esempio significa “lo stesso” in entrambe le lingue.

A La Réunion si parlano delle varietà di creolo molto diverse dal creolo antillese dove invece è la musica a non riprodurre e rispettare una tradizione rigida. La Capitale de La Réunion, Saint Denis viene chiamata la “Parigi dell´Oceano Indiano” e uno dei suoi quartieri porta per nome La Bretagne (Le Cerf). Un raga su una scala pentatonica cinese ricorda la strada della seta e rimanda a Canton, che fu per un po’ di tempo l’unico luogo aperto al commercio estero. Successe a metà del XVIII° secolo, allorquando l’imperatore cinese Qianlong chiuse i porti del paese agli stranieri. Fu proprio a Canton che finì per concentrarsi tutto il commercio di oppio. Venivano immagazzinate le merci in partenza per Europa e America, ogni nazione pagava e aveva riservato a disposizione in affitto un proprio edificio come deposito.

Isole Mascarene
Isole Mascarene

I colori del mondo

Le antiche dinastie imperiali cinesi conoscevano bene gli effetti della musica sul popolo, sapevano che “viene dal cuore e va al cuore”. Già quella Tcheou, salita al potere nel 1030 a. C. teneva ben millequattrocento musicisti a corte. L’Imperatore Huangdi, il Dio Giallo, considerato fondatore della civiltà cinese che regnò dal 2697 e il 2597 a.C. aveva nominato addirittura un ministro per ordinare le basi di quella teoria musicale di sessanta tonalità differenti che fornisce le gamme sonore che ritroviamo ancor oggi nella musica indiana. L’alchimia della creolità del ritmo maloya arriva invece direttamente dagli schiavi africani, magasci e indiani e fu una danza messa fuorilegge dall’autorità francese a La Réunion fino agli anni settanta del secolo scorso. Si avvale di un tamburo basso a botte suonato con le mani (roulér), di un sonaglio piatto a base di tubi e semi di canna da zucchero (kayamb), di un idiofono di bambù (pikér) e di uno in metallo piatto (sati), entrambi percossi da bastoncini ed infine da un arco musicale (bob). Questo suono rappresenta i “colori del mondo” che riflettono le diversità, è il blues di queste genti che esorcizzano il peso di un passato atroce di schiavitù.

Un lontano popolo di Senza Nome, dimenticati dalla Storia assieme ai loro indicibili sacrifici sanciti dall’infame “Codice Nero” composto da sessanta articoli, promulgato dal Re Sole, Luigi XIV°, nel 1865. Una serie spaventosa di “crimini contro l’umanità” come li si definirebbero oggi nei Paesi dei Diritti dell’Uomo. L’articolo numero 44 negava loro perfino lo status di persone, definendole «meubles» ovvero mobilio. Nascevano già ereditando la loro condizione di schiavi dalla madre: schiavismo per discendenza! Neppure durante il Secolo della Luce evidentemente tutti gli esseri umani stavano sotto lo stesso cielo, inascoltate come furono le grida di quegli incatenati che attraversarono l’inferno in terra.

La Rivière Tanyé/ La Rivière Tanier (La Bourbonnaise)

Per il testo di La Rivière Tanyé/Tanié/Tanier, grazie alle informazioni preziose di Christopher Duff[2], originario di Mauritius, sappiamo che nel fiume Lataniers (che si trova nei pressi della capitale Port-Louis dove, all’epoca della colonizzazione, viveva la maggioranza della popolazione) tutti pescano questi pesciolini chiamati “bichiques”. E che i Mauriziani utilizzano la parola “ayo” per esprimere dolore, sorpresa, esasperazione, gioia…un po’ come fanno i Marsigliesi con “té” o i Reunionesi con “oté”. Si pensa provenga da “aïe, oh” ma anche in senegalese esiste in lingua Woloff una espressione simile “wayo” dove “waiyoyo” sta per lamentarsi di un dolore. Ci sono stati in passato schiavi senegalesi alle Isole Mauricius, tant’è che esiste un villaggio chiamato Camp Yoloff , nome derivante da Campo dei Woloffs.

 Pont des Lataniers. Mauritius
Richard Alfred litografia Souvenirs de Maurice, Pont des Lataniers, Mauritius 1853 circa (Musée Léon-Dierx)

Mo passer la rivière Taniers
Mo zouaine ene vié grand mama
Mo dire li ki li fer la
Li dire moi li lapeche cabo

Way way mes zenfants
Fo travay pou’ gagne son pain
Way way mes zenfants
Fo travay pou’ gagne son pain

Grand dimoune ki wa fé faire
Sa ki vié rest dans la caz
Li dir moi moi bien mizere
Mais mo ena tout mo couraz

Way way mes zenfants
Fo travay pou’ gagne son pain
Way way mes zenfants
Fo travay pou’ gagne son pain

Passo il fiume Lataniers
Incontro una vecchia nonna
Le domando cosa sta facendo là
Mi risponde che pesca pesciolini di fiume

Ahi, ahi, bambini miei
Bisogna lavorare per guadagnarsi il pane
Ahi, ahi, bambini miei
Bisogna lavorare per guadagnarsi il pane


Vecchia donna cosa state facendo
Gli anziani devono restare nella capanna
Lei mi risponde: sono molto povera
Ma possiedo tutto il mio coraggio

Ahi, ahi, bambini miei
Bisogna lavorare per guadagnarsi il pane
Ahi, ahi, bambini miei
Bisogna lavorare per guadagnarsi il pane

(traduzione italiana Flavio Poltronieri)

Folk Revival

Vista la bellezza della melodia, molti hanno cantato e continuano a cantare “La Rivière Tanyé”, anche trasformandola da ninnananna in qualcosa d’altro, ne esiste una versione più lunga e più recente, non tradizionale, che viene ripresa da diversi cantanti mauriziani. Tra i molti ad averla interpretata anche James Saint Pierre e l’Orchestre Folklorique des Mascareignes, è nel repertorio del gruppo Babord Amures, ne esiste una interpretazione corale offerta da Les Petits Chanteurs à la Croix de Bois, la più famosa è quella della diva mauriziana Joennise Juliette (soprannominata Larenn Sega).

Babord Amures
Jean-Pierre Boyer

L’interpretazione maggiormente conosciuta in Francia rimane però quella a cappella più coro, del compianto Graeme Allwright, incisa nel 1978 nel suo disco “Questions…” e non è certo una casualità poiché a metà anni settanta il cantante rimase stregato da quei luoghi e per un anno e mezzo visse stabilmente a La Réunion.
Graeme Allwright

live-session

Versioni Mascarene

Rosemay Nelson
Orchestre Folklorique des Mascareignes
Joennise Juliette in una versione testuale non tradizionale più recente[2]

[1] Il pianoro delle Mascarene è un pianoro oceanico, in pratica un continente sommerso, situato a nord-est del Madagascar e che si estende su 2 000 chilometri di lunghezza tra le isole Seychelles a nord e l’isola di Riunione a sud

[2] i testi con il commento di Christopher Duff http://babord.amures.info/paroles-chants-de-marins/la-riviere-tanier.html

/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.