A mi ‘m pias cul Giuanin

A mi ‘m pias cul Giuanin è una canzoncina comica piemontese sul matrimonio in cui la fanciulla vuole sposarsi perchè ha paura di restare zitella o perchè è rimasta incinta; in alcune versioni è disposta a prendersi pure Giaco Tross, l’ubriacone per antonomasia della tradizione torinese e monferrina, in altre Giaco Tross è citato come fidanzatino d’infanzia e come buon partito.


Le versioni testuali sono tante ma fondamentalmente siamo in presenza di un dialogo tra madre e figlia, con la figlia che dice alla madre di essersi innamorata di un giovane contadino, mentre la madre cerca di dissuaderla, proponendo una serie di corteggiatori puntualmente respinti dalla figlia. L’intento di questo contrasto è chiaramente burlesco e non mancano i doppi sensi. Un filone parallelo della storia è poi quello della madre che vorrebbe far sposare la figlia, mentre lei rifiuta tutti i pretendenti. Un ulteriore sviluppo del dialogo è quello in cui la figlia è presumibilmente ancora troppo giovane per sposarsi e la madre cerca di convincerla a rimandare le nozze all’anno successivo.

A mi ‘m pias cul Giuanin/Mi veui pième côl Giôanin

In questa versione, pubblicata in molti canzonieri, è solo la figlia a parlare.

Mi a m’ pias côl Giôanin
côl ch’a pianta i ravanin al cjar d’la luna.
E la luna l’é spuntà ravanin lé già piantà
mi veui marieme.
Mi veui pième ‘l Giacô Trôss
côl ch’a l’era ‘l me môrôs quand ch’i era cita.
Giacô Trôss va nen per mi
mama mia pijlô ti, sarai côntenta.
Mi a m’ pias côl Giôanin
côl ch’a pianta i ravanin al cjar d’la luna.

A me piace quel Giovanni(1)
quello che pianta i ravanelli al chiaro di luna.
La luna è spuntata e il ravanello(2) già piantato,
voglio maritarmi.
Voglio prendere Giacomo Trossi
quello che era il mio amoroso quand’ero piccola.
Giacomo Trossi non va bene per me,
mamma mia, prendilo tu(3), sarai contenta.
A me piace quel Giovanni
quello che pianta i ravanelli al chiaro di luna.

NOTE
(1) in piemontese il nome Giovanni (Gianni) si dice più comunemente Giovannino “Giuanin”
(2) I ravanelli hanno un gusto piccante ma molto fresco, si piantano fin dai primi giorni di primavera e si mangiano già dopo uno o due mesi. La frase si presta ad un doppio senso, in particolare nel secondo verso è lecito supporre che la ragazza sia rimasta incinta.
(3) anche se i due versi sono spesso accoppiati il senso della frase è però incongruente: la ragazza dice prima di voler sposare Giacomo Trossi, il suo fidanzatino di quando era più piccola, eppure nel verso successivo dice anche che non è adatto a lei e che sia la madre a prenderselo. In altre versioni è la madre a dire “Te daruma Giacu Truss/Cul che l’era me murus/Quand jeru cita” [ti daremo Giacomo Trossi, quello che era il mio fidanzato quand’ero giovane]. Così tutta la frase è più logica, la madre consiglia come marito un uomo più maturo che magari chiuderà un occhio sulla gravidanza della figlia.

I Rivaival guidati da Paolo Torta
Orietta Berti

Mi I veuj pijeme Giaco Tross

Mi I veuj pijeme Giaco Tross,
col ch’a l’era ‘l mé moros quand ch’i j’era cita, ohi la, la!
Fija pija ël Giovanin
col ch’a pianta i ravanin al cjair d’la lun-a, ohi la, la!
‘L cjair d’la lun-a a l’è già pasà,
ij ravanin son già spontà e mi i veuj Giaco.
Giovanin mi i lo veuj pa,
a l’è sempre fora ‘d ca a l’è ‘n barabba, ohi la, la!
Mi I veuj pijeme Giaco Tross,
col ch’a l’era ‘l mé moros quand ch’i j’era cita, ohi la, la!
Fija mia pijlo pa,
fija mia pijlo pa, ch’a l’ha la rogna, ohi la, la!
S’a l’ha la rogna, mi i l’hai i poi
grataroma tuti doi mi i veuj marieme.
Veuj marieme l’an ch’a i ven
se i bagat andaran ben sposerai Giaco, ohi la, la!
L’an ch’a i ven l’è n’an bisest
chi la rogna e chi la pest (a) l’è ‘ncor’ nen ora.

-Mi voglio sposare Giacomo Trossi
quello che era il mio fidanzatino quand’ero piccola.-
“Figlia sposati Giovanni
quello che pianta i ravanelli al chiaro di luna”.
-La luna piena è già passata
i ravanelli sono già spuntati e io voglio Giacomo,
Giovanni non lo voglio affatto
è sempre fuori casa ed è un barabba.
Voglio prendere Giacomo Trossi
quello che era il mio fidanzatino quand’ero piccola.-
“Figlia mia, non sposarlo
Figlia mia, non sposarlo che ha la rogna”
-Se lui ha la rogna io ho i pidocchi
ci gratteremo tutti e due, io voglio sposarmi.
Voglio sposarmi l’anno prossimo-
“Se gli affari andranno bene sposerai Giacomo
L’anno prossimo è bisestile
chi la rogna e chi la peste, non è ancora l’ora.”

Mama mia mi voi maridà

La versione lombarda è sempre un dialogo tra madre e figlia, nella variante della figlia che si vuole sposare e la madre che cerca di rimandare il matrimonio in data da destinarsi

Mama mia mi vöi maridà
cara la mi mamma me pias Giuàn
cara la me figlia spèta ancura un an
oimè ancura un an
gh’è ‘l me cör ch’el va pian pian
maridéme oi mamma

Mama mia mi vöi maridà
cara la mi mamma me pias Giuàn
cara la me figlia spèta ancura un mes
oimè ancura un mes
gh’è ‘l me cör ch’el va suspes
maridéme oi mamma

Mama mia mi vöi maridà
cara la mi mamma me pias Giuàn
cara la me figlia spèta ‘na settimana
oimè ‘na settimana
gh’è ‘l me cör ch’el va ‘n cundana
maridéme oi mamma

Mama mia mi vöi maridà
cara la mi mamma me pias Giuàn
cara la me figlia spèta ancura un dì
oimè ancura un dì
gh’è ‘l me cör ch’el vör murì
maridéme oi mamma

Mama mia mi vöi maridà
cara la mi mamma me pias Giuàn
cara la me figlia spèta ancura un’ura
oimè ancura un’ura
gh’è ‘l me cör ch’el va in malura
maridéme oi mamma

Mama mia mi vöi maridà
cara la mi mamma me pias Giuàn
cara la me figlia va in cuppia
va in cuppia sota la dubbia
va in cuppia sota la dubbia,
maridéme oi mamma.

Gruppo dell’almanacco popolare

Mamma mia mi voglio sposare
cara la mia mamma mi piace Giovanni
cara la mia figlia aspetta ancora un anno
ohimè ancora un anno
c’è il mio cuore che va piano piano
maritatemi mamma

Mamma mia mi voglio sposare
cara la mia mamma mi piace Giovanni
cara la me figlia aspetta ancora un mese
ohimè ancora un mese
c’è il mio cuore che resta sospeso
maritatemi mamma

Mamma mia mi voglio sposare
cara la mia mamma mi piace Giovanni
cara la mia figlia aspetta una settimana
ohimè una settimana
c’è il mio cuore che è condannato
maritatemi mamma

Mamma mia mi voglio sposare
cara la mia mamma mi piace Giovanni
cara la me figlia aspetta ancora un giorno
ohimè ancora un giorno
c’è il mio cuore che vuol morire
maritatemi mamma

Mamma mia mi voglio sposare
cara la mia mamma mi piace Giovanni
cara la mia figlia aspetta ancora un’ora
ohimè ancora un’ora
ho il cuore che va in malora
maritatemi mamma

Mamma mia mi voglio sposare
cara la mia mamma mi piace Giovanni
cara la mia figlia va in coppia
va in coppia sotto alla coperta
va in coppia sotto alla coperta,
maritatemi mamma

http://www.chambradoc.it/quandoLaLegnaSiVesteDaPrete/canzonePopolareMadreFiglia.page
http://www.alpini.torino.it/coro/MIIVEUJPIJEMEGIACOTROS.html
https://coristiliberi.weebly.com/uploads/1/8/3/0/18304393/col_gioanin_-_cauriol_ttbb.pdf

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Pubblicato da Cattia Salto

Amministratore e folklorista di Terre Celtiche Blog. Ha iniziato a divulgare i suoi studi e ricerche sulla musica, le danze e le tradizioni d'Europa nel web, dapprima in maniera sporadica e poi sempre più sistematicamente sul finire del anni 90

3 Risposte a “A mi ‘m pias cul Giuanin”

  1. Puoi dirlo.
    Com’è noto le trasformazioni/variazioni dello stupefacente canzoniere giudeo-spagnolo sono infinite e disseminate lungo tutto il corso del suo peregrinare fin dall’infame cacciata dalla Spagna del 1492. Di questo brano in particolare in una variante bulgara tornano la figura della madre al posto del padre e cambiano i nomi dei vari pretendenti (Yosef, Parsi, Abramo) e al posto delle caratteristiche fisiche compaiono occupazioni o altre particolarità (il primo è un sadico, il secondo non possiede nemmeno un taxi, il terzo che è l’ubriacone la fa ballare il charleston). In un’altra versione turca compaiono invece Alì, Yasar, Ahmet, Sarhos (il primo la farà impazzire, il secondo la getterà via, il terzo le darà troppo da fare, l’ultimo come sempre è l’ubriacone prescelto). Altrove l’incontentabile ragazza dispensa giudizi d’ogni sorta: l’alto “serve una scala per raggiungerlo”, il vecchio “a letto si rimpicciolisce come un gatto”, il grasso “è floscio come una borsa” oppure “profuma di trippa”, il magro “sembra un bastone”, altri pretendenti vecchi, ricchi o poveri quando aprono la bocca “odorano di scimmia o di rame”, quando la bocca l’apre invece l’uomo nero, lei ci “vede l’inferno”, con un tignoso “non c’è riposo”…e così via. Nulla vieta di pensare che forse anche grazie a questi ibridismi alcune di loro si siano salvate dall’oblìo. Dal punto di vista letterario è storicamente ragionevole ipotizzare che le seguidillas spagnole sia diventate popolari all’interno delle comunità sefardite orientali intorno al 1600. In Catalogna e nell’est sefardita sia i balli circolari che i canti rimangono più legati a versioni barocche, questa “Sposa esigente” fa probabilmente parte di quella serie di “seguidillas nuevas” molto popolari nella Spagna del XVII° secolo. Oggigiorno di provenienti dalla tradizione folklorica castigliana, ne restano soprattutto nell’Estremadura e nell’America Ispanica (tra cui il Messico, da cui proviene Dora).

  2. Cara Cattia, questo tuo interessante intervento mi ha fatto tornare alla mente una variazione sul tema molto intrigante, in terreno sefardita (che come sai è una delle mie grandi passioni). Brevemente: c’è una canzone che si trova in un cd della giovane interprete messicana di origine ebraica Dora Juarez Kiezkovsky con la quale sono in contatto epistolare da molti anni. Questo il link per ascoltarla:
    https://www.youtube.com/watch?v=OWt6_O85nhk
    Reca però il fuorviante titolo “Hija Mía” che è contemporaneamente anche quello di un’altra canzone sefardita ben più famosa e interpretata spessissimo (“Hija mia mi querida/Aman, aman, aman/No te eches a la mar/Que la mar esta en fortuna…”) ma che in questo caso non c’entra nulla.
    Dalle mie ricerche il pezzo originale in questione è di origine turca, al suo interno un padre si rivolge alla figlia proponendole una serie di corteggiatori che puntualmente lei rifiuta sdegnosa, a partire dal loro stesso nome: “Si chiama Ali, mi farà impazzire”, “Il suo nome è Mehmet, mi prenderà e divorzierà da me”. La formula utilizzata dal ritornello è: “Istemem, babacigim, istemem” ovvero “Non voglio, padre, non voglio”. Alla fine resterà con un ubriacone che sembra l’unico a farle piacere (“Onun adi sarhos, edir beni bir hos” “Il suo nome è ubriaco, è simpatico” e quindi “Isterim babacigim, isterim” cioè “Lo voglio, padre, lo voglio”). La versione sefardita del testo sostituisce il padre con la madre (poiché storicamente per gli ebrei sefarditi era sempre e solo la donna a gestire le questioni di famiglia), spariscono i nomi dei corteggiatori e vengono prese in esame invece le loro caratteristiche fisiche (altezza, bassezza, bellezza). Nella sua versione Dora mescola però ulteriormente le carte poiché la bassezza viene sostituita dalla tenacia (della cui origine sono all’oscuro) ma soprattutto, il padre rimane al suo posto e nell’ultima strofa improvvisamente e inspiegabilmente lei canta in italiano una frase sconcia (della quale non ho mai avuto il coraggio di chiedere il motivo) e che dubito appartenga a qualche scritto originale (…) Le parole delle canzoni non sono presenti nel libretto del meraviglioso cd “Cantos Para Una Diaspora (Tzadik, 2013) in cui è contenuta e neppure in rete ma “Hixa Mia” è facilmente trascrivibile e traducibile (se ti dovesse interessare posso inviartelo all’ascolto).

    1. Grazie Flavio per l’intervento. Mi affascinano questi rimandi lontani in merito alla trasmissione orale della musica tradizionale. Al Andalus (la Spagna islamica) fu un crogiolo multiculturale con influenze artistiche nell’arte, musica e filosofia e innegabili sono i paralleli sulla musica trovadorica- un nuovo argomento introdotto in Terre Celtiche Blog. Che le influenze provengano dalla musica persiana/araba o dalla musica ebraica o dalla contaminazione d’entrambe, ci sarebbe molto da indagare.

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