Trionfo di Bacco

Il Trionfo di Bacco e Arianna (Canzona di Bacco e Arianna) è un canto carnascialesco scritto da Lorenzo de Medici per il Carnevale fiorentino del 1490, studiato a scuola come brano poetico, in lungo e in largo parafrasato e commentato[1], dal celebre ritornello “chi vuol esser lieto, sia di doman non c’è certezza“.

I Carri allegorici del Carnevale

Il trionfo[2] di Bacco (da solo o con la consorte Arianna, ma sempre accompagnato da satiri e ninfe musicanti) era uno dei carri allegorici del Carnevale rinascimentale, come pure un soggetto tipico, dal Rinascimento al Barocco, di quadri e affreschi a tema mitologico, ispirato anche ad opere letterarie in particolare i Trionfi[4] del Petrarca.

Il programma allegorico dei Trionfi era colto solo dalla gente istruita e dall’élite e tuttavia il popolino restava abbacinato dalla sontuosità e dallo sfarzo degli apparati e dei costumi.
Sebbene questi carri carnevaleschi fossero dei progetti artistici effimeri, che conosciamo per lo più nelle descrizioni lasciateci dai cronisti del tempo, li ritroviamo illustrati anche sui cassoni nuziali[3], diventati tanto di moda nell’Ottocento tra i collezionisti privati, purtroppo sotto forma di “dipinti” più che come arredi, e perciò smembrati.

Bacco e Arianna, il dipinto del Tiepolo

Il dio Bacco s’innamora della principessa cretese Arianna[5], abbandonata nottetempo dal bel Teseo sull’isola di Nasso (da qui il detto “piantata in asso”!!)

Nel dipinto di Tiziano vediamo la nave di Teseo in lontananza sulla sinistra, Arianna sembra ancora disperarsi e implorare i marinai perchè facciano dietro-front[6], quando arriva il chiassoso corteo di Bacco e lei si gira sulla destra verso il bosco. Nel contempo Bacco, un bellissimo giovane dai tratti femminei, proprio al centro del dipinto, si protende verso di lei, preso d’amore, balzando giù dal suo cocchio trainato da due ghepardi. Lo seguono in festa ninfe e satiri tra i quali un Sileno grasso e ubriaco seduto a cavalcioni di un’asina che s’intravede in lontananza sulla destra del quadro. A richiamare il vino oltre all’ebbrezza dei personaggi del corteo, le foglie dell’uva e l’enorme gerla portata in spalla dal satiro appresso a Sileno.
Il corteo ha un che d’inquietante, a cominciare dalla scenetta di genere (invero un po’ macabro) al centro in primo piano con il cagnolino del Duca di Ferrara, Alfonso I d’Este, il mecenate e committente dell’opera, colto nell’atto di abbaiare ad un satiro bambino, il quale trascina al “guinzaglio” la testa mozzata di un cerbiatto; sulla destra sempre in primo piano un satiro barbuto e cappelluto con due cornetti ai lati della fronte si dimena tutto ignudo avvolto da serpenti[7] e appena dietro un altro satiro (con gambe pelose di capra) tiene con la mano in alto un cosciotto smembrato e nell’altra il tirso.

Le Baccanti

Il corteo in realtà è una processione di baccanti (Menadi, Tiadi, Lene o Bassaridi come chiamare si vogliano) le quali praticavano feste notturne nei boschi, ed ebbre di vino e di sostanze allucinogene, ballavano forsennatamente al suono di flauti, tamburi, e timpani, fino ad essere possedute dal dio che i greci chiamavano Dioniso. Durante la festa si cibavano delle carni crude di un animale sacrificale (in genere un cerbiatto) dopo averlo dilaniato e, impazzite di lussuria, facevano sesso sfrenato con gli schiavi camuffati da satiri. O perlomeno così ci raccontano alcuni autori latini probabilmente con intenti denigratori.
Ma ritorniamo al quadro: a conclusione del mito vediamo nel cielo in alto sopra Arianna la Corona Boreale, la corona di diamanti che Bacco/Dioniso donò alla sposa per le loro nozze e che pose tra le costellazioni in memoria di lei. Il duplice movimento di Dioniso, accentuato dal cromatismo e dinamismo del panneggio, è un balzo e un lancio (quello della corona in cielo) richiamando così nella posa, la statua classica del discobolo.


“Farò che della tua corona resti con te la memoria:
Venere da Vulcano l’ottenne e tu da lei”.
Detto fatto, le nove gemme si mutano in astri:
ora quella corona d’oro splende per nove stelle.
(Ovidio, I Fasti, III, 514-516)

Tiziano, Bacco e Arianna, tra il 1520 e il 1523

Bacco e i Baccanali

Dioniso è uno dei tanti nomi di un dio della vegetazione, legato a primevi rituali di morte e resurrezione, perciò dio della fertilità e della morte, che risorge in primavera, un dio che promette la libertà attraverso l’estasi (la follia estatica o l’isteria).

Al Dioniso greco erano dedicate numerose festività nel corso dell’anno, e quando il suo culto si diffuse a Roma con il nome di Bacco, ciò che scandalizzò il Senato romano fu la prevalente partecipazione delle donne, con schiavi e liberti a una festa non istituzionalizzata, basata sullo sballo e sul sesso. Tanto operò che nel 186 a.c. ne proibì le celebrazioni.

I baccanali sopravvissero come feste propiziatorie private della componente misterica, noti solo alla cerchia ristretta degli adepti, non a caso la domus di Pompei con il ciclo degli enigmatici affreschi quasi intatti è detta per l’appunto la Villa dei Misteri.

Possiamo immaginare che l’iniziato si avvicinasse al dio tramite il simposio ritualizzato con libagioni votive, ghirlande d’edera, canti accompagnati dagli strumenti a fiato e a corda, danze.
Al calare della notte i partecipanti al rito sarebbero usciti all’aperto in una processione mascherata, ebbra e chiassosa.
Secondo alcuni avveniva una comunione tra i seguaci e il dio attraverso l’assunzione del vino e della carne delle vittime divorate per lo più crude, così i seguaci credevano di incorporare l’essenza del dio e di farsi uno con lui. Non sappiamo però quanto questa componente di selvaggia ferinità sia parte del processo denigratorio[8] orchestrato attorno ai baccanali.
Molte e contrastanti d’altronde le interpretazioni degli affreschi pompeiani risalenti al I sec a.c.[9]

Villa dei Misteri affreschi, Pompei

Canzona di Bacco e Arianna

La Canzona di Bacco e Arianna di Lorenzo detto il Magnifico è poco nota però nella sua versione musicale! Accompagnava il carro allegorico di Bacco e Arianna novelli sposi, seguiti dalle maschere di ninfe e satiri. A Giovinezza, Bellezza, Amore (la coppia divina di Bacco e Arianna), Sensualità (le Ninfe) si contrappongono la dissolutezza e il vizio (i Satiri) la Cupidigia, il desiderio smodato di ricchezza e di potere (Re Mida) e la Vecchiaia (Sileno).
Contrapposto all’appagamento di amore è invece la cupidigia o meglio l’incapacità di gioire delle piccole-grandi cose e di sentirsi soddisfatti per ciò che si è/ha. Mida[10] incarna proprio questa insoddisfazione perenne “E a cosa serve avere un tesoro, se poi uno non si accontenta? Che dolcezza vuoi che possa sentire chi ha continuamente sete?” chiosa il Magnifico.

A Carnevale l’allegria è di rigore e il poeta invita a dimenticare le avversità della vita, tuttavia un giorno solo, per far festa spensieratamente. Molteplici le letture, di un canto incardinato sulla brevità della gioia, sentimento di fresca bellezza che si apprezza proprio per la sua aleatorietà; così il poeta esorta i giovani innamorati ad abbandonarsi alla passione dei sensi.

Quant’è bella giovinezza,
che si fugge(1) tuttavia!
chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.


1.Quest’è Bacco e Arianna,
belli, e l’un dell’altro ardenti:
perché ’l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe(2) ed altre genti
sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

2. Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
per caverne e per boschetti
han lor posto cento agguati;
or da Bacco riscaldati
ballon, salton tuttavia.
3. Queste ninfe anche hanno caro
da lor essere ingannate:
non può fare a Amor riparo
se non gente rozze e ingrate:
ora, insieme mescolate,
suonon, canton tuttavia.
4. Questa soma, che vien drieto
sopra l’asino, è Sileno:
così vecchio, è ebbro e lieto,
già di carne e d’anni pieno;
se non può star ritto, almeno
ride e gode tuttavia.
5.Mida vien drieto a costoro:
ciò che tocca oro diventa.
E che giova aver tesoro,
s’altri poi non si contenta?
Che dolcezza vuoi che senta
chi ha sete tuttavia?
6. Ciascun apra ben gli orecchi,
di doman nessun si paschi;
oggi siam, giovani e vecchi,
lieti ognun, femmine e maschi;
ogni tristo pensier caschi:
facciam festa tuttavia.
7. Donne e giovinetti amanti,
viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti!
Arda di dolcezza il core!
Non fatica, non dolore!
Ciò c’ha a esser, convien sia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza
.

Il trionfo di Arianna e Bacco -Cecconi, Luigi; Giarre, Luigi

NOTE
(1) a riflettere sulla caducità della giovinezza e della vita in generale sono le persone mature. Al “tempo che fugge” invece di mortificare la carne nella Quaresima che verrà, questo è il momento di godere dei piaceri materiali che Carnevale ci offre, specialmente il vino e il sesso
(2) le ninfe rinascimentali sono l’allegoria della Sensualità, non certo la rappresentazione delle invasate Baccanti dei tempi antichi! Sono le dame dall’incarnato niveo, esili e slanciate dai lunghi capelli biondi che suscitano un violento e ardente desiderio sensuale.

Camerata Mediolanense in Campo Di Marte – 1996 il video è una festa di Mezz’estate della tradizione slava la festa di Ivan Kupala (il nuovo giorno) simile alla celtica Beltane
Doulce Mémoire in Lorenzo il Magnifico: Trionfo di Bacco 2012 sulla melodia Il Magnifico di autore anonimo
Música Antiga live
Angelo Branduardi -salta le strofe IV e VI
testo Lorenzo de Medici
Musica Angelo Branduardi

Canto di Carnevale della Sicilia Medievale

Lo storico ensemble Al Qantarah nato a Bologna nel 1990 ha inciso un gioiello musicale dal titolo Abballati, abballati![11]

Nella seconda traccia ascoltiamo il Canto di Carnevale in lode a Bacco -dalla tradizione della città di Salemi, F. 744.
Fabio Tricomi ci spiega che si tratta di un Rondello [Rondò ballato in cerchio] con un testo carnevalesco dal doppio senso, suonato con gli strumenti (in buona parte percussivi) più tipici della tradizione siciliana


Chianta la fava lu bellu villanu
quannu la chianta la chianta accussì.
Chianta ‘nanticchia e po’ si riposa
po’ si li metti li manu accussì.
La chianta accussì, la scippa accussì’
po’ si li metti li manu accussì.
Viva Bacco

Spicchia(1) la fava lu bellu villanu
quannu la spicchia la spicchia accussì.
Spicchia ‘nanticchia e po’ si riposa
po’ si li metti li manu accussì.
Coci(2) la fava lu bellu villanu
quannu la coci la coci accussì.
Coci ‘nanticchia e po’ si riposa
po’ si li metti li manu accussì.
La chianta accussì, la scippa accussì’
la spicchia accussì, la coci accussì
po’ si li metti li manu accussì.
Viva Bacco

Mancia(3) la fava lu bellu villanu
quannu la mancia la mancia accussì.
la mancia ‘nanticchia e po’ si riposa
po’ si li metti li manu accussì.
La chianta accussì, la scippa accussì’
la spicchia accussì, la coci accussì
la mancia accussì
po’ si li metti li manu accussì.
Viva Bacco

Traduzione italiana
Pianta la fava il bel contadino
quando la pianta la pianta così
Pianta un poco e poi si riposa
poi se le mette le mani così.
La pianta così, la strappa così
poi se le mette le mani così.
Viva Bacco

(1) picchia= sguscia
(2) coci=cuoce
(3) mancia=mangia

Al Qantarah, Fabio Tricomi in Abballati, abballati! 1999
[Canto di Carnevale] nella stessa traccia segue uno strumentale Tammuriddara (trad Messina), la cialoma Assummata di lu corpu di la tunnara (detta Ainavò) e Navaii (Trad. Persia)

[1] https://letteritaliana.weebly.com/trionfo-di-bacco-e-arianna.html
https://www.atuttarte.it/poesie/de-medici-lorenzo/tionfo-di-bacco-e-arianna.html
https://mediumaevumweb.wordpress.com/2019/03/05/la-canzona-di-bacco-trionfo-di-bacco-e-arianna/
[2] i trionfi sono carri a soggetto mitologico-astrologico o di figure allegoriche/virtù, quali Amore, Morte, Eternità, Fama, Castità, Tempo, che costituiscono anche un ciclo ispirato ai trionfi astrologici e planetari del Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia a Ferrara.
[3] i cassoni nuziali nel Rinascimento intagliati e dipinti erano il top del lusso e si vendevano in coppia uno per lo sposo e uno per la sposa. Tra gli artisti più richiesti a Firenze Apollonio di Giovanni (circa 1416-1465), Giovanni Toscano, il fratello più giovane di Masaccio, noto come Lo Scheggia (1370/80-1430), Jacopo di Arcangelo detto Jacopo del Sellaio (circa1441-1493). Altri arredi comuni dipinti da grandi artisti con scene dei Trionfi era la spalliera, un tipo di rivestimento ligneo allora molto in voga a Firenze per le pareti della camera da letto, commissionato sempre in occasione dei matrimoni.
[4] I Trionfi sono un poema in toscano incompiuto diviso in sei parti, alcune delle quali in più canti, nell’anniversario del suo innamoramento, Petrarca sogna alcune visioni allegoriche di termini antitetici con il trionfo di una di esse. Apre l’opera il Trionfo di Amore, successivamente compare il Trionfo della Morte, dove viene rappresentata la morte di Laura. I Trionfi furono oggetto di elaborate miniature (si contano circa 150 manoscritti trascritti a Firenze a partire dal ‘400 e riccamente miniati, tutti i trionfi vengono presentati su carri carnevaleschi)
[5] figlia del re di Creta, Minosse, Arianna aiuta Teseo a uscire dal Labirinto di Dedalo dove era tenuto in cattività il Minotauro. Ogni anno al mostro venivano offerti in sacrificio sette giovanetti e sette giovanetti della città di Atene, quale tributo di pace tra le due potenze dell’Egeo. Ma nel fermarsi sull’isoletta di Nasso Teseo abbandona la fanciulla, perchè l’aveva ingannata e non aveva alcuna intenzione di sposarla. La fanciulla si dispera e piange quando in suo soccorso giunge Dioniso
[6] Di lì – perché anche i venti mi sono stati crudeli – vidi le tue vele gonfiate dal soffio impetuoso di Noto. O le vidi, o come se pensassi di vederle, diventai più fredda del ghiaccio, e quasi priva di vita. Ma il dolore non mi lascia a lungo inebetita: mi risveglia, mi risveglia e allora chiamo Teseo con tutta la mia voce: “Dove fuggi?” grido; “torna indietro, Teseo scellerato! Volgi la nave! Essa non è al completo!”. Così dicevo, e quel che alla voce mancava lo supplivano i colpi sul petto: i colpi si mescolavano alle mie parole. Perché tu potessi almeno vedermi, se non udirmi, ti feci larghi gesti agitando le braccia, e misi un velo bianco sulla cima di un lungo ramo per richiamare chi certamente mi aveva scordata. Ma ormai eri stato sottratto ai miei occhi, e allora alfine piansi: le mie tenere guance fin allora le aveva intorpidite l’angoscia.
(Ovidio, Heroides, 10, 29-44) https://www.storiedelcielo.it/index.php/16-07-costellazioni-di-luglio/147-02-corona-boreale-mito
[7] Secondo i critici d’arte Laocoonte, il famoso gruppo scultoreo della Grecia classica che venne ritrovato durante in uno scavo proprio in quegli anni, così l’artista volle celebrarne la scoperta inserendolo nella sua opera
[8] Le celebrazioni del culto di Bacco proseguirono a Roma e in Italia anche dopo il 186 a.c., con una continua presenza di Bacco sia in età repubblicana, dove Giulio Cesare contribuì a rivitalizzare il culto, che proseguì anche in età imperiale
https://www.romanoimpero.com/2010/01/il-culto-di-bacco.html
https://www.ilcerchiodellaluna.it/central_Dee_Diodioniso.htm
http://www.ilcalderonemagico.it/dei_Dioniso.html 
[9] http://albertocottignoli.over-blog.it/2015/05/la-villa-dei-misteri.html
https://www.romanoimpero.com/2012/07/misteri-dionisiaco-bacchici.html
[10] Nel mito il re della Frigia Mida in cambio dell’aiuto prestato al vecchio Sileno, il satiro che aveva allevato/istruito Bacco/Dioniso bambino, richiede al dio il dono di trasformare in oro tutto ciò che tocca! Mi immagino il sorrisetto malizioso di Dioniso nell’esaudire la richiesta.
Così racconta Ovidio nelle Metamorfosi
L’episodio inizia in Frigia con il ritrovamento di Sileno, precettore del dio Bacco, da parte di alcuni pastori: egli si è distaccato dal seguito del dio e vaga ubriaco senza meta, così i pastori lo conducono presso il loro re, Mida. Questi, contento del ritrovamento, indice in onore del mentore dei festeggiamenti che durano dieci giorni e dieci notti, dopodiché lo riporta dal dio che per ricompensarlo dell’ospitalità riservata a Sileno gli offre la possibilità di esprimere un desiderio. Mida stoltamente chiede e riceve in dono il potere di trasformare in oro tutto ciò che tocca “Fa’ che tutto quello che tocco col mio corpo si converta in oro fulvo”, ma se ne pente ben presto: il dono si rivela infatti una punizione. Da quel momento comincia la sua pena: come desiderato qualsiasi cosa tocchi diventa veramente oro, ma la stessa sorte spetta anche a cibi e bevande,  si è condannato così alla fame e alla morte certa. Rendendosi conto dell’errore commesso, disperato, supplica il dio di liberarlo; Bacco, impietosito, gli ordina di risalire sino alla sorgente il fiume Pattolo, che scorre vicino la città di Sardi, e di immergere il capo in modo da lavare “insieme al corpo la colpa”. Da allora le acque del fiume per questo motivo sono dorate. 
http://www.iconos.it/le-metamorfosi-di-ovidio/libro-xi/bacco-e-mida/
[11] per ascoltare l’intero album https://www.youtube.com/watch?v=087MtGOxW6A

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Pubblicato da Cattia Salto

Amministratore e folklorista di Terre Celtiche Blog. Ha iniziato a divulgare i suoi studi e ricerche sulla musica, le danze e le tradizioni d'Europa nel web, dapprima in maniera sporadica e poi sempre più sistematicamente sul finire del anni 90

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