Divagazioni sui meticciati soliti e insoliti della bombarda bretone

L’affascinante e seduttiva bombarda, che in Bretagna chiamano “ar vombard” o più raramente “an talabard” possiede un suono talmente potente da arrivare all’orecchio prima delle note. Il nome dello strumento deriva dal latino “bombus”, traducibile come “rumore risuonante”, termine che la mitica Lucrezia utilizzava spesso per descrivere il ronzio dell’ape. La stessa ape senza la quale Einstein sosteneva che l’uomo non potrebbe sopravvivere più di quattro anni, la stessa ape che nei quaranta giorni in cui vive si posa su mille fiori per produrre appena un cucchiaino di miele che noi mangiamo in un sol colpo.

La bombarda bretone ha una chiave e sei fori, richiede fatica per essere suonata, ha bisogno di molto fiato e si devono contrarre forte i muscoli facciali, per questo chi la suona ha pause frequenti.

Esiste sotto differenti forme in numerosi paesi d’Europa, Africa del Nord, India e Cina. Fa parte della famiglia degli oboi classici a cui nel tempo sono state aggiunte chiavi per aumentarne la possibilità di note e che, a partire dal XVII secolo, ha dato origine al fagotto.

Rappresenta l’equivalente armoricano del piffero di origine svizzero-tedesca che in Francia comparve verso la fine del XV, diventando elemento musicale costante nel repertorio popolare guascone (associato a tamburo e grancassa). Il fortunato piffero che un tempo faceva parte di feste e ricorrenze, oggi viene insegnato nelle scuole, gode di festival, tesi universitarie, ricerche etno-musicologiche.

La nostra periferica bombarda della Bassa Bretagna appartiene a una regione che invece è rimasta relativamente distante dal resto d’Europa, così ha continuato a rimanere strumento tradizionale e popolare. Questa minuscola cornamusa ad ancia doppia e dal suono acuto e potente, fino alla seconda guerra mondiale era però l’incontrastata principessa delle fest-noz di tutta la regione. L’originale veniva scolpito nel legno, specialmente quello da frutto, oggi se ne trovano ancora parecchi modelli ma quelli recenti sono tutti di legni pregiati come l’ebano, che risulta senz’altro più resistente (specialmente alle muffe).

La bombarda più utilizzata è in si bemolle. Tra le due guerre, dalla Scozia, è giunta nella regione la grande cornamusa utilizzata nelle pipe-bands e così, in terra d’Armorica sono nate dappertutto le bagad che, contrariamente a quello che qualcuno può credere, rappresentano formazioni musicali recenti, di nemmeno cento anni.

Bagad e folk revival

Il primo raggruppamento di questi suonatori prese il nome di “Kenvreuriezh ar Viniaouerien” (Confraternita di suonatori di biniou), fondata da Hervé Le Menn nel 1932, trovò origine in seno alla comunità bretone parigina. Questo fatto ridiede impulsi vitali alla dimenticata cultura bretone e alla propria lingua, pian piano iniziarono le raccolte di arie musicali, la fabbricazione di strumenti della tradizione, la re-introduzione di danze popolari nelle sale dei luoghi d’immigrazione, le prime pubblicazioni editoriali. Fino a giungere all’apice nel nel 1974, con la fondamentale riedizione dell’imprescindibile volume Barzaz Breiz di La Villemarqué, in cui chiunque poteva trovare favolosi gwerz.

Il gwerz è il blues della Bretagna, in lingua bretone questo termine è al femminile al contrario che nel resto della Francia. Fu il folklorista e poeta François-Marie Luzel (Plouaret 1821 – Kemper 1895), pioniere della sua diffusione in francese, a utilizzarlo la prima volta al maschile. Fañch an Uhel (il suo nome in bretone) era l’incaricato alla conservazione degli archivi dipartimentali di Kemper e nel 1872 durante il Congresso dell’Associazione Bretone a Saint-Brieuc, sostenne davanti all’assemblea, la falsità del Barzaz Breiz. Divenne da lì in avanti il suo principale contestatore e cento anni dopo (1974) sarà definitivamente stabilito che Théodore Hersart de la Villemarqué era effettivamente intervenuto pesantemente nei testi, talvolta addirittura ri-scrivendoli. Uno di questi, a esempio, il crudele “Le rossignol” è indubbiamente da attribuire alla poetessa Marie de France che compose questo lai (poema narrativo medievale) verso il 1178, ambientandolo a Saint-Malo.

Scoziamania vs bombarda bretone doc

All’arrivo della cornamusa in Bretagna si andarono presto concretizzando due fazioni di pensiero. Era l’epoca del primo rinnovamento musicale e c’era chi preferiva imparare la tecnica strumentale originale che tendeva a “scozesizzare” la musica bretone (corrente che venne definita “scoziamania”) e quelli che pensavano, al contrario, che avrebbe dovuto essere la cornamusa ad adattarsi al nuovo repertorio. Nelle orchestre tradizionali bretoni la bombarda si ritaglierà comunque il ruolo di solista, ancora una volta da assoluta protagonista. Lo strumento emette una specie di percussione ciclica che si sposa perfettamente con sonorità e pratiche musicali anche molto distanti. Ad esempio quella del “gwo ka” (definizione creolo-francese), il grande tamburo della Guadalupa, la cui omonima pratica musicale è emersa nel XVII secolo durante la tratta transatlantica degli schiavi.

La bombarda è riuscita a far ballare il plin perfino su ritmi di tamburi e canti nati in paesi dell’Africa occidentale come il Golfo di Guinea o il Congo (ex Zaire). D’altronde anche in Bretagna, pratica strumentale e danza sono da sempre immerse in una forma di unione primordiale, non risultano mai separate. La cornamusa scozzese, dal canto suo, non ha mancato certo di stregare cuori, se è vero che nel lontano 1967 un manipolo di musicisti californiani della Baia di San Francisco ha dato vita alla Prince Charles Pipe Band, prendendo nome dal pretendente alle corone inglese e scozzese del XVIII secolo. Il gruppo viene spesso invitato a suonare in Bretagna e anche in Scozia.

Ovviamente è soprattutto il nome di Alan Stivell a essere conosciuto oltreoceano ma non è raro ascoltare la piccola bombarda bretone, magari accanto a un trombone, dall’Illinois fino alla Louisiana. E’ possibile nel corso di piccole festoù-noz ambulanti tra i tavolini dei leggendari bar dell’antico quartiere francese di New Orleans, dove mescola i suoi accordi con quelli del cajun o dello swing.

Qualcosa che, nato in ambiente celtico, è giunto assieme all’abbondante immigrazione passata fin nel nuovo mondo apparentandosi con la locale musica di neri e creoli. D’altronde anche Zachary Richard già a metà anni ‘70 cantava in quel suo francese “patois” arcaicizzante “…il mio trisnonno è venuto dalla Bretagna…svegliatevi uomini acadiani per salvare l’eredità…” (Réveille, Bayou Des Mystères, 1976).

Bombarda e binioù

Naturalmente è impossibile pensare alla bombarda e non al suo indissolubile matrimonio con il binioù, fedele compagno altrettanto carico di storia. E’ stato a partire dall’ultimo terzo del XIX secolo che il rapporto vocale/strumentale bretone ha iniziato a invertirsi a fronte della continua richiesta di suonatori per festeggiamenti in generale. L’accoppiata è sopravvissuta a tutto, come si accennava, forse grazie alla posizione geografica decentrata della Bretagna che l’ha tenuta lontana dai principali circuiti di diffusione della cultura europea. Nell’antico manoscritto “Catholicon breton” (1464) vengono definiti “benny” e “bombart”. Il più sovente i due si danno la replica con il finale delle frasi musicali all’unisono esattamente come le voci umane nel kan ha diskan, proprio per questo che vengono definiti “suonatori di coppia”.

E se non riusciamo neppure a rispettare il lavoro di tutta la vita di un’ape, glorifichiamo almeno il suono squillante della bombarda!

Claude Le Baron, accompagnato da Riwall Jégo al biniou, in una melodia della regione di Loudéac -Ronde de Loudéac

https://ontanomagico.altervista.org/danze-bretoni.htm
https://ontanomagico.altervista.org/danze-bretoni.html

GLOSSARIO

Bagad: “banda” bretone composta da cornamusa, bombarda (e percussioni)
Bombarda: strumento ad ancia tradizionale bretone tipicamente suonato in coppia con il biniou coz
Binioùbiniou coz: cornamusa bretone di piccole dimensioni
Fest-noz: “festa di notte” basata sulla danza tradizionale
Fest-Deiz “festa di giorno” basata sulla danza tradizionale
Gwerz: ballata bretone
Kan ha diskan: canto e controcanto

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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