Quando le Alpi piemontesi scesero in Calabria

A Guardia Piemontese in Calabria si è da poco svolta la quinta edizione del “Festival delle riforme culturali”, con la collaborazione anche di sei università pubbliche francesi.

In programma nessun evento spettacolare o di impatto mediatico, ma incontri linguistici, dialoghi, approfondimenti di alto valore simbolico, con ospiti da varie regioni italiane e francesi, oltre che da Liverpool e dalla Turchia.

Statua a Cilla, San Lucido (Sàntu Lùcitu) (Cosenza), opera di Salvatore Pastina

…chavo la carn, e tu se moc d’o, chavo la greullho e tu se moc boc, chavo la tèro e tu se moc d’aire”
[…togli la carne e sei solo ossa, togli la scorza e sei solo legno, togli la terra e sei solo vapore] (Valeria Tron, 2015)

Occitania
Le polis occitane in Italia
Benvènhut a la Gàrdia
La Strage dei Valdesi di Guardia Piemontese
Santa Luna proteggici dal male
Occitani di Cosenza e tradizioni musicali
Le canzoni occitane di Guardia Piemontese

Mis Amour/Bèla Calha
Ai pè de ‘sta mountanho
La camba me fai mau
La Rèino Jano
La piove e la fai soulelh
Taliant dë la peirë da Garroc
Se Chanta

Mis Amour/Bèla Calha

Nel 1995 Fabrizio De Andrè intonò col suo caratteristico timbro vocale il canto tradizionale provenzale del XIV° secolo Mis Amour, all’interno di A Toun Souléi, album pubblicato a nome de Li Troubaires de Coumboscuro[1]. Nell’occasione era accompagnato alla chitarra classica da Franco Mussida, in un disco che comprendeva tra l’altro le preziose partecipazioni, sempre in veste di ospiti in altre canzoni, di Alan Stivell e di Gabriel Yacoub. Si tratta della variante di una celebre composizione popolare occitana dal titolo Bèla Calha che, erroneamente venne stampata nei crediti nel libretto, avvalersi anche della voce di Dori Ghezzi ai cori, mentre in realtà si trattava di Clareto Arneodo. La canzone era stata in precedenza ripresa dal gruppo Mont-Jòia di Jean-Marie Carlotti nel 1976 ma è stata molte volte interpretata, anche in tempi più recenti, sia in ambiti musicali tradizionali (Renat Sette/Elva Lutza in Amada) finanche di genere metal (Les Alabres in Ballade de Merci/Je Crie à toutes gens mercye).

Quello del cacciatore che colpisce la sua amata è un tema comune a molte culture popolari del mondo.

Le parole di Bela Calha[2] rimandano all’antica credenza secondo la quale chi ha commesso un misfatto non può oltrepassare il fiume (in questo caso il Rodano) senza venire annegato e a quella ancora precedente di radice indo-europea, che afferma (fatalmente o psico-analiticamente) che un assassino finisce sempre per uccidere colui che ama o addirittura se stesso.

Li Troubaires de Coumboscuro – Fabrizio de André
Mont-Jòia in Bela Calha
Renat Sette, Elva Lutza in Amada 2017

Occitania

A seconda delle localizzazioni, l’Occitano è classificato in sei dialetti: l’Alvernese, il Guascone, il Linguadociano, il Limosino, il Provenzale, il Vivaro Alpino. La lingua, così come nell’Esagono è stata influenzata da quella francese, in Spagna lo è stata da quella iberica, incorporando numerosi neologismi ispanici. Ci sono inoltre dei sotto-dialetti tra cui lo shuadit (il giudeo-provenzale), oggi considerato purtroppo estinto (già dal 1977) o l’aranés [3] che deriva da quello guascone.

Quando nel passato la raffinata, romantica e aristocratica musica provenzale era utilizzata dai Trovatori medioevali[4] per comporre sonetti letterari, la Provenza era ancora considerata una culla della civiltà europea occidentale. La colta trama sonora tesseva raffinati tessuti melodici intorno alla sua lingua, sviluppatasi dal latino verso l’anno 1000 nel centro-sud di Francia. I compositori lasciarono scandalosi canti d’Amor Cortese a celebrazione di una figura femminile elevata sopra l’uomo e questo avveniva durante un’epoca in cui le donne non possedevano né statuto, né diritti, anzi si dubitava perfino della loro anima. Al di là dei, seppur notevoli, virtuosismi poetici, furono probabilmente proprio le loro parole a fecondare i sentimenti amorosi sviluppatisi nei secoli a venire. Sennonché all’arrivo del Rinascimento quella cultura perse tutta la propria egemonia e finì per rifugiarsi nelle umili campagne, mescolandosi con quelle di Celti, Iberi, Liguri, Greci, Saraceni e Romani.

Le polis occitane in Italia

In Italia gli Occitani si insediarono inizialmente a Bobbio Pellice, sedimentandosi poi nelle valli alpine sud occidentali di Cuneo e Torino, organizzati in piccole polis, dove ancor oggi vive una consolidata minoranza etnica di circa quarantamila persone. La mitica Giovanna d’Angiò (1326-1382), prima regina donna d’Europa, sovrana di Napoli, Sicilia, Acaia greca, Provenza e Forcalquier francesi, Gerusalemme, al fine di garantirsi una porta di accesso tra Provenza e Piemonte regnò nella strategica Valle Stura accordando numerosi privilegi a quelle genti.

Nella vallata, dell’Appennino Ligure oggi appartenente a Genova e Alessandria, era per questo considerata una benefattrice, alcune canzoni tradizionali sono rimaste a testimoniarlo.

La Rèino Jano

L’aigla tournaivo soubra la mountagno…venès, chivaus trop vite, trop lèns, metàisa causa: es fach lou serments. Passa la sjàissa, la guèrra es finida, lou mound se pàissa, l’obra es polida. Passa la sjàissa, passa l’asìr, revèn la vida, revèn lou plasir. L’aigla tournaivo de soubra, de lèns, ‘n bèc tenaivo ‘n bèu liri ‘strèns, lou lìri blau trait à la mountagno dins lou jardin de la rèina Jano. Les saps arsònen de nosto jouissanço, les vals entònen les chançouns de danço…” (L’aquila roteava sopra la montagna…venite cavalli in fretta o lentamente fa lo stesso: si è già fatto giuramento di fedeltà. Passa la paura, la guerra è finita, il mondo si calma, l’opera è luminosa. Passa la paura, passa l’odio, torna la vita, torna il piacere. L’aquila roteava di sopra, di sotto, nel becco teneva stretto un bel giglio, il giglio azzurro colto sulla montagna nel giardino della Regina Giovanna. Gli abeti risuonano della nostra esultanza, le valli intonano i canti della danza…)

Senhal

Ancor oggi è riscontrabile l’immagine della sua luminosa bellezza e delle qualità ritenute semi-divine, sui monti della Granda numerosi luoghi evocano La Rèino Jano e ancor più toponimi la citano, laddove storia e mito circondano la sua leggendaria figura.

La scheda in Terre Celtiche Blog Reina Jana (o Rejna Jano) [di Enzo G. Conti con i contributi di Cattia Salto e Monique Palomares]

Nel XVI secolo la lingua d’Oc fu declassata a patois con una ordinanza e finì idioma locale ma, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, in Piemonte è risorta, tanto che attualmente il provenzale rientra tra le lingue minoritarie protette e tutelate dallo Stato Italiano.

La Filologia Romanza in Italia si limita al Medioevo ma la produzione poetica delle Vallate piemontesi si è estesa fino alla contemporaneità, autori quali Antonio Bodrero (meglio conosciuto come Tòni Bodriè, Barba Toni, Barba Toni Baudrier) (1921-1999) oppure Claudio Salvagno (1955- 2020) (anche scultore), sono poeti noti in lingua occitana. All’Università di Ferrara esiste il primo insegnamento di letteratura occitanica moderna e contemporanea nazionale. Eppure c’è stato un tempo in cui nelle scuole della Francia meridionale, ogni bambino sorpreso a parlare in lenga d’oc veniva apostrofato “senhal” con intento denigratorio. Frédéric Joseph Étienne Mistral nel 1904 vinse il Nobel per la letteratura grazie “alla produzione poetica e per il suo lavoro come filologo provenzale” ma non vanno mai dimenticate le piccole canzoni folk.

Ai pè de ‘sta mountanho

“…e molo quë të molo, e talho quë të talho, se vou sabé moulâ mi m’laisou bën talhâ, se no baisou la testo e ‘ou laisou drè pasâ…e l’erbo lhi parlavo ma lour i capiën niente, ma lour capiën pa lou noste bel parlâ…”
(…e mola che ti mola, e taglia che ti taglia, se voi sapete “andar di mola” io mi lascerò facilmente falciare, sennò abbasserò la testa e vi lascerò passare…e l’erba parlava ma loro non capivano niente, ma loro non capivano la nostra bella parlata)

Valeria Tron

I Noels

I Noels (Canzoni di Natale) sono un corposo patrimonio europeo di canti e musiche di quella tradizione che, tra Alpi e Rodano, purtroppo non si è riusciti ancora completamente a raccogliere e catalogare ma a cui sono dediti meritori studiosi e valenti associazioni culturali, quali il Coumboscuro Centre Prouvençal o il Museo Etnografico di Sancto Lucio in provincia di Cuneo. Il compianto scrittore Sergio Arneodo, che ne fu responsabile dal 1976, nella creatività letteraria poneva l’intero destino della cultura di una terra, affermando: ”Una terra, la sua lingua senza letteratura si scioglie come neve al sole.”

Questi nouvé popolari provenzali dedicati alla Natività non hanno mai smesso di rinascere come erba sul prato delle emozioni pastorali, fino a giungere sui fili di ispirazioni musicali antichissime, alle nuove epoche. Un esempio che ho precedentemente trattato su Terre Celtiche è quello relativo alla canzone La camba me fai mau.

Senza dimenticare arcaiche danze quali gigo, cadriho, bourrétho, né leggende che narravano gli incantesimi di creature della montagna, le mitologiche faihète.
Sono melodie di silenzi malinconici intinte nel proverbiale fatalismo della povera gente, come nella storia dell’asino di Alegre (nome che condisce d’humor la vicenda) che alla sua morte lascia nel testamento i propri occhi, orecchie e gambe a chi ne è privo, accettando così nella rassegnazione più totale, la sorte che gli tocca[5].

La cultura etnica galante risalta sapientemente l’allusività delle parti narrative di questi brani popolari dei monti provenzali, rendendoli autentici documenti d’arte e costume. In ciò profondamente differente dalla polifonia strutturata dei celebri cori alpini. Non si tratta minimamente di canti interessati alle armonizzazioni a più voci in un largo movimento, ma sviluppati in melodie monodiche, anche se sovente ritmate su tempi veloci e contrastanti da parte degli strumenti che li accompagnano.

Benvènhut a la Gàrdia

Guardia Piemontese -Calabria

La storia racconta di come sorprendentemente più che ad innalzare cori, le Alpi scesero a piedi fino alla punta dello stivale italico per giungere a Guardia Piemontese paese, in Calabria.

Essendo Valdesi di fede, gli Occitani erano stati bollati come eretici dalla chiesa cattolica e da quelle valli di Angrogna e Pragelato, tra il 1265 e il 1273, accettarono le offerte di lavoro nei pascoli e nei campi da parte del nobile Ugone del Balzo. Altre fonti sostengono fosse stato piuttosto Zanino del Poggio, Signore del Feudo di Fuscaldo, ad accoglierli. I Valdesi essendo scesi dalle valli alpine erano abili nel lavoro e abituati alla coltivazione anche di terreni assai impervi.

Da Piemonte, Delfinato e Provenza arrivarono ai colli di ponente del territorio cosentino dove rimasero pacificamente fino a metà del sedicesimo secolo. Quando gli Occitani rimasti al nord nel 1532 aderirono alla Riforma Protestante, i Guardioli ne seguirono l’esempio, smettendo di riunirsi privatamente e uscendo da luoghi latebrosi per manifestare apertamente la propria fede.

La Strage dei Valdesi di Guardia Piemontese

Questo scatenò l’ira tremenda del sanguinario domenicano di Alessandria, Cardinal Ghislieri, il futuro papa Pio V ordinò infatti di sterminarli tutti indistintamente, qualsiasi età avessero. L’orrenda mattanza dell’Inquisizione avvenne nella notte del 5 giugno 1561 quando il feudatario Marchese Salvatore Spinelli con un inganno fece aprire le porte del paese a complici assassini e torturatori. Ai sopravvissuti fu inflitta una totale alienazione mentale collettiva, confiscando loro tutto, controllando che non si riunissero più e vietando l’uso della lingua occitana. Gli venne inoltre imposto con la forza di partecipare alla messa tutti i giorni, abolendo le unioni tra Valdesi per i futuri venticinque anni, affidando i figli che non avessero ancora raggiunto i quindici anni, a famiglie cattoliche. L’incarico di “rieducare” gli eretici venne affidato inizialmente a missionari gesuiti e dal 1600 a frati domenicani. Tra le duemila e tremila furono le vittime, i corpi martoriati venivano appesi ai pali come monito lungo le strade che conducevano ai confini con Basilicata e Campania, si narra che il sangue scendesse lungo le pendenze delle colline fino alla porta principale, che da Porta Grande venne ri-nominata Porta del Sangue (Pôrt del Sang). Ugualmente in paese ancor oggi si legge il macabro nome Piazza della Strage. Ci fu chi fuggì e tornò perfino in quelle stesse valli piemontesi da cui i propri antenati erano emigrati, qualcun altro riparò nella Valle del Noce in Basilicata.

Tragedia nella tragedia, questi sopravvissuti vennero dimenticati da tutti i loro fratelli del nord, nessuno si preoccupò più di quella colonia di Valdesi meridionali. Vennero cancellati come se non esistessero per ben trecento anni, fino a quando il Pastore di Napoli G. Pons recatosi a Guardia, non raccolse gli sfoghi di quelle genti. Erano stati giudicati dei rinnegati, non era loro stata perdonata la fuga dalle terre originarie, interpretata come debolezza sia di fede che di carattere. La violenta recisione del cordone ombelicale, da parte del potere armato della Chiesa, completò quell’isolamento anche culturale.

Santa Luna proteggici dal male

Durante i Medioevo la gente pregava: “Signore, proteggici dalla peste, dalla fame, dalla guerra”, il filosofo francese André Glucksmann sosteneva che la comunità esista non tanto per il bene, quanto contro il male ed Eugenio Montale scriveva: “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Nessuno in questi luoghi ha mai dimenticato quell’apocalittica notte, nemmeno le canzoni: “Tots ara ilh preian la luna…ilh prèian par todas las fèstas, qu’ilh nos gardèssa dal mal temp, qu’ilh nos gardèssa la biava, ab la vinha e lo seminat…Diu al nos libra, luna santa, dei truns e dei lamps, dei cotèlls e dei mals cristians, luna santa, tu tu n’as vists cristians contra Jèsus Crist…patz en ciel e patz en tèrra, Diu al nos scansa de la guèrra” (Tutti ora pregano la luna…si prega per tutte le feste, che ci guardi dal brutto tempo, che ci guardi la biada, la vigna e il seminato…Dio ci liberi, o luna santa, da tuoni, lampi, coltelli e mali cristiani, luna santa, tu ne hai visti di cristiani contro Gesù Cristo…pace in cielo e pace in terra, Dio ci liberi dalla guerra) (Tots ara ilh prèian la luna)[6].

Il 22 giugno 2015 Papa Francesco ha chiesto pubblicamente perdono per quei fatti lontani, recitando il proprio mea culpa nei confronti delle persecuzioni ai danni dei Valdesi. Oggi la comunità occitana vive tutta insieme a Guardia Piemontese (La Gàrdia), paesino senza tempo e antico borgo del Medio Tirreno Cosentino, irto su un colle a 515 metri tra cielo e mare sulla Riviera dei Cedri, prossimo alle acque sulfuree delle Terme Luigiane del limitrofo Acquappesa.

Alla base è stata posta nel 1975 la “Roccia delle nostre radici” proveniente dalla Val Pellice, e dove sorgeva la chiesa valdese distrutta dagli inquisitori, c’è dal 2008 una lapide con tutti i nomi conosciuti dei guardioli morti in quel 1561. E’ questa l’ultima enclave occitana del sud Italia e, a differenza degli insediamenti in Piemonte, la gente qui è riuscita a mille chilometri di distanza, nella creazione di una città tutta propria.

Occitani di Cosenza e tradizioni musicali

Contrariamente a quanto si è solito riscontrare nell’universo della musica folk, nelle nuove canzoni popolari occitane del sud Italia la memoria del passato è lacerata definitivamente, qui vivono nell’oblìo profondo nei confronti del mondo dal quale le loro genti provenivano. In Calabria come in tutte le altre regioni italiane sopravvivono canti antichissimi, arcaici ricordi che tracciano e solcano i secoli, a Guardia Piemontese no, la storia ha compiuto tabula rasa. L’evoluzione della loro parlata è del tutto auto-referente e non confrontandosi, ha conservato caratteri arcaici particolari come ad esempio il “perfetto perifrastico”. Forse oggi è la più vicina all’originale di tutta la vasta regione d’Occitania che si estende dalle vallate alpine del Piemonte, attraverso il centro-meridione della Francia, a ridosso dei Pirenei, nella Val d’Aran spagnola, in Catalogna e nel Principato monegasco. Il sociolètto guardiolo viene utilizzato unicamente da un numero ristretto di discendenti Occitani di Cosenza che lo parlano in circoscritti ambiti familiari o agricolo-pastorizi: può a buon titolo considerarsi lingua più che minoritaria.[7]

Però è sopravvissuta, anche dopo quasi sette secoli e nonostante l’eradicamento inquisitorio, potremmo a buon titolo considerarla uno dei simboli di resistenza umana.

Il Centro di Cultura Gian Luigi Pascale (editore prima, apostolo e martire poi, messo al rogo il 16 settembre 1560) con il suo Museo, la Casa della Cultura e il Laboratorio Tessile, è riferimento fondamentale per la conservazione di questo prezioso patrimonio. [8] In altri luoghi della regione ci sono comunità che utilizzano il grecanico e l’albanese a dimostrazione di come questa sia sempre stata una terra d’accoglienza.

A Guardia, escludendo riferimenti calabresi (come l’utilizzo dell’organetto), non risultano esistere strumenti musicali occitani o danze popolari tipiche locali. Perfino la storica ghironda medioevale delle valli del nord, nota compagna di strada degli antichi suonatori ambulanti, a Guardia ha cambiato il suo nome in “viola”. In questi luoghi si tramandano filastrocche infantili paesane, poesie d’amore o di preghiera relative a festività locali, scongiuri contro i mali, racconti, indovinelli e proverbi legati a ogni aspetto della vita o del tempo, tutte riferite però in qualche modo alla matrice cattolica calabra.

Le canzoni occitane di Guardia Piemontese

Le uniche canzoni puramente valdesi in lingua occitana di cui si conosca attualmente testo e musica[9] sono sette:

– Checcherenelle (Cicirinella): filastrocca cantilenata sull’aria di La piove e la fai soulelh.

– In iègge (Una volta): canto nostalgico d’amore composto dal guardiolo Michele Gonino, emigrato negli Stati Uniti. Nel testo viene citata “la chanamelle”, piccolo zufolo rudimentale, lo stesso che in Piemonte chiamato “charaméllo” si ricava da uno “stelo di segale” (come specifica Teofilo Pons nel suo volume Vita montanara e folklore nelle Valli Valdesi – 1978).

– La patroune (La padrona): ironico ma non rivendicativo canto di lavoro femminile, di epoca e autore ignoti, risulta a tutt’oggi completamente inedita.

– La piove e la fai soulelh (Piove e c’è sole): canto tradizionale che si ritrova anche nelle Valli del Piemonte, quasi sicuramente assemblata da varie versioni nel corso dei secoli, poiché le strofe non risultano storicamente tra loro coerenti. Contiene numerose interessanti curiosità linguistiche e analogie con terminologie provenienti da svariati luoghi d’Italia.

Senhal in La cavalio feat. Silvio Peron, Gianrenzo Dutto & Gabriele Ferrero

– La poumpouzelle (La vanitosa): anonima e ironica canzone d’amore contadina, scherza sull’attesa del pretendente nell’attesa che l’amata resti presto vedova.

– La Verdoulille (La Verdolina): canzone d’amore contadina di epoca e autore ignoti, ricalca la canzone popolare calabrese La Calabrisella.

– Serenate (Serenata): canto a contrasto tra lo spasimante e la ragazza alla finestra che inizialmente pare infastidita e nella seconda al contrario ricambia l’amore, il ritornello è conosciuto anche in canzoni di altre regioni italiane.

Taliant dë la peirë da Garroc (Osservando dalla pietra del Garroc)

L’inno occitano viene solitamente considerata la nostalgica serenata d’amore tradizionale “Se Chanta/Se Chanto” (“…abbassatevi montagne, alzatevi pianure che io possa vedere dove sono i miei amori”)[10].

Ma il profondo amore degli Occitani per Guardia lo si ritrova tutto nella recente “Taliant dë la peirë da Garroc”[11]. Composta una settantina di anni fa dal toscano, insegnante elementare Eros Marcello Gai, che era giunto in Calabria per motivi di lavoro, nel 1951.

Il brano venne musicato da giovani del luogo e interpretato dal coro che lui stesso aveva allestito e dirigeva. “I Guardioti” (che all’epoca partecipò pure a trasmissioni televisive nazionali), rimasti in attività fino al 1985.

Osservando dalla Pietra del Garroc si vedono le stelle luccicare, sono bianche e tremolano pure, pare che incoronino il paese, Guardia è qui, sfiora il cielo e da quassù vediamo la luna che inargenta il mare…

dalla Porta del Sangue al Convento, camminando per le tue viuzze si sente ancor oggi della strage, del sangue, il lamento, il tuo ricordo dei tempi tremendi quando l’antica tua gente venne tutta quanta massacrata…

Se Chanta/Se Chanto

video registrato durante il festival delle riforme culturali (2021) a Guardia Piemontese Sergio Berardo intona insieme a Francesca Prestia e Christian Avolio l’inno nazionale occitano

https://fb.watch/luOZjYmRhB/

Lou Dalfin

NOTE:

[1] In quello stesso anno “Coda di Lupo” di De Andrè venne tradotto in occitano-nizzardo dallo scrittore/acquarellista Jean-Luc Sauvaigo e interpretata in “Canti Randagi” dal quartetto Vaillant/Tesi/Zitello/Bonafé. Anche se l’operazione discografica più interessante risulta senza dubbio nel 2010, la rivisitazione in lingua occitana dell’intero disco “Storia di un impiegato” da parte di Lou Tapage (Il Frastuono), ensemble musicale di Saluzzo (Cuneo).
[2] https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=51705
[3] Un esempio in aranés sono le canzoni di Alidé Sans, giovane cantautrice contemporanea dell’isolata Valle d’Aran, composte in questo antico dialetto, ad una di esse è consacrata la seconda parte del mio antecedente articolo: https://terreceltiche.altervista.org/mari-e-monti/
[4] Trovatore cercasi [Cattia Salto]
Le prime cantautrici europee [Flavio Poltronieri]
[5] la scheda in Terre Celtiche Blog https://terreceltiche.altervista.org/lasino-allegro-occitano-laze-d-alegre/
[6] queste preghiere alla Luna non sono insolite nelle tradizioni popolari che affondano le loro radici in un lontano, ancestrale, passato: si confronti ad esempio il culto/devozione ancora ampiamente praticato nelle isole britanniche per tutto l’Ottocento The New Moon/ A’ Ghealach Ùr
[7] si veda ad esempio il video di Sergio Straface che intervista l’amico Domenico Iacovo https://youtu.be/l2E_bsyE44k
[8] Centro di Cultura Gian Luigi Pascale https://youtu.be/S-gjODcaDZY
[9] per i testi con traduzione in particolare di La piov e la fai soulelh e di Taliant dë la Pèirë da Garroc si veda https://radiosurace.com/guardia-piemontese-ed-il-gardiol/
[10] http://www.espaci-occitan.org/occitano-e-occitania/croce-occitana-e-inno-occitano/inno-occitano-se-chanta/
[11] Garroc è uno scoglio, oggi detto “della Regina” che si separa dalla riva e ad essa si riunisce grazie alla sabbia che il mare porta o sottrae a proprio piacimento.

LINK
http://www.chambradoc.it/Coumboscuro-1969/laChan-ccedilounDeLaReinoJano.page
http://www.piemonteparchi.it/cms/index.php/territorio/personaggi/item/957-lou-temps-de-la-reino-jano
https://www.valdesidicalabria.org/
https://minoranzelinguistiche.regione.piemonte.it/contenuti/occitano/audio/mis-amour
https://www.sergiostraface.it/a-guardia-piemontese-in-calabria-terra-ha-un-nome/
https://fondoambiente.it/luoghi/scoglio-della-regina-acquappesa?ldc

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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