Brrr…

All’epoca dei grandi velieri e di esplorazioni estreme, innumerevoli furono quelle entrate nella leggenda e nell’immaginario artistico.

Una sirena narra in un’antica canzone gaelica delle Isole Ebridi, l’oscura leggenda di pescatori che possedevano la pessima abitudine di attirare verso gli scogli le poche navi che capitavano da quelle parti al largo della Scozia.

ll passaggio a Nord-Ovest e Lord Franklin

La celebre ballata tradizionale che ricorda l’artica spedizione perduta nel 1845 del Capitano Sir John Franklin era amata a tal punto dal compianto John Renbourn, da interpretarne il proprio arrangiamento praticamente in ogni suo concerto. Lord Franklin e i suoi centoventotto uomini, non furono mai più ritrovati, cercavano il passaggio a nord-ovest che avrebbe collegato Atlantico e Pacifico facilitando i viaggi e accrescendo il potere inglese ma sparirono nel nulla per sempre.

Il personaggio a cui è dedicata la canzone è Sir John Franklin (1786-1847) già governatore della Tasmania, e tra i fondatori della Royal Geographical Society, guidò come comandante della Royal Navy numerose esplorazioni nell’Oceano Artico. La ricerca del passaggio diventò per lui quasi un’ossessione.
Lord Franklin e il Passaggio di Nord-Ovest [Cattia Salto]
La ballata è stata rivisitata anche da Angelo Branduardi in “Il rovo e la rosa – Ballate d’amore e morte” 2013
Ora ogni notte è una lunga pena ma per Lord Franklin alzerò le vele.
Tentando ancora di ritrovarlo, seguirò Lord Franklin, ovunque lui sia.

Il raccapricciante “Man Proposes, God Disposes” (L’uomo dispone, Dio propone) che lo celebra, venne dipinto nelle immediatezze degli avvenimenti e oggi si trova esposta alla Royal Holloway, un college dell’Università londinese i cui studenti, fin dagli anni venti del secolo scorso, sono però convinti porti sfortuna e che chi viene esaminato seduto davanti a quest’opera finirà bocciato.

Man Proposes, God Disposes di Edwin Landseer (1864)

Proprio in virtù di questa leggenda metropolitana, rafforzata ulteriormente da una seconda che narrava del suicidio di uno di loro che lasciò il biglietto “gli orsi polari me l’hanno fatto fare”, il quadro ogni anno durante lo svolgersi degli esami viene coperto con una bandiera inglese. Alla faccia della retorica flemma inglese.

Il Passaggio a Nord-Est

In quei tempi di imprese estreme, innumerevoli furono quelle entrate nella leggenda e nell’immaginario artistico. Nel 1875 Julius Payer, Tenente di Vascello a bordo del bastimento da battaglia Tegetthoff, riportava di come la notte quando il cielo era coperto, lo spettacolo più malinconico del mondo fosse quello del ghiaccio che andava a morire nei sussurri. Il naufragio poteva apparire come un corteo di bare bianche dirette verso la tomba e il frusciare ripetitivo dell’acqua filtrando, si infilava in ogni spigolo vivo. C’era il vapore che trasudava dai bordi sporgenti dei grandi ghiaccioli e piombava dentro quell’eterno sussurro monotono. C’erano pezzi di ghiaccio che, perdendo di sostegno, scivolavano in mare e finivano per “spegnersi lì come una fiamma sfrigolante”. Ed infine il lastrone che si rompeva in crepe concentriche.

L’Ammiraglia Tegetthoff

Il Capitano della Tegetthoff (forza 25 cavalli, corsa 5/6 miglia all’ora) era Carl Weyprecht, tedesco di nascita ma triestino per scelta. La sua piccola ciurma era interamente composta da marinai dalmati, istriani, fiumani e triestini. Un equipaggio definito da alcuni anglo-americani, “troppo balcanico”, da altri “troppo mediterraneo” da altri ancora “troppo mitteleuropeo”[2].

l’equipaggio della Admiral Teghetthoff

Weyprecht la pensava esattamente all’opposto, per lui era tutta gente che viveva “con la bora e con la neve nelle proprie stanze prive di riscaldamento, non hanno mai freddo, hanno probabilmente sangue più caldo”.

La direzione era l’ignoto a nord della Siberia e la spedizione (durata prevista due anni e mezzo) venne finanziata da famiglie aristocratiche austro-ungariche. I giornali triestini dell’epoca riportavano scritto con enfasiMolte fatiche, grandi privazioni e forti strapazzi stanno innanzi a coloro che prenderanno parte alla spedizione, ma anche lo scopo è nobile e grande. Se l’impresa riesce, la si può chiamare il fatto più importante che sia stato portato a compimento finora nelle regioni artiche”. Nonostante le disavventure[1], scoprirono “La Terra di Francesco Giuseppe”, l’arcipelago più a settentrione d’Europa. Il Capitano dell’Ammiraglia Weyprecht sosteneva: “Chi vuole veramente ammirare la natura deve osservarla nei suoi estremi, nella sua nudità, ai poli, dove appare nettamente e distintamente la grandiosa struttura interna, solo così, senza distrazioni e influenze, l’attenzione si focalizza unicamente sulle sue forze”.

Alexander Kircher

[1] la nave rimase incagliata e venne abbandonata nel maggio 1874 quando gli uomini tentarono di ritornare percorrendo tratti con le slitte alternati alla navigazione su alcune scialuppe di salvataggio https://it.wikipedia.org/wiki/Spedizione_austro-ungarica_al_polo_nord

[2] scrive Julius PayerA bordo la confusione delle lingue si presenta alquanto comica. Tra loro i marinai parlano per lo più in slavo, ma in servizio usano l’italiano. In cabina si parla tedesco, e norvegese con l’arpioniere Carlsen, un uomo di 50 anni. Questi conversa con l’ufficiale di coperta Lusina in inglese. Carlsen è il nostro maestro di ghiaccio, e se è in turno di guardia, dà i comandi in norvegese – solamente da qualche tempo si avvale di alcune delle parole più usuali in italiano. Il dottor Kepes dialoga con gli uomini usando il suo latino professionale e l’ungherese, ma con Lusina parla in francese. Infine, abbiamo a bordo una strana lingua – si tratta del tedesco dei due tirolesi, che all’inizio riuscivo a comprendere io solo”. https://www.triesteallnews.it/2019/10/carl-weyprecht-un-triestino-alla-scoperta-del-polo-nord-1872-74/

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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