I Balli Folk di Bretagna

In Bretagna tutti ballano. Attualmente l’an-dro, la danza in tondo[1] del Pays Vanntais, nel sud del regione, simbolo di festa conviviale, è diventato frenetico ma tradizionalmente era molto più lento, poche sono invece le danze cantate in stile kan ha diskan (plin/gavotte/fisel) che sono concentrate tutte nella Bretagna Centrale.

Se oggi conosciamo così tanti an-dro, oltre che per la mai abbastanza lodata tradizione orale, è anche grazie all’opera di raccolta e trascrizione da parte di Joseph Mahé. Nato nell’isola di Arz, nel golfo del Morbihan, nel 1760, scampato all’allora comune destino marittimo, intraprese gli studi nel Collegio di Vannes alla morte del padre e fu ordinato prete a ventiquattro anni. Divenne Vicario della Parrocchia di Saint-Salomon, poi canonico della cattedrale della città e soprattutto responsabile della sua biblioteca nel 1806. Nel 1825 pubblicò all’interno del “Essai sur les Antiquités du Morbihan[2] uno studio sulle melodie popolari locali, ovvero fra le più antiche testimonianze scritte della musica bretone.

Il Circasso

Nelle festoù-noz e non solo, anzi quasi ovunque, si possono incontrare invece dei Circoli Circassiani[3], la contro-danza originaria della Scozia che all’inizio si basava sulla melodia di reel ma che oggi lo è quasi esclusivamente su quella di giga. Tra i tanti grandi misteri dell’umanità c’è anche quello piccolo piccolo riguardante l’origine di questo nome, del perché si faccia riferimento alla regione caucasica della Circassia, sul Mar Nero, i cui abitanti dopo averne passate di tutti i colori vivono ancora oggi nella diaspora, non è cosa nota. Si tratta, come per le bransles medioevali e vari altri, di un ballo circolare: il cerchio solitamente è la rappresentazione che tutte le vicende umane già sono state e ancora saranno. E’ stato più volte contrapposto alla teologia cristiana che vuole la croce come simbolo di unione tra terra (l’orizzontale) e cielo (il verticale). Nel mondo celtico antico i due simboli sono stati uniti a formare la croce runica (o di San Patrizio), di cui oggi, ahimè, si sono appropriati indebitamente gruppi politici di destra.

In questa danza collettiva, ogni uomo ha una donna al suo fianco, i due si muovono verso il centro su quattro tempi, poi rinculano e ricominciano, quindi le donne tornano da sole al centro per poi riguadagnare la postazione iniziale muovendosi all’indietro senza mai voltarsi. Quando sono tornate tocca ai maschi ripeterlo con aria più decisa, a contrasto con quella precedente pervasa di grazie femminile, fanno mezzo giro e riavvicinatesi alla loro compagna, la fanno girare per otto misure, la prendono al braccio destro per una passeggiata sul cerchio e il giro quindi si riforma. Tutto ricomincia ma ogni uomo trova un’altra donna alla sua destra e nuove coppie si formano.

Trihory de Bretagne

La parola “folklore” è stata inventata nell’Esagono francese nel corso della seconda metà del XIX° secolo ma in Bretagna come ovunque altrove, arti popolari e arcaiche tradizioni venivano praticate da secoli. Per quanto è in mio sapere, risale all’incirca al termine del XVI° secolo la prima descrizione comprovata di una danza bretone[4]. Si trattava di quella di uno spettacolo a Landerneau, in onore delle truppe di Re Enrico II° di Valois (1519-1559) e della consorte Regina Caterina de’ Medici (1519-1589) presso il castello di Nantes, dove giovani danzatori erano stati invitati dalla Belle-Isle bretone. Il Re era anche Duca di Bretagna, titolo ricevuto dalla madre che a sua volta l’aveva ereditato da Anna di Bretagna. In quella occasione a pronunciarla fu uno dei padri celebri della chirurgia moderna, Ambroise Paré (prob. 1510-1590), nativo di Bourg-Hersent, vicino a Laval, nel Maine, tra Bretagna e Normandia e, secondo alcuni figlio di un costruttore di cesti di vimini, secondo altri il lacchè di un barbiere, mentre sua madre era sicuramente una prostituta.

A dire il vero Paré non era neppure medico riconosciuto e dovette superare innumerevoli peripezìe. A quei tempi la scuola di chirurgia più importante era all’ospedale Hôtel-Dieu di Parigi ma lui, nonostante l’abilità, era troppo povero per ottenere quel titolo in maniera ufficiale. E’ risaputo infatti che all’epoca doveva essere il candidato stesso a sborsare di tasca propria i denari per pagare la valutazione dei docenti della commissione d’esame finale. La categoria dei medici godeva in Francia di uno status sociale maggiormente elevato rispetto ai chirurghi, ma presso il popolo era esattamente il contrario, in barba ai titoli ufficiali. Nel secolo seguente perfino Molière, il maggior autore del teatro classico francese, sbeffeggiò con ironia il corpo degli accademici con celebri opere come “Il medico per forza” o “Il malato immaginario”, in cui è scritto con ferocia che “il malato è un poveretto immobilizzato a letto e costretto ad ascoltare i vaneggiamenti dei medici finché o la Natura lo guarisce oppure le cure lo ammazzano”.

Feste e Festival di Balli Folk in Bretagna

Nel XIX° secolo le danze bretoni presero piede ovunque nella regione grazie al Duca di Nemours, a Napoleone III° e al presidente Félix Faure e ancor più in quello dopo, sull’onda della presa di coscienza bretone e della crescente estensione turistica: ricorrenze, festeggiamenti e pardons le contemplavano ovunque.

Unitamente a costumi, i canti e gli strumenti musicali di ogni angolo della regione, contribuivano a formare cerchi celtici e bagadou, ovvero i tradizionali ensemble di biniou, bombarde e tabouilin che tra città e borghi percorrevano l’Alta e Bassa Bretagna.

Alcune feste sono diventate poi, nel corso del tempo, dei veri e propri festival o manifestazioni in onore dei cicli annuali della vita e della natura. Ricordiamo quella di Quimperlé a fine maggio detta “Pardon di Toulfouen a Pentecoste”, la “Festa di Primavera” tra i megaliti di Carnac in giugno, poi le numerosissime tra luglio e agosto, tra cui: “La Festa degli Ajoncs d’Oro” a Maroué e a Pont-Aven, la “Festa delle Ricamatrici” di Pont L’Abbé, “C’hoariou Langonned” appunto a Langonnet, la “Festa dei Meli” a Fouesnant, il “Concorso delle Corali” e il “Festival di Cornovaglia” a Quimper, la “Festa dei Gabbiani” a Saint-Briac/Mer, il “Festival Interceltico” di Lorient, la “Festa dei Suoni, Luci e Danze” di Douarnenez-Tréboul, la “Festa dell’Erica” a Beuzec-Cap-Sizun, il “Festival folklorico del Ginnetto d’Oro”, la “Festa d’Arvor” di Vannes, la “Festa dei Menhirs” ancora a Carnac, la “Festa delle Reti da Pesca Blù” a Concarneu. Le manifestazioni estive bretoni si concludono a Gourin a fine settembre con il “Pardon di Saint-Hervé” ed il suo affollatissimo concorso per suonatori.

Danza celtica? La Rinascita della Bretagna danzante

Oggi che, come la musica o la pittura, anche la danza ha compiuto infiniti giri e percorsi, definirla “celtica” qualifica meramente una influenza essenziale tesa a liberarla soprattutto dall’obbedienza stretta a qualsivoglia regola del ballo convenzionale. Si tratta di evocare delle differenze, nella continua ricerca di un linguaggio nuovo e contemporaneo, anche la Bretagna non può più ovviamente solo aspirare alla salvaguardia del proprio patrimonio lontano nel tempo. Il linguaggio coreografico traduce uno stato dello spirito di fronte alle nuove realtà, senza dimenticare mai che comunque all’interno di questo universo, risiedono le vivide immagini simboliche dei miti bretoni antichi. E’ proprio in questi paesaggi che può sorgere l’immaginazione di qualcosa di nuovo, tra fuga e volo, desideri e sussulti, equilibri e vortici, tra verbo ed eco, la vita nelle città e i ricordi delle campagne, le urla e i dialoghi degli uccelli sopra i quotidiani e ritmati suoni oceanici. Anche per la Bretagna danzante quindi dopo le cadute è arrivato il fuoco di rinascita e come per i suoni e i colori, si balla oggi in un cerchio notturno in mezzo a correnti d’aria venute da altrove.

Sulle leggende immortali di questi luoghi dove la musica è acciaio e le parole sono ferro, dove la poesia arde come fiamma che non viene dalla terra, ma dalle acque che hanno preteso prezzi altissimi in cambio di suoni dannati, e che spesso non hanno restituito quel che con i loro flutti hanno ghermito. Questa terra che ha i cieli sempre scuri e sempre colmi di pioggia, sia d’estate che d’inverno, che racconta la storia dell’estremità del mondo occidentale, costantemente fissata nella memoria delle proprie genti.

A quelli che arrivano in Bretagna le mani ridonano l’infanzia della terra, i colori di lontane profezie, le goccioline di acque infrante e trasportate dal vento freddo, le farfalle rare che vivono solo all’orizzonte e che abitano spazi tra pietre e stelle. In Bretagna alla deriva di notti rinchiuse in cerchi circassiani immaginari, lo spazio innocente, lucido e derisorio delle forme, dona all’urlo del vernacolare goéland, un’energia che sottolinea le similitudini e le differenze che dimorano nel vivere il tempo. In Bretagna si balla in riva all’oceano che qui produce il formidabile e potentissimo goémon (varech): rosso, verde, marrone, dai cui fondali nelle notti chiare, le ostriche salgono ad aprire le loro valve lasciandosi baciare dai raggi di luna per far nascere perle. A bruciare l’alga di goémon si ricava una “soda naturale” con la quale si può creare anche il vetro e ad un certo punto degli anni settanta in Bretagna, gli specchi sono sembrati distruggere ogni tipo di paure. Erano gli anni in cui Glenmor scriveva di vivere in un paese dove i muratori si svegliano la notte perché hanno udito urlare una pietra posta male“.

In Bretagna si balla anche nelle foreste. Queste foreste i cui canti portano visioni spaventose che nulla hanno da invidiare a quelle del cavaliere irlandese del XII° secolo, Tnugdalo (Visio Tnugdali) che influenzarono l’immortale scrittura di Dante Alighieri o l’altrettanto immortale pittura di Hieronymus Bosch. Queste foreste dove l’humus è la leggenda millenaria di strati e strati di avventure umane, dove non c’è ramo che non possa raccontare di musici, cavalieri o battaglie, non c’è pietra che non sia stata posta dal girovagare secolare di viandanti, non c’è seme che non conservi epica memoria di coltivazioni, fatiche, amori o dèi. Queste surreali foreste dove il tempo, come la storia, non passa ma piuttosto si sovrappone e si accumula.

I folletti della montagna

Nei racconti armoricani può capitare di assistere ad ogni tipo di baratto, compresa una piuma di pavone in cambio di una formuletta estratta dal fondo delle età, per convincere a ballare un korrigan delle due cime (lo Yed e lo Yelc’h) della montagna sacra armoricana Ménez-Hom (Menez C’homm). Questi folletti, custodi del biniou, nascono e muoiono sottoterra e vogliono ballare solo intorno a dolmen o fontane, di giorno sono orrendi ma di notte appaiono in tutto il loro splendore e, se prendono le sembianze femminili, sono davvero irresistibili.

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NOTE a cura di Cattia Salto

[1] Nell’antica civiltà bretone tutte le danze si ballavano in cerchio chiuso e si chiamavano an dro, cioè “in cerchio”. La danza in cerchio è la forma di danza più antica e più diffusa e quelle della nostra cultura derivano dalle carole medioevali . In un secondo tempo il cerchio si è aperto e il canto è caduto in disuso ma non in Bretagna dove la tradizione musicale e coreutica è profondamente ancorata al Medioevo

[2] Essai sur les Antiquités du Morbihan scansione digitale dell’intero libro in https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k61026071.texteImage

[3] Ballo proveniente dal Northumberland è stato semplificato in Francia da Yvon Guilcher al tempo del folk revival del 1970 a scopi divulgativi; appartiene al genere dei mixers, le danze collettive figurate che costituiscono una particolare categoria delle country dances in cui i danzatori cambiano “partner” a ogni giro di musica. Oggi è la danza più conosciuta (diffusa a tutte le latitudini) del “Bal Folk” e delle rievocazioni medievali
https://ontanomagico.altervista.org/circassian.htm

[4] anche Thoinot Arbeau descrive la danza nella sua Orchésographie ( 1589 )

Approfondimento
https://ontanomagico.altervista.org/danze-bretoni.html

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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