Glenmor: Non sarò che una lanterna, ancora bisogna rischiarare la tavola

Glenmor: l’uomo che per primo e da solo si alzò per forgiare parole nuove che portavano in se il sale e la fiamma.

Glenmor
Glenmor

Il vero nome di Glenmor era Émile Le Scanve (Milig ar Skañv in bretone). Un nome dove il lavoro e la marea si sono uniti in matrimonio. Parole nate dalla rivolta del verbo di tutta una generazione, una generazione giovane che imbracciò arpe e bombarde come in America fece Guthrie con la sua chitarra. Ma è bene ricordarlo, all’inizio di questa storia, altri non ce n’erano, ce n’era solo uno ad opporsi ad ogni tipo di assolutismo: Glenmor.

Colui che il suo amico Léo Ferré definiva “Vichingo”. Colui che amava e cantava gli spariti: Morvan Lebesque, Gribouille, Yann-Mikael Kernaleguen, Xavier-Marie Grall
Colui che cantava l’Indipendenza che significa libertà d’espressione, l’espressione che comincia con la lingua materna e questo la sua voce lo ha cantato sempre in francese, così da farsi ben capire. Una voce poetica, politica, mitica, blasfema, una voce di denuncia che non cessava di cantare nemmeno quando era in sciopero della fame in sostegno di qualche compagno del FLB imprigionato. E’ a lui che un giovane Gilles Servat si rivolge nel concludere la sua canzone manifesto Ki Du. Prima di scrivere canzoni Glenmor ha fatto anche il venditore di aspirapolveri e di scatolette di conserva…e ha sofferto di tubercolosi (la sua Viviana gli è morta fra le braccia dell’identico male) prima di esibirsi nell’ottobre del 1959 a 28 anni per la prima volta a Parigi, accompagnato dalla grande arpista Denise Mégevand.
Filosofo, visionario, scrittore, anarchico, censurato, amato a Montparnasse, qualcuno ha sostenuto a sproposito che perfino Jacques Brel lo citasse in Le Moribond (Adieu l’Emile je t’aimais bien…). Ma lo stimava, questo si, come d’altronde anche tanti altri illustri colleghi: Léo Ferré, Georges Moustaki, Paco Ibanez, Salvatore Adamo…satanesco prete da combattimento, perennemente in lotta al servizio del popolo e dell’infanzia, la barba da profeta, tribuno contro il potere e la sopraffazione, i suoi sono i versi dell’ombra che aspira alla luce. Glenmor ha scritto circa duecento canzoni atemporali di una qualità difficile perfino da immaginare. Negli anni cinquanta solo pochissimi anziani oramai conoscevano la lingua bretone che era bandita dalle scuole. La forza smisurata della poesia di Glenmor ha oltrepassato i confini regionali e aperto tutte le porte della notte. Si è eretto a testimone e i venti erano propizi perché la riuscita è stata totale e in tutta la Bretagna le voci e i suoni delle bombarde si sono levati. Nel 1977, ha scritto e cantato la sua Contro-Marsigliese: “Non arriverà mai il momento della campana a morto per la nostra storia…loro vivono qui, ma restano al di fuori…e su ogni straccio abbiamo ricamato in rosso sangue: Merda alla Francia!

A metà degli anni sessanta lo accompagnò all’arpa anche un adolescente Alan Stivell, che nel 1977 a lui dedicherà l’intera prima facciata del suo LP “Raok Dilestra” (Prima dell’approdo), dal titolo En enor (Il nostro passato), nel quale riscrive per sommi capi la storia della Bretagna in contrasto con quella ufficiale dei testi scolastici e che nel 1988 lo saluterà per l’ultima volta con questo commovente arrivederci in canzone:
Kenavo GlenmorAlan Stivell con Paddy Moloney, in 1 Douar 1988

I
En amzer-se ‘oa ur bern tud aonig
Ne gredent sevel o mouezh kreñv
N’oa tost ‘met ur barzh en Arvorig
E hanv kozh oa Milig Ar Skañv
II
‘Vel kalz a dud, karout anezhañ a raen
‘Vel kaner, ‘vel Breizhad, ‘vel den,
Fenoz ar glen hag ar mor a glemm
Mouezh hor barzh ‘gana ‘bar’ ‘n avel yen
Trugarez, trugarez deoc’h c’hwi Glenmor
Ho mhouezh hud war an hent dalc’hmat
Ne gollo biken den hoc’h eñvor
Ne varvo ken nerzh hon dispac’h
III
En ce temps-là nombreux étaient les timides
Qui n’osaient dire clair et fort leur matrie endormie
Il n’y avait guère qu’un barde,
guerrier sans arme, en Armorique
Chez lui, on l’appelait Milig
IV
Je l’aimais comme déjà un héros de l’Histoire
Comme chanteur, comme Breton, comme personne,
Ce soir gémit la terre de la vallée et la mer autour sonne
La voix de notre aigle-barde chante dans le vent froid
V
Merci, merci à toi Glenmor
De tes mots des chemins s’impriment
Jamais ne s’éteindra leur magie
Nos révoltes ignorent la mort
Traduzione italiana di Flavio Poltronieri
III
“In quei tempi numerosi erano i timidi
che non osavano parlar chiaro e forte
della loro patria addormentata,
non c’era che un bardo in Armorica,
a casa sua lo chiamavano Milig.
IV
Io già lo amavo come un eroe della Storia,
stasera piange la terra della vallata e il mare suona,
la voce del nostro bardo-aquila canta nel vento gelato.
V
Grazie a te Glenmor,
delle tue parole che hanno scolpito sentieri.
Mai si spegnerà la loro magia,
le nostre rivolte ignoreranno la morte

 

Glenmor si fece Bardo di Piccola Bretagna, unendo le parole Terra e Mare, ma attenzione perché sottilmente la lingua bretone conferisce al vocabolo “glen” una sfumatura spirituale, vuol significare la terra come paese di transito, una terra vicina al firmamento. Per designare la terra dura e che tutti ci nutre, lassù au bout du monde, utilizzano un’altra parola: “douar”.
I bardi hanno sempre avuto un ruolo di primo piano in tutti i tempi, niente a che vedere con i rimatori sentimentali delle provincie francesi. Quest’uomo era lui da solo una “jacquerie“, una sommossa, una sedizione: bastava vederlo!
Quando mi sono recai a Vouilhenn, nel comune di Maël-Carhaix, nel cuore del centro ovest della Bretagna, antica città dell’ardesia, ho provato ad immaginarmelo bambino, chierichetto di campagna…..veniva giù un sacco di pioggia quel giorno (ma è così TUTTI i giorni in Bretagna!) e forse per ironia, “Vouilhenn” vuol dire pozzanghera….
Purtroppo non ho avuto in passato la fortuna e l’occasione di incontrarlo, né di assistere ad una sua esibizione ma amici comuni che con lui hanno suonato (come Bernard Benoit) o che mi hanno inviato dischi interi consacrati alle sue composizioni anche in tempi recenti (Gérard Ducos, Clarisse Lavanant, Laurence Meillarec) continuano ancor oggi, dopo tanti anni, a testimoniare la dirompente immortalità della sua rigorosa opera.

Xavier Grall dedicò al fraterno amico Glenmor nel 1972 un bellissimo volumetto all’interno della collana “Poésie et chansons” Edizioni Seghers.
Per festeggiare la nascita di entrambe le pagine consacrate a questi due grandi:

Applaudiamo il vate* che libererà le nostre anime celtiche.
Le grida!
Le battaglie!
I covoni!
Uomo della strada principale,
accende i semafori nelle città occitane,
nei cabarets fiamminghi,
nelle radure del Québec.
Imperi latini vi sbriciolerete
sotto la spinta selvaggia delle imprecazioni bretoni,
berbere
e azteche.
Glenmor nel riposo di Settembre risiede a Pont-Aven.
E forgia l’epopea di domani
con i vecchi suoni** della pioggia e del sangue.
Che l’inno si levi nella vallata e che vi ari,
voi anime smemorate,
prudenti…

* “ovate” era il “sacerdote della Gallia druidica”
** “sône” è un canto sentimentale nell’idioma bretone, unicamente per semplicità l’ho impropriamente tradotto con la parola “suono”

“Glenmor” di Xavier Grall, dal volume “Rires et Pleurs de l’Aven” Edizioni Kelenn 1978.
Traduzione e note di Flavio Poltronieri

LINK
https://www.antiwarsongs.org/do_search.php?lang=en&idartista=12609&stesso=1

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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