Hija Mía

Le cantigas[1] nate e cresciute lontano, come quelle ladine di terra spagnola, si sono maritate bene con l’est, circondate da ottimi suoni e ottimi silenzi lungo quel loro lungo cammino verso Bulgaria, Grecia o Siria.

L’influsso balcanico nel grande Romancero Sefardita
Hija Mía
Durme durme
La Serena

La Sposa Esigente (La Novia Exigente): tracce della ballata sefardita nelle tradizioni musicali dell’Est Europa
La Sposa esigente: ulteriori versioni dall’est
Varianti turche

Dora Juárez Kiczkovsky e il suo debut album “Cantos para una diaspora” 2013.

in concerto live


L’influsso balcanico nel grande Romancero Sefardita

Il Romancero Sefardita comprende a tutti gli effetti anche le cantigas composte fuori dalla Spagna e dopo il 1492. Non si contano quelle popolari tra gli ebrei di Damasco, Edirne, Sofia, Belgrado, Rodi, Salonicco, Tangeri, Casablanca, Orano, in Israele come in Argentina, negli Stati Uniti come in Canadà…

Elementi della cultura turca hanno influenzato i modi di cantarle con l’inserimento di ritornelli tra le strofe, talvolta anche di una sola parola come “aman” (ahimè) ma soprattutto per la liricizzazione della loro poetica, come ne La Serena, o nel caso dell’inedito accostamento metaforico tra calligrafia e bellezza femminile, tipico della scrittura erudita arabo-turca dove il cielo diviene carta, il mare inchiostro e gli alberi penne per descrivere le sofferenze d’amore.

Una di loro, finita in Turchia ma raccolta anche a Salonnico, nel Golfo Termaico del Mar Egeo, si trova nell’unico disco dell’amica messicana di origine ebraica Dora Juarez Kiczkovsky, recando il fuorviante titolo Hija Mía, che è anche quello di un’altra canzone sefardita, ben più famosa e interpretata assai spesso (“Hija mia mi querida/Aman, aman, aman/No te eches a la mar/Que la mar esta en fortuna…”), che in questo caso però non c’entra nulla poichè trattasi del dialogo tra figlia e madre con quest’ultima che cerca di salvarla da un mare in tempesta che altro non è che immagine metaforica di amore e sessualità. Ma la figlia le risponde che preferisce essere inghiottita dal “pexe preto” (pesce nero) piuttosto che mancare agli appuntamenti con le sue esperienze di vita[2].

Hija Mía

Musica sefardita
Eugène-Delacroixs -‘Matrimonio ebraico in Marocco’ 1839

In questa Hija Mía invece un padre si rivolge alla figlia, proponendole una serie di corteggiatori che puntualmente lei rifiuta sdegnosa, a partire dal loro stesso nome: “Si chiama Ali, mi farà impazzire”, “Il suo nome è Mehmet, mi prenderà e divorzierà da me”.

La formula utilizzata dal ritornello è: “Istemem, babacigim, istemem” ovvero “Non voglio, padre, non voglio”.

Alla fine resterà con un ubriacone che sembra l’unico in grado di farle piacere[3]: “Onun adi sarhos, edir beni bir hos” (Il suo nome è ubriaco, è simpatico) e la canzone si concluderà quindi finalmente con un “Isterim babacigim, isterim” (Lo voglio, padre, lo voglio).

Nella cantiga originale sefardita il titolo era esteso a Hija Mía Te Kero Dar[4] e i nomi dei vari corteggiatori non comparivano, nelle cinque strofe venivano valutate piuttosto le loro caratteristiche di altezza, bassezza, bellezza e gelosia.

Esistono versioni dove il padre viene sostituito dalla madre, il che è anche più credibile in quanto storicamente presso gli ebrei sefarditi erano sempre e solo le donne a gestire le questioni di famiglia.

Fortuna: la versione con madre e figlia

Nella sua versione Dora mescola comunque ulteriormente le carte, poiché la bassezza viene sostituita dall’avarizia (della cui origine sono completamente all’oscuro) e soprattutto (inspiegabilmente) canta non di abbracciare l’ubriacone, bensì una frase sconcia in italiano (della quale non ho mai avuto la sfrontatezza di chiederle il motivo) e che dubito appartenga a qualche scritto originale (…)

hixa mía my querida te voy dar un alto
no quero, padre, no quero
que el es alto yo no lo alcanzo
no quero, padre, no quero

que el es alto yo no l’alcanzo
no quero, padre, no quero

hixa mía my querida te voy dar un tiñoso

no quero, padre, no quero
que el tiñoso no tiene mi ojo
no quero, padre, no quero

que el tiñoso no tiene mi ojo
no quero, padre, no quero

hixa mía my querida te voy dar un hermoso
no quero, padre, no quero
que el hermoso yo no lo gozo
no quero, padre, no quero

que el hermoso yo no lo gozo
no quero, padre, no quero

hixa mía my querida te voy dar un borracho
ya quero, padre, ya quero
con el borracho “ciucciami il cazzo”
ya quero, padre, ya quero

con el borracho “ciucciami il cazzo”
ya quero, padre, ya quero

Dora Juarez Kiczkovsky Hija mía
Dora Juarez Kiczkovsky La Serena live

figlia mia cara, voglio darti un alto
non voglio, padre, non voglio
che a un alto io non ci arrivo
non voglio, padre, non voglio
che a un alto io non ci arrivo
non voglio, padre, non voglio

figlia mia cara, voglio darti un avaro
non voglio, padre, non voglio
che l’avaro non mi prende l’occhio
non voglio, padre, non voglio
che l’avaro non mi prende l’occhio
non voglio, padre, non voglio

figlia mia cara, voglio darti un bello
non voglio, padre, non voglio
che il bello non mi diverte
non voglio, padre, non voglio
che il bello non mi diverte
non voglio, padre, non voglio

figlia mia cara, voglio darti un ubriaco
voglio, padre, voglio
con l’ubriaco “ciucciami il cazzo”(1)
voglio, padre, voglio
con l’ubriaco “ciucciami il cazzo”
voglio, padre, voglio

(trascrizione e traduzione italiana a cura di Flavio Poltronieri)
(1) il testo originale recita: Kon el borracho, yo me abrasso
[Con l’ubriaco mi abbraccio]

Il cd Cantos Para Una Diaspora è un omaggio in trio a tutte le diaspore, legato alla ricerca delle proprie radici familiari ebraiche, attraverso musica e testi tratti dall’archivio del New York Hebrew Center. Dora mi ha riferito di non essere una purista, né rigorosa (effettivamente, ad esempio, la sua versione de La Serena* sconfina nel mantra) ma interessata unicamente a “essenza e sensazione”. Per quanto è creativo, a dispetto della giovane età della sua autrice, questo è uno di quei dischi che meglio di altri testimonia del viaggio delle cantigas. Raramente un disco di materiale tradizionale sefardita ha raggiunto tali livelli innovativi di trattamento.

Durme, durme

Nel cd Dora Juarez Kiczkovsky pone in conclusione l’ipnotica ninnananna ebraica Durme

“Durme, durme hermosa hijica
Durme sin ansia y dolor
Cierra tus lucios ojicos
Durme con sabor…”

https://soundcloud.com/dorajuarezkiczkovsky/11-durme?si=b084b7443d8b4625bf8bc68dfa47a12e&utm_source=clipboard&utm_medium=text&utm_campaign=social_sharing

Dormi, dormi graziosa figliola,
dormi senz’ansia e dolore,
chiudi i tuoi occhi di luccio,
dormi con gusto…”

la sua è una lunga versione minimale che finisce nel contenuto originale di un messaggio augurale lasciatole in segreteria telefonica dall’anziano nonno, alla cornetta dall’altra parte del mondo e comprendente la propria interpretazione di Katiusha (la popolare canzone russa la cui melodia è stata utilizzata per il canto partigiano italiano Fischia il vento), con esortazione a incorporarla nel suo repertorio (“Meli e peri erano in fiore, la nebbia scivolava lungo il fiume, sulla sponda camminava Katjusha, sull’alta, ripida sponda. Camminava e cantava una canzone di un’aquila grigia della steppa, di colui che lei amava, di colui le cui lettere conservava con cura. Oh, canzone, canzone di una ragazza, vola seguendo il sole luminoso e al soldato sulla frontiera lontana, porta i saluti di Katjusha”)

Flory Jagoda nella versione tradizionale
Joaquín Díaz
Musica Ficta – Ensemble Fontegara

La Sposa Esigente: ulteriori versioni dall’est

Com’è noto le trasformazioni/variazioni dello stupefacente canzoniere giudaico-spagnolo sono infinite e disseminate lungo tutto il corso del suo peregrinare fin dall’infame cacciata dalla Spagna del 1492. Di quest’Hija Mía in una variante bulgara tornano la figura della madre al posto del padre e cambiano i nomi dei vari pretendenti (Yosef, Parsi, Abramo) e al posto delle caratteristiche fisiche compaiono le occupazioni o altre particolarità (il primo è un sadico, il secondo non possiede nemmeno un taxi, il terzo è il solito ubriacone che però le fa ballare il charleston).

Varianti turche

In un’altra versione turca compaiono invece Alì, Yasar, Ahmet, Sarhos (il primo la farà impazzire, il secondo la getterà via, il terzo le darà troppo da fare, infine compare sempre l’ubriacone che sarà il prescelto). Altrove l’incontentabile ragazza dispensa giudizi d’ogni sorta: l’alto “serve una scala per raggiungerlo”, il vecchio “a letto si rimpicciolisce come un gatto”, il grasso “è floscio come una borsa” oppure “profuma di trippa”, il magro “sembra un bastone”. Altri pretendenti vecchi, ricchi o poveri quando aprono la bocca “odorano di scimmia o di rame”, quando la bocca l’apre invece l’uomo nero, lei ci “vede l’inferno”, con un tignoso “non c’è riposo”…e così via. Nulla vieta di pensare che forse anche grazie a questi ibridismi alcune di loro si siano salvate dall’oblìo.

Dal punto di vista letterario è storicamente ragionevole ipotizzare che le seguidillas spagnole siano diventate popolari all’interno delle comunità sefardite orientali intorno al 1600. In Catalogna e nell’est sefardita sia i balli circolari che i canti rimangono più legati a versioni barocche, la Sposa Esigente fa probabilmente parte di quella serie di “seguidillas nuevas” molto popolari nella Spagna del XVII° secolo.

Oggigiorno di provenienti dalla tradizione folklorica castigliana, ne restano soprattutto nell’Estremadura e nell’America Ispanica (tra cui il Messico, da cui proviene Dora).

*La Serena

La Serena è una cantiga basata sulla leggenda della figlia che un re insensibile e crudele, rinchiuse dentro una torre in mezzo alle acque del mare, affinché conservasse la sua verginità, ma alla quale fanno visita i marinai di passaggio per chiederle la mano (…dammi la tua mano colomba, affinché io possa salire al tuo nido…)

Si la mar era de leche,
Yo m’ aría un pishkador.
Peshkaría las mis dolores
Kon palavrikas d’amor…”

Accentus Ensemble in Sephardic Romances: Traditional Jewish Music From Spain 1996

Se il mare fosse di latte,
Diventerei un pescatore.
Pescherei i miei dolori
Con parole d’amore…”

I canti ladini permettono contaminazioni stupefacenti, come lasciava intuire ben prima dell’avvento della world music, Carlos Andreu inserendo variazioni e improvvisazioni testuali contemporanee di stampo femminista e libertario nel suo rivoluzionario Viva La Vida. Viaggiando molto, le duttili e passionali romanze d’amore sefardite si sono prestate volentieri a cambiar pelle, senza nulla perdere della loro intensità evocativa, quelle tragiche divennero spesso canti funebri, quelle d’amore canti nuziali d’augurio, quelle più religiose si trasformarono in ninnenanne[5]

alma vida y corazón”

Cantos Para Una Diaspora in trio acustico, con quattro ospiti in situazioni mirate, è attraente ancor prima dell’ascolto, considerata la scelta delle cantigas sefardite operata da Dora, unita alla produzione dell’etichetta Tzadik di John Zorn, all’interno del filone “Radical Jewish Culture” (una garanzia!). Non c’è un momento debole nel disco, nonostante la grande quantità di interpretazioni proposta nei decenni di queste canzoni e di conseguenza i confronti possibili. Ma quella della giovane messicana è una geografia musicale imprevedibile che mescola i testi delle canzoni e non ha nemmeno bisogno degli strumenti tipici per questo tipo di musica. E’ una “fuoriclasse” assoluta e lo si capisce fin dall’inizio del disco, le prime note di A La Una Yo Naci sono di vocalizzi indiani.

Quest’antica romanza dopo l’intervento criminale dell’Inquisizione doveva obbligatoriamente venire cantata in maniera diversa: il secondo verso non era più l’originale “a las dos m’engrandeci” (alle due divenni grande) bensì “a las dos me baptisaron” (alle due mi battezzarono) ma oggi fortunatamente non si ascolta nessuno cantarla censurata.

Il vertice viene raggiunto dalla seguente Una Tarde De Verano tutta costruita sulle multi-vocalità sovrapposte della cantante, che pare contenere diverse età anagrafiche e che perfettamente si amalgama con la storia raccontata di Alesandro, che ritrova per caso la sorella morenita perduta molti anni prima (…avrish puertas i ventanas, balcones i galerias…). La voce si dimena in questa lingua immemorabile, sperando come una giovincella e languendo come un’odalisca. Por Qué Yorash? suona come una struggente ballata, quale in effetti è, lamentazione della giovane blacha nina abbandonata dal cavaliere con i suoi bambini a chiederle pane, in lacrime, incorporando, a rafforzarla, un inquietante canto di gola ad opera del percussionista Francisco Bringas.

Si tratta di un disco luminoso dal principio alla fine, come il sole del “Culto Ungherese”, qua e là evocato: “morettina mi chiamano ma sono nata bianca, è il sole dell’estate che mi ha resa così” (Morenica), “se mi innamorerò un’altra volta, sarà del sole” (Yo M’Enamori D’Un Aire). L’ipnotico canto natalizio Las Tres Morillas descrive perfettamente la lunga convivenza tra ebrei, mori e cristiani nell’incanto che coglie il protagonista Jaén davanti alla bellezza di Axa, Fátima e Marién, che lo faranno irrimediabilmente innamorare. Impossibile resistere. Gli incontri erotici tra persone delle tre religioni erano all’ordine del giorno, dal punto di vista cristiano la donna semita rappresentava un’irresistibile attrazione, seppur condita di preoccupazioni morali. La libertà e la leggerezza con cui la poesia tradizionale affronta queste spinose questioni è sempre davvero imbarazzante: le basta citare nel testo olive e mele (entrambi simboli erotici) oppure affermare che dopo l’incontro “tornarono svenuti e persero i colori” per chiarire, attraverso pallore e perdita dei sensi, che in quel frattempo i protagonisti ebbero a consumare un’avventura sessuale.

https://soundcloud.com/dorajuarezkiczkovsky?utm_source=clipboard&utm_medium=text&utm_campaign=social_sharing

Spirito Mediterraneo

Ai tempi dello splendore andaluso musica e teoria musicale erano materia per filosofi. Genti ebree, cristiane, musulmane vivevano tra loro in completa armonia, facendosi beffe di appartenenze etniche o religiose. Lo spirito era veramente “mediterraneo” prima che il magico equilibrio fosse infranto nel marzo del 1492 dai Re cattolici Isabella I di Castiglia e Ferdinando II di Aragona, col loro infame decreto di espulsione degli ebrei dai propri territori. Secoli di storia spazzati via miserabilmente in un sol colpo.

I Giudei di Eretz Israel, “Terra Promessa”, quando si erano spostati a Sefarad (la Penisola Iberica in lingua ebraica medievale) avevano preso il loro nome, dal termine, pre-esistente già dal dominio musulmano di al-Andalus, che stava ad indicare una sconosciuta città del cosiddetto “Vicino Oriente”. Si potrebbe dedurre che mistero e vastità del viaggio fossero elementi già contenuti nel nome che scelsero per identificarsi. La sensazione di non appartenenza al luogo in cui si vive, che lascia posto a quella di dover attecchire giorno dopo giorno come una pianta al suolo che si abita, non è certo loro prerogativa. Altri purtroppo l’hanno duramente sperimentata, dai neri africani a popoli latino-americani.

In questo senso Dora utilizza la parola “diaspora” intendendola al plurale. La lingua giudeo-spagnola (“djudyo” a levante e “haketiya” nel Maghreb) si è differenziata da quella originale per una serie di interventi di quelle dei paesi d’accoglienza (turchi, greci, francesi…) pur conservando gli aspetti fonetici arcaici dello spagnolo peninsulare. E così ha fatto la strategia musicale che si è ingegnata ad adottare e prendere a prestito modelli, influenze e sistemi di tutte le varie culture incontrate. E’ stato in questo modo che, per fortuna, si è venuta ad aumentare a dismisura la creatività artistica del repertorio sefardita: traendo e offrendo nuova linfa perfino da una tragedia, perchè è così si manifesta l’onnipotenza e la genialità dell’arte!

[email protected]

NOTE

[1] in particolare le Cantigas de Santa Maria sono inni dedicati alla vergine o raccontano dei miracoli operati dalla Madonna in terra di Spagna, secondo la narrazione popolare del tempo. Il periodo storico è grossomodo tra il 1250 e il 1280, anche se molte composizioni possono essere di stesure precedenti.
https://terreceltiche.altervista.org/non-e-gran-cousa/

[2] si veda ad esempio Emilio Villalba & Sephardica https://www.youtube.com/watch?v=O6mTquPcCnQ

[3] già nota in A mi ‘m pias cul Giuanin

[4] https://cvc.cervantes.es/literatura/criticon/PDF/056/056_041.pdf

[5] Ode a kantigas, ninnenanne e filastrocche ebraiche [Flavio Poltronieri]

Approfondimento
https://www.storicang.it/a/sefarditi-lesodo-degli-ebrei-spagnoli_14870
https://www.iemj.org/it/le-chant-des-juifs-sefarades/
https://www.iemj.org/it/musiques-des-juifs-de-turquie/

/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.