Glenmor: tutti i testi di “La coupe et la mémoire – Grall: in mémoriam”), 1983

“Lo stesso vento ci spinge verso lo stesso porto” (Xavier Grall su Glenmor)

a cura di Flavio Poltronieri

In “La coupe et la mémoire” (1983) Glenmor celebra il ricordo del poeta e amico fraterno, Xavier Grall.
In antichità i bardi tradizionali avevano potenza quasi sacra di elogio, satira e biasimo. C’è stato un tempo nella storia recente di Bretagna in cui si ascoltava Glenmor come si può consultare un barometro o una bava di vento al fine di scegliere direzione e cambiare il corso degli eventi. Come quei predicatori antichi che non esitarono a scrivere parole religiose su arie musicali profane, anche Glenmor ha esorcizzato le parole empie dei suoi salmi e sermoni poetici in totale libertà, pur di servire la causa della sua amata Terra. Cantore figlio della notte dei tempi ha inventato una nuova liturgia armoricana, poetica e viva, assolutamente impossibile da ignorare per chi ama la storia e l’arte di Bretagna.

A1 La Coupe Et La Mémoire
A2 L’Embellie
A3 An Tousegi
A4 Grall : In Memoriam
B1 Les Lamentations
B2 Serr-Noz
B3 Pa Vin Maro
B4 Apocalypse

Le traduzioni in italiano di Flavio Poltronieri sono tratte dal volume “Koroll Ar C’hleze” – Danza della Spada – Raccolta di testi bretoni contemporanei – Flavio Poltronieri, 1985.

NOTA DEL TRADUTTORE

Si tratta di testi complessi e dalla poetica contorta, avvolti dalla storia bretone antica e dal mistero. Ma nessuno si spaventi: prima di scrivere canzoni Glenmor, bardo di Piccola Bretagna, è stato anche venditore di aspirapolveri, di scatolette di conserva e insegnante di filosofia. Ha sofferto di tubercolosi (la sua Viviana gli è morta fra le braccia d’identico male), finché ad un certo punto ha capito che l’unica cosa che valesse la pena era mettersi al servizio della propria Terra. Iniziò ad esibirsi a Parigi nell’ottobre del 1959, a 28 anni, accompagnato dalla celebre arpista Denise Mégevand, l’insegnante di Alan Stivell. I testi in bretone “An Tousegi” (di Jakez Riou), “Serr-noz” (di Glenmor) e “Pa vin maro” (di Ronan Ar Guermené) non sono presenti nella busta interna dell’LP e sono stati trascritti direttamente all’ascolto.

La coupe et la mémoire – Grall: in mémoriam

“La coupe et la mémoire” (“Grall: in mémoriam”) (1983) è un disco “contadino”, quello con cui Glenmor celebra il ricordo del poeta e amico fraterno, Xavier Grall da poco deceduto a 51 anni. Entrambi appartenevano ai novelli bardi e quindi essenzialmente duplici, vivevano intensamente una doppia dimensione, atemporale e parallelamente contemporanea. “Ogni canto è la radice di un altro” sentenziava Gilles Servat. Glenmor (Milig Ar Skanv – Emile le Scan allo stato civile) (1931-1996) anche filosofo, mistico, umanista, libertario, nazionalista e uomo di forte spiritualismo poetico era tanto anticlericale quanto profondamente religioso. La sua spiritualità, non estranea al Druidismo, associava completa libertà al godimento limitato solamente dalla morale, passerà alla storia come colui che più di altri ha saputo restituire ai bretoni dignità nell’era moderna, aprendo un solco diuturno.

Come tutti i bardi antichi anche Glenmor in Bretagna rimane nella nudità di terra (glen) e mare (mor). La sua poesia è spoglia tra le nuvole, in una coltre di schiuma e stelle, la sua canzone vuol essere faro di sicurezza, nell’amaro che coglie ogni volta che paura e ignoranza colpiscono ai fianchi le speranze del popolo. La voce tonante e le parole infuocate rimbalzano di decennio in decennio come risuonassero gli accordi fondamentali di un’arpa esistenziale, in una regione che è musicale fin nei propri sassi. Glenmor, polena di una Bretagna che fende le onde del divenire, ha risvegliato braci armoricane celate sotto le ceneri di una storia molto giacobina, una storia di violenza che ha operato nei confronti della regione, un lunghissimo svilimento, maltrattando, ghettizzando e sfruttando contadini spesso analfabeti. I bretoni, carne da cannone, alla fine hanno versato per la nazione francese, il sangue di più di trecentomila uomini.

Per Glenmor un sogno senza ricerca, lotta o rifiuto non ha alcun senso, lui era fedele alla metempsicosi e nonostante le amicizie rifiutava a priori l’imposizione delle convinzioni personali. Come tribuno, offriva una propria religione personale ben lontana dall’ambito cristiano istituzionale “la Chiesa è un potere temporale, il potere spirituale è nel fondo di ciascuno di noi, sono pronto a scommettere la mia vita sulla semplice speranza dell’esistenza di Dio”. Innumerevoli sono state le sue celebri e visionarie citazioni: “La Bretagna esiste solo grazie all’idea che ne hanno i bretoni”, “Siamo di razza plurale e abbiamo sangue nomade”, “Rivendico la mia appartenenza alla terra degli antenati”, “Non voglio una Bretagna igienizzata e standardizzata”, “Credo nell’umanesimo libertario, è l’uomo lo scopo della società”, “Credo nella gioia che viene dalla terra, nella risata che nasce da un buon raccolto”, “Amare abbastanza la vita da non aver paura di perderla”, “Ho la notte del tempo per seminare e le notti del domani per divenire”, “Ho sempre parlato in nome di un popolo perché ero solo”, “Ho restituito alla terra ciò che in me appartiene alla terra”, “Non moriamo mai di vecchiaia, ma della malinconia che ci viene dall’irresistibile straniamento dall’infanzia”. In antichità i bardi tradizionali avevano potenza quasi sacra di elogio, satira e biasimo.

C’è stato un tempo nella storia recente di Bretagna in cui si ascoltava Glenmor come si può consultare un barometro o una bava di vento al fine di scegliere direzione e cambiare il corso degli eventi. Come quei predicatori antichi che non esitarono a scrivere parole religiose su arie musicali profane, anche Glenmor ha esorcizzato le parole empie dei suoi salmi e sermoni poetici in totale libertà, pur di servire la causa della sua amata Terra. Cantore figlio della notte dei tempi ha inventato una nuova liturgia armoricana, poetica e viva, assolutamente impossibile da ignorare per chi ama la storia e l’arte di Bretagna.

A1) La coupe et la mémoire

(Testo e musica: Glenmor)
Ami, ce soir ne brise pas la coupe
j’ai tant voulu la bien servir.
Tu me dis: “Le vin est tiède
et n’aime pas le verjus”.
Ce soir ami ne brise pas la coupe
la bien remplir ai tant voulu.

Tu me laisses captif
aux mains d’une déesse un peu morte
qui nomme ses amants au soir de banquet.
Le triste a parfois
ses longues escortes
tout comme la veuve un chapelet.
Ce soir ami ne brise pas la coupe
demain semé de quoi sera-t-il fait?

Mes enfances hélas remontent à la brume
c’est en vain que je cherche dans ce passé de lait
les deux ou trois enclos
où la mémoire jouerait la verte écume.
Nul ne passera où je roulais mes galops
j’ai trop laissé l’opaque se diluer
dans les eaux de toutes les fontaines.
Ce soir ami ne brise pas la coupe
elle est bonne et belle au vin nouveau.

La coppa e la memoria
Amico, questa sera non rompere la coppa
ho tanto voluto servirla bene.
Tu mi dici “Il vino è tiepido
e non mi piace l’agresto”.
Questa sera amico non rompere la coppa
a riempirla bene ce n’è voluto.

Mi lasci schiavo
nelle mani di una dea un po’ morta
che nomina i suoi amanti la sera del banchetto.
Il triste ha talvolta
le sue lunghe scorte
come ha la vedova un rosario.
Questa sera amico non rompere la coppa
domani il seminato di cosa sarà fatto?

Le mie infanzie, ahimè, risalgono alla foschia
è invano che cerco in questo passato di latte
i due o tre recinti
dove la memoria giocherebbe la verde schiuma.
Nulla passerà dove galoppavo
Ho lasciato troppo l’opaco diluirsi
nelle acque di tutte le fontane.
Questa sera amico non rompere la coppa
è buona e bella di vino nuovo.

A2) L’embellie

Testo e musica: Glenmor
Et pourtant tout allait la rivière
l’échanson du vent pleurait sur le toit
l’octobre dorant jouait ses premières
l’homme et le loup chassaient dans le bois

Et pourtant tout allait la godille
la mer frisait sous le chant du nordet
j’avais le cœur à nu, le nu l’habille
quand ma folle chanson mit les dieux aux arrêts

Je cueillis cent gerbes de lumière
qui faisaient matin plus ombre d’autant
et puis la morte-eau ramena la galère
à l’île minuit où nul ne l’attend

Je volais la grappe et la cytise
en ce jardin qu’ils disaient paradis
l’Eden avait ses fruits, sa belle mise
quand ma triste chanson mit les dieux aux ennuis

C’est ainsi tout ira la tempête
les joutes d’amour sont de guerre larvée
la rose fanée tient l’épine en fête
malheur à qui étreint le rosier

C’est ainsi tout ira la guenille
l’âge et l’amour sont mets refroidis
une seule braise sous une seule brindille
mènerait ma chanson à nouvelle embellie

La schiarita
Eppure andava il fiume
il coppiere del vento piangeva sul tetto
l’ottobre dorato suonava le sue prime
l’uomo e il lupo cacciavano nel bosco

Eppure andava il remo
il mare si increspava sotto il canto del vento del nord
Avevo il cuore a nudo, il nudo lo veste
quando la mia folle canzone mise gli dei agli arresti

Ho raccolto cento fasci di luce
il che rendeva più ombrosa la mattina
e poi l’acqua stagnante riportò indietro la galea
a mezzanotte sull’isola dove nessuno l’aspetta

Ho rubato il grappolo e il citiso
in questo giardino che chiamavano paradiso
l’Eden aveva i suoi frutti, la sua bella messa
quando la mia triste canzone annoiò gli dei

È così ci sarà tempesta
le giostre dell’amore sono larvate di guerra
la rosa appassita tiene la spina in festa
guai a chi abbraccia il roseto

È così che tutto si straccerà
l’età e l’amore sono raffreddati
una sola brace sotto un solo ramoscello
porterebbe la mia canzone a nuove schiarite

A3) An Tousegi

Jackez Riou fu giornalista del Courrier du Finistère, autore di novelle, pièces teatrali e occasionalmente poeta. Una precedente registrazione di questo brano era stata inserita da Glenmor in un singolo Barclay di cinque canzoni risalente all’autunno 1969.

Testo: Jackez Riou, 1/5/1899 – 14/1/1937, Musica: Glenmor
Goude an arneñv, an tousegi
a gan en arselin,
a gan, pa vez o noziñ,
ar c’han a blij din.
E glebor ar geotoù,
o c’han zo hiraezhus,
e sioulded an nozioù,
an nozioù kenedus.
An tousegi, war lez an hent,
a gan o hiraezh,
hag huñvreoù dianavez,
en noz, en nozioù sklent.
E deltoni al leton,
e kan an tousegi;
e kanont, pa vez o noziñ,
’vel ma kan va c’halon.

I rospi
Dopo il temporale, i rospi
cantano nel sereno,
cantano all’inizio dell’imbrunire,
il canto mi piace.
Nell’erba umida,
il loro canto è impaziente,
nelle notti tranquille,
nelle notti d’estasi.
I rospi sul ciglio della strada,
cantano della loro nostalgia,
e di sogni sconosciuti,
nella notte, nelle notti d’ardesia.
Nell’umidità dei prati,
il canto dei rospi;
cantano all’inizio dell’imbrunire,
come il mio canto mi ama.

A4) Grall: In Memoriam

Testo e musica: Glenmor
La cause de nous par quoi tout se délivre
Sur le pas d’un hiver qui n’en finira plus
A l’aube s’est fanée sous l’étalement du givre
Les temps nous ont mandés aux mortelles tenues
Le drame du jour par quoi tout se déchire
Et qui mène à l’aboi l’âme torse toute nue
A l’aube s’est joué sur le tréteau grelé du pire
Clos de rideau par l’endeuil au dieu cornu
La cause de nous par quoi tout s’enracine
De graine en moisson de glèbe en maison
A l’aube s’est ridée courbe et voute l’échine
Les temps nous ont menés aux stériles saisons
Le drame du jour par quoi tout s’exaspère
Et qui donne au matin tout le bleu du diamant
Sous le dôme a glissé la plus froide lumière
En épure de gris s’y profile un gisant
La cause de nous par quoi tout se déchaine
Sur le royaume tonant de tout ancien jour
A l’aube s’est coulée et le temps ne ramène
Que les cris et les pleurs sous le vol du vautour
Le drame du jour par quoi tout se dépose
Quand la voile bombée ne mène à nul port
De deuil a drapé l’envers et l’endroit des choses
Et ce maigre gisant n’est que barde qui dort

Grall: in memoria
La nostra causa per la quale tutto si libera
sulla scia di un inverno che non finirà più
all’alba si è sbiadita sotto lo sfaldamento del gelo
i tempi ci hanno riportati agli abiti mortali.
Il dramma del giorno per il quale tutto viene straziato
e che porta alla disperazione l’anima a torso nudo
all’alba si è giocata sul cavalletto rotto della peggiore
tenda chiusa a piangere il dio cornuto.
La nostra causa per la quale tutto affonda le sue radici
dal seme al raccolto, dalla terra alla casa
all’alba ha pieghe rugose e inarca la colonna vertebrale
i tempi ci hanno portato a stagioni sterili.
Il dramma del giorno per il quale tutto si esaspera
e che regala al mattino tutto l’azzurro del diamante.
Sotto la cupola è scivolata la luce più fredda
in assonometria di grigio si delinea una figura distesa.
La nostra causa per la quale tutto si scatena
sul regno tonante di un antico giorno
all’alba è passata e il tempo non riporta indietro
che grida e grida sotto il volo dell’avvoltoio.
Il dramma del giorno per il quale cui tutto si deposita
quando la vela gonfia non porta da nessuna parte
di lutto è drappeggiato il davanti e il dietro delle cose
e questo magro giacente non è che bardo addormentato.

B1) Les lamentations

Testo e musica: Glenmor
Qui marche en secret
qui croit pélerine
le chemin est au sable
et l’espoir tout ailleurs
la nuit n’est que sang
quand l’étoile est divine
et les chants du labour
ont l’avril tout en pleurs

Hirvoud
Sur les sombres semées
où ruait la cavale
j’ai vu planer l’oiseau
qui nous parlait de mort
c’est le glas des enfants
pour qui la dernière escale
fut de peur et de faim
et ne virent jamais le port

Qui marche au flambeau
verra pluie de pierres
les diamants feux de la nuit
et la peur du dedans
des montagnes aux beffrois
entendra le glas des lumières
et le souffle de qui meurt
tout en naissant

Kounnar
Ils attendent l’aurore
et le gel d’un soleil humide
tout une armée d’ombre
et la marche au tambour
les nouvelles cités sont encloses
et les rues vides
dans l’enclos de toute mort
la haine attend le jour

Ils dressaient dans le bleu
mâts et vergues d’opale
misaine artimon
sans voilure et sans vent
immobiles et froids
en dormants de cathédrale
où les maîtres du jeu
se pardonnent en priant

Droug-Kuz
Et les terres éclatées
sous le poids du silence
ne diront jamais
quand nous reviennent les blés
que l’ouragan est toujours
colère d’innocence
et les chants du ruisseau
sont de beau sang coulé

Tout le rire des grands
n’est que sang populaire
les pleurs de nos enfants
brodent la joie des leurs
la terre est un champ clos
où la chiourme prolifère
et beaucoup n’y cueilleront
jamais la moindre fleur

Argad
Les bateliers jetteront l’étrave
sur la roche palière
ils seront jugés
qui ne tremblent pas encore
ils ont trop joué
les pousse-vertu les brûle-sorcières
et l’histoire émondée
egayera nos morts

Le lamentazioni
Chi cammina in segreto
chi crede, pellegrino
il sentiero è di sabbia
e la speranza è altrove
la notte non è che sangue
quando la stella è divina
e i canti dell’aratura
hanno l’aprile tutto in lacrime

Gemiti
Sul seminato oscuro
dove correva la giumenta
ho visto planare l’uccello
che ci parlava di morte
è il rintocco per i bambini
per quelli il cui ultimo scalo
fu di paura e di fame
e non virarono mai verso il porto

Chi cammina con la fiaccola
vedrà pioggia di pietre
i diamanti fuochi di notte
e la paura dall’interno
dalle montagne alle torri campanarie
sentirà il rintocco delle luci
e il respiro di chi muore
mentre sta nascendo

Rabbia
Aspettano l’aurora
e il gelo di un sole umido
tutto un esercito di ombre
e la marcia al tamburo
le nuove città sono chiuse
e le strade vuote
nel recinto della morte
l’odio attende i giorno.

Innalzano nel blu
alberi e pennoni opalini
trinchetto di mezzana
senza vela e senza vento
immobili e freddi
nelle cornici di cattedrali
dove i padroni del gioco
si perdonano pregando.

Collera Segreta
E le terre scoppiate
sotto il peso del silenzio
non diranno mai
quando da noi tornerà il grano
che l’uragano è sempre
collera dell’innocenza
e canti del ruscello
sono di bel sangue colato

Tutte le risa dei grandi
non sono che sangue popolare
i pianti dei nostri bambini
ricamano la gioia dei loro
la terra è un campo chiuso
dove proliferano gli aguzzini
e molti non ci coglieranno
mai il minimo fiore

All’attacco
I barcaioli getteranno prua
sulla roccia piana
saranno giudicati
non ancora tremanti
hanno troppo giocato
gli spingi-virtù, i brucia-streghe
e la storia mondata
rallegrerà i nostri morti

B2) Serr-noz

Testo e musica: Glenmor
Ur vorenn vor a blak ar roz
war ‘l leton e tispak an noz,
ar glizh a c’hleb ar prad,
ar menez zo ruz-gwad.

Er saonenn don a-hed ar wazh
ar fleurenn dour a bleg he fenn
‘vit he diskuizh betek warc’hoazh,
war ar geot gleb ‘kousk ar melc’hwed.

Ha tec’het eo trubuilh an deiz,
d’an distro ‘ranno mik d’hennezh
da yud ar menez kozh
nemet ur gaouenn noz.

Pep tra war-dro ‘vit an dihan,
zo tavet dindan bolz an oabl,
zoken ar mor, an dour donan
zo sioul fenoz, sioul ha plaen.

Dirak e di al laboure,
a vutun c’hoazh ‘tal e gomper,
kousket eo ar bugel,
dorn serret er c’havell,

‘vit e virout betek warc’hoazh,
pep hini ‘raio ur bedenn.
Diaouled an noz, pe ruz pe c’hlas,
‘chomo sanket en o gwagenn.

Sera
Una foschia marina ha appiattito la rosa
sul tappeto erboso che dispiega la notte,
la rugiada bagna il prato,
la montagna è rosso sangue.

Nel vallone profondo lungo il torrente
il fiore d’acqua china la testa
per riposare fino a domani,
sull’erba umida dormono le lumache.

E la confusione del giorno è fuggita,
al ritorno non ci sarà
degli ululati della vecchia montagna
che una civetta notturna.

Tutto intorno si arresta,
cade sotto la volta celeste,
perfino il mare, l’acqua profonda
è calma stasera, calma e naturale.

Davanti alla baracca degli aratri
fuma ancora di fronte al suo compare,
il bambino si è addormentato,
la mano serrata nella culla,

per serbarlo fino a domani,
ciascuno dirà una preghiera.
I diavoli della notte, rossi o blu,
resteranno circondati nella loro onda.

B3) Pa Vin Maro

Una precedente registrazione di questo brano era stata inserita da Glenmor in un singolo Sked di quattro canzoni risalente al 1967. Un testo recante il medesimo titolo fu composto anche da Anjela Duval, la poetessa-contadina bretone e musicato da Les Tregeriz.

testo: Ronan Ar Guermené – Musica: Glenmor
Pa vin maro, c’hwi a
deuio, ma mignoned
d’ar sul, d’an abardaez,
goude ar gousperoù
tost d’an iliz, vihan,
e kornig ar vered,
war ma bez ken dister
e-touez an holl vezioù.

C’hwi a zigaso din
bleunioù koant ar menez
lann melen, brugoù glas,
hag ar balan dispar,
ha da skeudenn buhez
peurbadus ma ene,
e lakfet en o zouez
ur bodig uhel-var.

C’hwi a lavaro din
ha barzed ‘zo dalc’h-mat
o kanañ ar Frankiz,
an tan sakr en o c’hreiz,
c’hwi a lavaro din
(o pebez keloù mat!)
ha trec’het eo d’ar fin
ar Gall, enebour Breizh.

Neuze, mignoned ker,
e trido ma c’halon
e goueled ar bez du,
dreist plankenn an arched,
ha, keit ma vo douget
a-dreus d’an nenvoù don,
gant eur barr-levenez
e trido ma spered.

Quando sarò morto
E quando sarò morto
verrete, amici miei
ogni domenica verso sera,
subito dopo il vespro
vicino a una chiesetta,
all’angolo del cimitero,
sulla mia tomba così simile
a tutte le altre.

E mi porterete
graziosi fiori di montagna
ginestrone giallo, erica verde,
e ginestra senza eguali,
e all’immagine della vita
eterna della mia anima,
metterete in mezzo
un mazzetto di vischio.

E mi direte
che i bardi custodiscono in sé
cantando la libertà,
il fuoco sacro,
mi direte
(oh, che bella notizia!)
che è infine vinto il franco
nemico della Bretagna.

Allora, cari amici,
il mio cuore trasalirà
dal fondo della nera tomba,
attraverso l’asse della bara,
da tanto che sarà portato
verso i cieli profondità,
il mio spirito si illuminerà
di un raggio di felicità.

B4) Apocalypse

(Testo e musica: Glenmor)
Nous vivions pourtant si loin des fureurs de la ville
quand le ciel d’un midi s’est éteint chez nous
le ruisseau courait entre prés et prairies tranquilles
quand les chevaux qui s’y roulaient devinrent fous
bien sûr nous sommes d’ouest et savons l’orage
mais les pluies nous désertaient sans raison
ce fut l’aride creusé, la brûlure en bocage
puis la chienne dégueulée noire au seuil de la maison

Que reviennent les vents de toute miséricorde
et dans leurs plis l’étoile du pardon
ils nous ont dit que le cap sera pointe morte
que les hommes d’ici un jour s’en iront
que reviennent les vents de toute miséricorde
et dans leurs plis l’étoile du pardon

Nous vivions pourtant si loin de l’horreur militaire
quand le chant du grillon chez nous s’est éteint
la vague poussait l’algue sous la verte lumière
quand les chaluts du matelot coiffèrent le sous-marin
bien sûr nous sommes de cœur, de paix, de tendresse
mais la colombe nous désertait sans raison
ce fut la peur panique, les pas ferrés de la détresse
puis l’ombre des barbelés de Dinheol à Crozon

Nous vivions pourtant si loin des terres désertes
quand l’humide octobre ici noyait le tison
le dernier vieillard a laissé porte ouverte
quand l’enfant désertant le menait en prison
bien sûr nous sommes du temps et savons le voyage
mais l’âtre et le feu n’éclairent plus le vagabond
ce fut la mort tonnante et la ronce au village
puis l’ortie brûlante au seuil de la maison

Apocalisse
Eppure vivevamo così lontano dai furori della città
quando il cielo di un mezzogiorno da noi si è spento
il ruscello correva tra pascoli e prati tranquillo
quando i cavalli che vi si rotolavano divennero folli.
Certamente siamo dell’ovest e conosciamo il temporale
ma le piogge ci disertavano senza ragione.
Fu l’arido scavato, la bruciatura nel boschetto
poi il muso da cagna nera sulla soglia di casa.

Che ritornino i venti di ogni misericordia
e nelle loro pieghe la stella del perdono
ci hanno detto che il capo sarà punta morta
che gli uomini di qui un giorno se ne andranno
che ritornino i venti di ogni misericordia
e nelle loro pieghe la stella del perdono.

Eppure vivevamo così lontano dall’orrore militare
quando il canto del grillo da noi si è spento
l’onda spingeva l’alga sotto la luce verde
quando la cagnara del marinaio coprì il sottomarino
certamente siamo uomini di pace, di cuore, di tenerezza,
ma la colomba ci disertava senza ragione,
fu la paura panico, i passi ferrati dello sconforto
poi l’ombra dei reticolati da Dinheol a Crozon.

Eppure vivevamo così lontano dalle terre deserte
quando l’umido ottobre qui annegò il tizzone.
L’ultimo vecchio ha lasciato la porta aperta
quando il bambino disertando lo portava in prigione.
Certamente noi siamo dei tempi e conosciamo il viaggio
ma il focolare e il fuoco non illuminano più il vagabondo
fu la morte tormenta e il rovo nel villaggio
poi l’ortica ardente sulla soglia di casa.

/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.