“Non sono andato per un mucchio di oceani come i Signori d’Orléans, Ulissi a vapore…ma fu galleggiante la mia culla, fatta come il nido dell’uccello che cova le sue uova sull’onda…e, fra breve, spero in un sacco zavorrato con una buona pietra che coli a picco…Va, buonuomo di mare, malfatto! Va, Musa dalla voce alcolizzata! Va, capolavoro da taverna!” (Gente di mare)
In Bretagna, terra protetta da tradizioni folk di epica musicale e antica religiosità, si sono confusi facilmente onde oceaniche e misteri, affreschi e paesaggi, qui c’è solo schiuma di mare o schiuma di cielo, due enormi specchi azzurri, uno di fronte all’altro a chiedersi chi riflette chi. In mezzo galleggia la mareggiata umana dove in un angolo suona anche il blues anarco-disincantato di un relitto umano che sprecò la vita aggrappato a un tronco di squallore e deprivazione. E’ la ballata tragica del rospo tormentato da dilemmi esistenziali e devastato da degrado, derisione e difformità fisiche, di nome Tristan Corbière. Ai margini perfino delle onde che aveva tatuate sulla pelle da un destino beffardo, scriveva colloquiali e ondeggianti parole senza armatura che si frantumavano in illusorie poesie, biascicando inutilmente ai marosi. Le loro assonanze ballavano sullo scheletro dell’uomo scordandosi perfino della propria divisione in sillabe. In mezzo a quella bufera di parole che disegnavano una realtà senza forma, anomala, irregolare, trasgressiva, disarmonica, sgradevole Tristan preferiva il riso al pianto perfino di fronte al dolore dei suoi atroci reumatismi articolari. Quelle parole contemplavano accenti popolareschi, attingevano a leggende e arcaismi bretonizzanti, gerghi marinari, la fiamma che gli ardeva in petto gli rendeva intollerabile qualsiasi rigore formale: peggio di uno strangolamento!
Les Amours jaunes
Non visse dei guadagni della sua poesia in quanto il suo unico libro “Les Amours jaunes” (https://fr.wikisource.org/wiki/Les_Amours_jaunes) fu pubblicato in maniera confidenziale e a spese del padre da una casa editrice pornografica parigina, appena due anni prima della morte del poeta. Il volume passò del tutto inosservato per undici anni e lo sarebbe rimasto ancora se non fosse stato per Paul Verlaine che lo volle inserire nei “I poeti maledetti”, intendendo con questo termine selezionarne alcuni “assoluti per immaginazione ed espressione”. Gli Amori Gialli si compone di sette sezioni; sette rappresenta biblicamente il numero del completamento del ciclo elargito da Dio ma in questo caso appaiono piuttosto come le sette tappe che risucchiano l’autore nel proprio inferno. In Bretagna durante la primavera sono innumerevoli i paesaggi interamente coperti da arbusti gialli selvatici profumati ma giallo è anche il colore simbolo del tradimento. Nella lingua francese contiene un sapore di insoddisfazione, di malcontento, per Tristan portatore di una disarmonia interiore, “gli amori ingialliti” non possono che essere quelli traditi, morti o inaciditi. Qualcuno in Francia lo ha relegato ai margini della letteratura celtica, altri in Italia lo hanno definito un po’ indelicatamente “Il Leopardi Nordico” a causa probabilmente dei comuni, gravi guai fisici. Guillaume Apollinaire subì indubbiamente il suo influsso, dal 1915 al 1922 T. S. Eliot ne studiò l’opera, Ezra Pound lo ammirò profondamente, Joyce si ispirò alla sua impietosa poesia “Il gobbo Bitor” per un capitolo del proprio “Ulisse”, nel 1926 uno dei padri della letteratura horror, l’americano H.P. Lovecraft, lo omaggiò nella prefazione del suo The Call of Cthulhu.
A Corbière si deve anche la più lancinante pagina poetica in onore degli abbandonati di guerra bretoni nel campo militare di Conlie (https://terreceltiche.altervista.org/un-episodio-inaudito-i-soldati-di-conlie/).

Il suo vero nome era Edouard esattamente come il suo celebre padre ma lui preferì mutarlo in Tristan che secondo alcune fonti deriva dalla parola celtica “drest” (rivolta, tumulto). Forse però volle immedesimarsi nel figlio di Riwalen, re bretone del Loonois, nato tra sventure e terribili auspici, da una madre che morì mettendolo alla luce e da un padre di lì a poco spodestato e ucciso; nella leggenda Tristano è anche l’amante di Isotta, ovvero della moglie del vecchio Re Marco. Giova ricordare che quando il poeta nacque suo padre era cinquantaduenne anni e sua mamma Angélique Aspasie Puyo, di anni ne aveva appena diciannove. Tristan cattolico devoto al diavolo, esiliato della vita d’azione, alla quale si sentiva al contrario destinato, fu costretto a cercare disperatamente uno spazio anfibio in cui accovacciarsi, “Bastardo di Creola e Bretone” si autodefinì nella poesia “Paris”.
Viaggiò per un po’ col suo cotre “Le Négrier” (dal nome del più famoso romanzo del padre), sognando una linea d’orizzonte dove inabissarsi in tempeste eroiche, grandiose e immateriali ma per lui l’amore prendeva fattezze irregolari, melodie scordate. “Paradosso” era il loro documento di navigazione.

Magrissimo e spettrale dietro a due enormi baffoni, dinoccolato dalla terribile deformazione corporale e con un cappellaccio da giullare in testa, Tristan somigliava sempre all’Ankou, come lo avevano soprannominato i marinai di Roscoff. Era diventato un fantasma su una costa di stracci, si lasciava “sfinire di poesia” frequentando l’ossario in compagnia del cane. Che aveva anch’esso chiamato Tristan, specchio fedele del sé passivo e rassegnato, simbolo amorevole dell’umiltà che si accontenta delle briciole. Si definiva “un difetto perfetto” oppure “un fallito perfettamente riuscito”, indossava una bizzarra “vareuse” bretone larghissima da cui sbucavano appena visibili i pantaloni infilati in altrettanto enormi stivali da moschettiere. La sua sensibilità di prim’ordine lo faceva vivere unicamente di una barocca “poetica di difesa” che si muoveva a scatti come l’onda, tra righe salmastre e grottesche e dove l’indicibile provava a diventare visibile. Anche lui tentò di farsi bagnare dalla vita e dalle cose, immaginando per sé altra vita e altre cose: “rimo dunque vivo”. Ma il suo mare non poteva essere quello sognato, della misteriosa rotta che solcano i temerari, a lui erano riservati gli abissi del ridicolo, dove lasciare da sola la fantasia a sbracciarsi a nuoto tra goffaggine e bruttezza, ad annaspare tra rime.

Perché il cotre non è un veliero oceanico ma solamente uno scafo di piccolo cabotaggio, dall’unico albero; con cui si può scappare appena dietro l’angolo dell’onda. Alla sua fantasia ci “piovve dentro” come scriveva Dante nel Purgatorio, al posto dei feroci coccodrilli lo attendevano innocenti lucertole. Tristan “si arenerà nei golfi che le sue lacrime hanno salato” avrebbe forse recitato una profezia della cieca veggente Kilissa, nutrice e ancella nel mito di Elettra. Allora si vestiva da vescovo o da mendicante, portava a passeggio un maiale al guinzaglio oppure si improvvisava carcerato con giacca a righe da forzato, pantaloni di tela, zoccoli e catena alle caviglie per offrire alle donne di Roscoff improbabili serenate al biniou. Il suo travestimento preferito era quello da marinaio ma di una taglia eccessivamente sproporzionata, con stivaloni enormi fin sopra il ginocchio, di feltro grigio sfilacciato, barba lunga ad accentuare ancor più la lunghezza del naso e a toglierli il già scarsissimo mento. Tristan, grottesco figlio di un ammirato padre che aveva davvero gloriosamente navigato con la Marina Imperiale e uomo di grande cultura volteriana. Tristan, marinaio di parole che non poteva credere nemmeno alla provvisorietà dell’onda, i suoi strazi ardenti finiranno per incenerirgli il cuore in neanche tre decenni “date la parola al dolore, il dolore che non parla, sussurra al cuore oppresso e gli dice di spezzarsi” (William Shakespeare). Corbiére che appare appena un po’ francese, la cui poetica parlava nero, sopprimeva verbi, prevedeva frasi da telegramma, faceva a pezzi battute, contorceva concetti, lanciava urla stridenti come corda di violino spezzata. Nelle sezioni “Gens de mer” e “Armor” (Mare), folklore, neologismi, superstizioni, regionalismi e religiosità bretoni si mescolano in una ronda di danza macabra ad espressioni di gergo marinaresco. Le metafore marittime compiono incursioni sia nelle espressioni dialettali d’Armorica che nell’argot tipico degli equipaggi, i sinistri doppi sensi legati all’annegamento restituiscono tutta l’angoscia di un Tristan, fisicamente fragile e discordante, interiormente disarmonico. Sono poesie che non tacciono della sua mostruosità, dove un vocabolario carico di sale, vento, avventura e dramma evoca immagini pittoriche care al mancato pittore che Tristan ugualmente fu. Poesie testamentarie com’era pratica anticamente ricorrente presso i bardi celtici, ambigue, paradossali, specchi del groviglio oscuro e perverso abitato dai fantasmi interiori di chi fu lacerato tra ambizione e miseria psichica “…troppo se stesso per sopportarsi…egli morì aspettando di vivere e visse aspettando di morire…” (Epitaphe).
L’inesorabile marea bretone equilibra il tempo, cambiando con l’acqua la bellezza del paesaggio, distribuisce allo sfondo, come carte da gioco, possibilità e alternative. Gli esseri viventi vanno e vengono, le maree rimangono e anche quando non le vedi, sai che poi arriveranno inesorabili, con quei lunghi fili invisibili che le legano alla luna, vera regista dei flussi. La marea corteggia, seduce, spaventa, crea spazi naturali fecondi ma di precaria incertezza e di breve durata, la marea è un continuo succedersi di nuovi inizi. Come la pioggia, monumentale regina in Bretagna di folate a intermittenza lungo ciascun giorno dell’anno, che invade gli angoli remoti di pietre e felci. Pioggia quotidiana che sembra toglierti personalità e invece al contrario te la estende all’infinito, offrendo scena nuova ai pensieri. Questo è uno di quei luoghi che non ti protegge a buon mercato e anche se ti trovi dietro a un vetro tatuato di goccioline, sembra fatta apposta per ricordarti quel che ti manca. L’incanto della bufera che conosci qui è capace di aprire squarci di luce nelle pareti di roccia, di mutare la fiamma in onda o almeno questo è quello che appare tra trasparenza e nebulosità. E quelle gocce attraversano i minuti, entrano nelle righe della poesia come nelle parole delle canzoni “sei solo una pozzanghera, ti prosciuga l’uragano…evapori piano, diventerai una nube, vapore acque…ti rovescerai sulla terra come un acquazzone” (Péter Závada, Budapest 1982). “Acqua”, “pioggia”, “marea”, “goccia”, “luna” sono tutte parole femminili, in francese anche “mare” è al femminile. Un enorme utero che Tristan ha corteggiato senza riuscire a sedurre, condannato reiteratamente, dall’ossessione della sua natura, a varcare al contrario la soglia della propria origine, per cercare le sconosciute armonie della sua realtà abrasiva. Sperimenta, osa, scrosta, eccede a causa della sua sensibilità torturata. E come avrebbe potuto lui, osceno rospo deforme, sposare il lirismo rassicurante, lacrimevole, descrittivo, romantico, sentimentale di tanta scrittura imperante all’epoca?! Perduto il mare a Tristan avrebbe potuto forse rimanere il cielo di Bretagna ma si affrettava a specificare: “…Orrore! Tutto è dunque sotto uno spegnitoio…” (Heures).
Al rospo

Quando è finito l’umido letargo invernale e stanno per iniziare le piogge di primavera, come ovunque, anche i rospi bretoni escono dalle tane e iniziano a cantare incessantemente e ad aggrapparsi alle ascelle delle femmine che sono ben più grosse di loro. Il rospo, coi suoi brevi balzi, dev’essere sembrato al bestiario di Tristan, reietto e derelitto, l’autoritratto perfetto, l’animale pària ideale con cui immedesimarsi e sospirare insieme, da bravi gemelli emarginati, in mezzo all’erba bagnata. Altrettanto vicino al suo sentire e coerente alla sua immagine quanto i più ammirevoli albatro o cigno lo potevano essere per Charles Baudelaire. Al rospo, Voltaire nel ‘600 invitava a rivolgersi per chiedere lui in che cosa consistesse la bellezza, Victor Hugo a metà ‘800 dedicò un’omonimo atroce componimento, tradotto in italiano da Giovanni Pascoli e Guillaume Apollinaire gli farà modulare “un tenero grido d’azzurro” (Verso il sud, Calligrammes, 1918).
Le Crapaud (Tristan Corbière, 18/7/1845 – 1/3/1875)
Un chant dans une nuit sans air…
– La lune plaque en métal clair
Les découpures du vert sombre.
… Un chant; comme un écho, tout vif
Enterré, là, sous le massif…
Ça se tait: Viens, c’est là, dans l’ombre…
– Un crapaud! – Pourquoi cette peur,
Près de moi, ton soldat fidèle!
Vois-le, poète tondu, sans aile,
Rossignol de la boue… – Horreur! –
… Il chante. – Horreur!! – Horreur pourquoi?
Vois-tu pas son œil de lumière…
Non: il s’en va, froid, sous sa pierre.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Bonsoir – ce crapaud-là c’est moi.
Ce soir, 20 juillet.
Un canto in una notte senza aria,
la luna placca di metallo chiaro,
i ritagli del verde scuro.
Un canto, come un’eco, vivo,
sepolto, là, sotto il cespuglio
tace, vieni, è là, nell’ombra
Un rospo! Perché questa paura
vicino a me, tuo soldato fedele?
Guardalo, poeta tosato, senz’ala,
usignolo del fango. Orrore!
Lui canta. Orrore!! Perché orrore?
Non vedi il suo occhio di luce?
No! Se ne va, freddo, sotto la sua pietra.
………………………………………………
Buonasera, quel rospo sono io.
Stasera, 20 luglio.
Il rospo (traduzione italiana Flavio Poltronieri (dal volume “Koroll Ar C’hleze” “Danza della Spada” – Raccolta di testi bretoni contemporanei, 1985)
Nota del traduttore: si è optato arbitrariamente per non mantenere nella traduzione italiana l’originale punteggiatura utilizzata da Corbière, sostituendola con una più convenzionale, nonostante si sia consci che potrebbe trattarsi di preziose indicazioni di lettura da parte dell’autore. Tuttavia si è portati a privilegiare che l’abbondante e spesso alterata punteggiatura appartenga piuttosto alla sua personale strategia di scrittura anticonformista e sprezzante delle regole grafiche, metriche e ortografiche dell’epoca. Oltre ad una poetica senza estetica, bizzarramente in svariate pagine vengono abbondantemente utilizzati corsivi, virgolette, maiuscole, trattini di diversa lunghezza; inoltre alcune liriche sono datate in maniera volutamente insufficiente o incompleta. Gli accenti circonflessi sono qua e là errati o mancanti, le doppie sillabe possono trovarsi inserite a sproposito, le parentesi tonde o quadre talvolta non vengono chiuse. La loro stravaganza ha indotto taluni a considerarlo ignorante mentre l’avanguardista forma di scrittura di Corbière contestava norme, vincoli e convenzioni sia accademiche che tipografiche. Le sue poesie sono diventate oggetto di numerosissime e pregevoli messe in musica in differenti stili da parte di svariati interpreti bretoni: Chorale de Landivisiau, Tonnerre de Brest, Kerguiduff, Glenmor, Gérard Ducos, Wig A Wag, francesi: Georges Brassens, Monique Morelli, Claude Antonini, Pascal Héni, Emmanuel Tugny ed esteri: Rudolpf Escher, Bran.
An Tousegi (Jackez Riou, 1/5/1899 – 14/1/1937)
Glenmor ha interpretato la batraciana poesia di Corbière nel suo disco-omaggio “Le Paria” (1984) come nel disco precedente “La Coupe Et La Mémoire” (1983) aveva fatto con una lirica dal medesimo titolo (in bretone) di Jackez Riou, antico giornalista del Courrier du Finistère, autore di novelle, pièces teatrali e, occasionalmente, poeta. Due artisti bretoni prematuramente scomparsi, il primo a ventinove anni, il secondo a trentasette.
Goude an arneñv, an tousegi
a gan en arselin,
a gan, pa vez o noziñ,
ar c’han a blij din.
E glebor ar geotoù,
o c’han zo hiraezhus,
e sioulded an nozioù,
an nozioù kenedus.
An tousegi, war lez an hent,
a gan o hiraezh,
hag huñvreoù dianavez,
en noz, en nozioù sklent.
E deltoni al leton,
e kan an tousegi;
e kanont, pa vez o noziñ,
’vel ma kan va c’halon.
Dopo il temporale, i rospi
cantano nel sereno,
cantano all’inizio dell’imbrunire,
il canto mi piace.
Nell’erba umida,
il loro canto è impaziente,
nelle notti tranquille,
nelle notti d’estasi.
I rospi sul ciglio della strada,
cantano della loro nostalgia,
e di sogni sconosciuti,
nella notte, nelle notti d’ardesia.
Nell’umidità dei prati,
il canto dei rospi;
cantano all’inizio dell’imbrunire,
come il mio canto mi ama.
I Rospi (traduzione italiana Flavio Poltronieri (dal volume “Koroll Ar C’hleze” “Danza della Spada” – Raccolta di testi bretoni contemporanei, 1985)
Link
https://fr.wikisource.org/wiki/Les_Amours_jaunes
Ulteriori approfondimenti dedicati a Tristan Corbière sempre a cura di Flavio Poltronieri in
Il Mare non ha strade
Il Concilio d’Amore e i Santi Inventati
I soldati di Conlie: Un episodio inaudito