Il Concilio d’Amore e i Santi Inventati

In questi tempi di pandemia ho sentito anche dire che “Ce lo meritiamo”, che “Siamo oramai in troppi sulla terra”, che “In tutte le epoche ci sono state calamità di ogni genere” e altre affermazioni di questo tipo. Mi è tornato alla mente questo gwerz bretone dal titolo “Gorsedd a garantez” proposto forse provocatoriamente molti anni fa in una chiesetta campagnola nella Lan-illis, che si trova nel Bro Leon (Terra della Chiesa nel Pays de Léon). Questo luogo è soprannominato la Regione dei Preti e le architetture lo testimoniano ampiamente, ma ci sono anche frutteti ricchissimi di mele da cui un sidro delizioso, fieno, frumento e susini. Fin da tempi molto antichi, quando in bassa Bretagna i miracoli erano più numerosi dei battesimi e dei funerali e si credeva che se due bambini venivano allevati nella stessa culla, un giorno poi sarebbero diventati marito e moglie. Usanza peraltro diffusa in tutta la Cornovaglia.

Il Concilio d’Amore (adattamento bretone di Yann-Fañch Kemener)

Non sarebbe proprio una canzone inerente alla Bretagna perché è tratta da un’opera letteraria dello scrittore tedesco Oskar Panizza, se non fosse che Yann-Fañch Kemener aveva sintetizzato una riduzione del testo “bretonizzandolo” un po’. Nonostante non l’abbia mai interpretata, anche tematicamente si adatta allo stile dei gwerziou in maniera perfetta.

(Adattamento in italiano di Flavio Poltronieri)

Nel paradiso dei cieli, il vecchio Dio decise
di chiamare in suo soccorso Re Satana
la città di Ys, sorellina di Parigi, l’ho già annegata
oggi vi chiedo di darmi consiglio
il mondo rotola, si agita senza vergogna
come il vento pazzo, diavolo mio!

Nessuno mi ascolta,
sto andando di corsa verso la rovina
Maria, mia figlia, madre delle genti,
adesso resta in silenzio
suo figlio, padre dei cristiani, sembra in esilio
Maria nei suoi appartamenti con le sue damigelle,
lo credereste?
Si sta truccando e adornando.
L’universo è abbandonato!
Gesù va in giro per il mondo giorno e notte, mio Dio!
Traendo piacere dalle nuove mode
cosa farò adesso che sono trascurato?!

La visione dopo il sermone
Paul Gauguin
La visione dopo il sermone (Vision après le sermon) 1888

Non vi ricordate, disse il diavolo, del Male del Re
che ho mandato ai marinai di ritorno dall’Iberia?
La nuova malattia sarà peggio che mai
in questo giorno nel cuore dell’estate, il più magnifico giorno
la morte fredda e dura verrà a falciarli
il più bel corpo, il più bel viso che mai sia stato creato sulla terra
nel suo orribile marciume sarà distrutto, credetemi!
E più ancora del corpo soffrirà l’anima
il fuoco crudele e il freddo ghiacciato si legheranno in lui nella morte
l’angoscia e il dolore gli saranno cugini

Il Concilio d’Amore (Das Liebeskonzil)

Leopold Hermann Oskar Panizza, nato a metà dell’800, psichiatra, anarchico, appassionato di musica e di filosofia, passò un bel guaio a causa di quest’opera teatrale che non poté essere rappresenta che nel 1969, ottenendo un trionfo letterario un po’ ovunque in Europa. Anticonformista tra Naturalismo e Espressionismo, Panizza verrà anche riscoperto dal Surrealismo.

Das Liebeskonzil (Il Concilio d’Amore) venne dato alle stampe nel 1894. Il testo dissacratorio, faceva a pezzi l’autoritarismo dell’impero tedesco, della Chiesa cattolica e contemporaneamente i tabù sessuali e i concetti moral-borghesi dell’epoca (dell’epoca?).

La reazione della censura infatti fu esemplare e l’anno dopo, nel 1895, il Tribunale Reale Regionale di Monaco I, lo condannò per oltraggio alla religione a mezzo stampa, alla pena di un anno di detenzione. Disponendo inoltre che venissero distrutti tutti gli esemplari del volume, nonché “le lastre e i piombi utilizzati per la sua produzione”, ovvero le matrici dell’opera. Le motivazioni della sentenza dichiaravano che il contenuto di Das Liebeskonzil era “atto a ferire profondamente i sentimenti religiosi e morali di terzi” e che “della libertà dello scrittore” egli aveva “fatto un uso eccessivo”.

Il Concilio d’Amore
Das Liebeskonzil (Il Concilio d’Amore)

La “tragedia celeste” de Il Concilio d’Amore si apre con la scena della sala del trono nell’immenso cielo dove tre angeli immacolati e incipriati, muniti di alucce simili a quelle degli amorini, tengono in mano dei piumini. I loro pantaloni sono stretti a gambale, le scarpe di seta, i capelli cortissimi. Dio appare anziano e fisicamente piuttosto malmesso, il diavolo al contrario, molto più arguto e vispo. La vicenda oltre che in cielo si svolge anche nella Roma di Alessandro VI. Dio, resosi conto della corruzione dilagante degli italiani e del pontefice, indìce un concilio per trovare un castigo adeguato all’occasione. Purtroppo si accorge ben presto che le figure divine non sono minimamente in grado di arginare la situazione, anche a causa dell’indifferenza umana nei confronti della fede e a questo punto si rivolge al diavolo per cercar di salvare il Cielo dall’altrimenti inevitabile bancarotta. E questi propone un rimedio di sicura efficacia: la sifilide!

E‘ chiaramente l’allegoria dell’idea del peccato, determinante una consequenzialità tra la colpa umana e la collera divina che invia un flagello riparatore sulla terra. La genialità di Panizza sta nell’aver posizionato la vendetta di Dio proprio nel territorio amoroso, essendo l’amore l’unica cosa capace di liberare l’uomo alle miserie della sua condizione. La colpa più grave che venne imputata all’autore e la più imperdonabile per i giudici, fu quella della pietà per i poveri peccatori e le loro umane sventure. Oltre ovviamente l’aver scagionato il simpatico diavolo dalle responsabilità, attribuite tutte alle figure divine, Papa in testa. Il demonio emerge come l’unico a darsi da fare, con intelligenza e astuzia. Perfino Maria, l’elemento femminile, assieme a tutte le altre diverse creature che di volta in volta vengono richiamate sulla scena dal campo dei morti, pare incosciente, intenta solamente a “riempire di fiori le scogliere”.

San Tupetu

C’è stato un poeta derelitto in Bretagna, nato otto anni prima di Panizza e che all’epoca della pubblicazione de Il Concilio d’Amore era già morto, che dal proprio male ha tirato fuori la sua indipendenza, dalla devastazione del suo corpo ha estratto il veleno di cui il suo stile poetico aveva bisogno. Delle tre energie della vita che sono nell’ordine “desiderio”, “conoscenza” e “azione” ne ha formata una sola, donandoci per sempre la sua formidabile poesia. Il suo nome era Tristan Corbière e amava il mare sopra ogni cosa. I canti popolari sono pieni di filosofia sommersa. In Bretagna tutto è mare. Dagli scogli notturni alla luce più remota della campagna. Da sotto le onde si levano i miti per poi piovere sulle piante spinose che appaiono all’orizzonte, come nei sentieri infossati e allagati. Sui greggi e i loro gesti millenari, come sui massi sgrossati che recano vaghe immagini sfuocate di poveri santi immaginari tutti elissi, eppure nei secoli sempre così degni di devozione e fiammeggianti come lampi nel temporale. E’ stato grazie a Tristan che ho imparato che in Bretagna i santi se li inventano:

C’è nella vecchia Armorica
un santo, dei santi il più eccelso
aguzzo come un campanile gotico….
Gli occorre per tenersi su
molta fede, molta edera…
più forte di santa Cunegonda
o Cucugnan da Quilbignon
piccolo profeta per la povera gente
santo della fortuna o della scalogna…
campanello della provvidenza
e pappagallo del destino
carillon falso ma argentino
sonagliera della speranza…

Tupetu, musico stregone
santo giustissimo e onesto
piccolo Giano carne e pesce
santo confessore bifronte
santo confessore a doppio fondo
testa o croce della virtù
ambiguo patrono di pulzelle
che vengono a offrirti candele

(versione italiana Flavio Poltronieri)

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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