Il Mare non ha strade

Ebbene, tutti questi navigatori, marinai, capitani,
nel loro grande Oceano per sempre inghiottiti,
partiti spensierati per le loro corse lontane,
sono esattamente morti, così com’erano partiti…
Annegati? Eh, ma dai, gli annegati sono d’acqua dolce.
Inabissati! Corpo e averi…
Niente fossa di sei piedi, né ratti da cimitero,
loro vanno ai pescecani! L’anima di un marinaio
invece di trasudare tra le vostre patate,
respira onda ad onda.
Vedete all’orizzonte sollevarsi il maroso,
si direbbe il ventre appassionato
di una puttana in fregola, mezzo ubriaca,
loro sono là!…”
– La Fin, Tristan Corbière, Les Amours Jaunes, 1873 [1]

chants de marins
MAURICE DE VLAMINCK (1876-1958) “BAIE DES TREPASSES” 1937

Chants de marins: La vita marittima in Bretagna

chants de marins
Michel Tonnerre

Tutte le canzoni marinare [chants de marins] hanno il gusto di tabacco, alcol, sudore e iodio: anche le ultime di Michel Tonnerre, innamorate delle nostalgie dei cavalloni delle rive bretoni di Douarnenez, di Iroise come di quelle di Vanuatu o Macao.

Michel Tonnerre li guarda ancora, assieme all’Ankou, con quei suoi occhi inquietanti, tanto da assomigliare a un qualche terribile Leviatano tropico-armoricano. Non c’erano solo gli amici Djiboudjep a cantarle, nel 2010 solo in Bretagna ben trecentocinquanta gruppi musicali lo facevano. Eccolo l’ultimo Grande Capitano della Canzone, faccia battuta dagli spruzzi dei sogni, che abborda frasi e rime con un vocabolario dai toni talmente perfetti da sembrare carillon o rintocchi di campana. Eccola la sua voce uguale a quella degli antichi “pelletas” di Bretagna o Normandia, gente di mare formidabile che oramai oggi non esiste più. In Francia, storicamente, due terzi degli iscritti marittimi erano bretoni. La vita marittima in Bretagna è stata varia e sono rimaste molte canzoni a testimonianza: canti di lavoro a lunga percorrenza (La Carméline, Les trois marins de Groix, Le Père Winslow), canti marinai di gente di Vannes imbarcata su La Royale (Prizonerion en Angleter), canti di naufragi spaventosi (Gwerz Penmarc’h)…

Folk Revival dei Chants de marins

Oggi paradossalmente i chants de marins sono diventati canto di divertimento ma originariamente quello marinaro era, al contrario, un canto di lavoro. A bordo dei vascelli non c’era proprio niente di romantico: fatiche terrificanti e sempre uguali giorno dopo giorno, disciplina rigida, promiscuità, ingiustizie e pericoli continui, equipaggi spesso ridotti al minimo da capitani aguzzini e privi di ogni scrupolo, si beveva da schifo e si mangiava ancor peggio[2]. Adesso il repertorio dei chants de marins si è allargato, mescolando a quei canti terrificanti, varie composizioni a tema marino e inglobando anche quelle composte nei bistrots dei porti bretoni a partire dalla vita quotidiana litorale. Si sono aggiunte canzoni di un repertorio tradizionale realista, scritte tra le due guerre mondiali, da chi non era neppure mai salito su una nave. Nei porti bretoni capita ancora di ascoltarle poiché non hanno mai smesso di essere frequentati da bevitori incalliti e dotati di solida e indomita voce, perfino il famoso Festival di Lorient ogni anno dedica lo spazio di una serata alla programmazione dei chants de marins. Senza dimenticare le grandi feste marittime di Pors-Beac’h, Paimpol, Douarnenez, Brest…sorte sull’onda di quelle che già esistevano al di là della Manica fino dagli anni settanta.

In Francia i chants de marins sono talmente entrati nella quotidianità che può capitare talvolta di sentire celebri melodie tradizionali ma con testi differenti, come ad esempio quella di “The water is wide” in una generica “Ballade nord-irlandaise” da parte del gruppo Vent De Noroise o quella interpretata da Christian Kerzhéro di “Le corsaire Le Grand Coureur” su “La régate des cinq mètres au Pellerin”, un testo privo di un’aria propria ma metricamente sovrapponibile.

La navigazione avveniva ovviamente anche sui grandi fiumi francesi, i marinai loriensi e i battellieri alsaziani pur non possedendo la stessa lingua e nemmeno la stessa cultura popolare, avevano in canzone soggetti simili tra loro. I canti tradizionali nel repertorio dei marinai della Senna, della Loira, del Charente o dell’Alta Bretagna oppure quelli in occitano della Garonna, della Dordogna o del Lot o ancora quelli in provenzale del Rodano, hanno tutti assai poco in comune con quelli del mare aperto e delle lunghe percorrenze dei grandi velieri.

chants de marins

La prima raccolta francese di “canzoni di bordo” [Chansons de Bord] è opera del capitano di nave Armand Hayat [3] e risale al 1927, anche se lui sosteneva rigorosamente che i veri chants de marins fossero solamente diciotto e non considerava tali quelli di cabotaggio, di pesca e della Royale. E’ al suo interno che per la prima volta si ritroverà la celebre “Jean-François de Nantes”.

In compenso dagli anni cinquanta del secolo scorso le corali dei chants de marins divennero di moda e sorsero un po’ ovunque. La pesca della balena ha lasciato tracce profonde nella cultura popolare, così come i combattimenti navali o i tragici naufragi, oltre a episodi particolari, anch’essi ritratti nelle canzoni del mare, come quello che narra dell’ultimo viaggio del “Belem” verso la Martinica nel 1913-1914 dove il capitano Chauvelon aveva portato con sé la figlioletta di soli sette anni. Ma anche Nantes, Paimboeuf, Saint-Nazaire e gli altri porti dell’estuario della Loira hanno un loro glorioso passato marittimo dove la tradizione orale mescolava le diverse origini dei marinai e le loro condizioni sociali.

La galleria di brutti ceffi

Un tempo, per un capitano formare l’equipaggio con cui partire non doveva essere tanto difficile con tutti i disperati che bazzicavano quel regno di dannati che erano i malfamati porti delle città[4]: gente miserabile che possedeva meno di niente o fuggitivi che si lasciavano alle spalle crimini di ogni specie. Ma la prospettiva offerta non era comunque allettante, talvolta si arrivava addirittura a rapire i marinai[5] quando erano ubriachi o a promettere improbabili tesori di cui nessuno poi vedeva il bottino di un solo doblone.

La leggenda narra che perfino Cristoforo Colombo nel 1492 per la sua impresa aveva dovuto adottare uno stratagemma, permettendo alla ciurma in questione di scegliere il nome delle tre caravelle. Fu così che all’unanimità i ceffi assegnarono alla prima quello di una puttana da tutti loro frequentata, la “Pinta” che significava “esageratamente dipinta di rossetto”, alla seconda, la “Nina” ovvero la “ragazza di tutti”. Sul nome della terza invece le proposte erano troppe: “ciquita” (piccola), “zorra” (volpe), “busqueada”(ricercata) e altre, inutile specificare di chi si trattasse…il capitano fu costretto ad intervenire: “Avete già due donnacce, la terza sarà la più grande santa!”

Lo shantyman

Il primo pensiero di ogni capitano era quello trovare un marinaio dalla voce intonata e potente, poi avrebbe pensato a formare il resto dell’equipaggio ma era fondamentale assicurarsi che una cadenza di tuono stimolasse a dovere gli uomini a sprigionare il massimo dello sforzo possibile. Ritmare melodicamente la loro fatica di manovratori era il suo unico compito e percepiva per questo una paga perfino superiore a quella dei marinai stessi, pur senza toccare mai un remo o un pennone. Costui aveva facoltà di improvvisare le parole e ciò ha determinato il perché esistano oggi numerose varianti di una stessa canzone, ad esempio un testo che parlava d’amore poteva essere trattato in maniera sconcia e mutare, a seconda delle situazioni, in questo modo il suo impatto all’ascolto.

Una volta ho sentito una canzone dal titolo “Le meunier de Paimpont” [6] nel villaggio dell’Abbazia di Tallouet, attribuita a un fabbro locale, il cui protagonista era il giovane mugnaio Mathurin che accarezzava, con la scusa di infarinarle e sfarinarle, le numerose donne che si recavano al suo mulino. L’ho poi ritrovato, in una tradizionale canzone marinara, interpretata dal compianto amico Serge Kerguiduff, a bordo di una nave di quindici marinai in preda alla burrasca.

La complainte du gars Mathurin

La complainte du gars Mathurin

I marinai disperati tirarono a sorte con “la courte paille”, chi sarebbe sopravvissuto mangiando gli altri, e l’unico a salvarsi fu proprio Mathurin e una volta tornato a terra, si recò dalle quattordici vedove presentandosi come la tomba dei loro mariti, che queste venerarono in ogni modo (…).
Si tratta dello stesso Mathurin? Il non comune nome e la passione per le donne lo farebbero supporre, ma chissà?! Questa comica canzone si può ascoltare anche dalla voce di Christian Desnos (dei Cabestan)

Le disavventure dei marinai nelle taverne portuali: Le crime de la rue Suffren

Foto d’epoca d’inizio secolo ritraggono equipaggi fieramente in posa sul ponte delle loro navi, chants de marins a bordo ce n’erano tanti, i colpi di pagaia sull’onda erano uguali dalla Polinesia all’Africa, poi la domenica, che era il giorno libero, con strumenti poco ingombranti come concertina, violino o biniou i poveracci cantavano e ballavano i loro valzer di innamorate lontane e puttane vicine, senza dimenticare avvenenti ostesse …

Le taverne portuali a poco a poco diventarono i luoghi tipici di accoglienza per chi tornava sfigurato da anni tremendi nei mari del Sud, ma anche a terra i pericoli non sparivano: in quei luoghi si aggiravano sempre brutti ceffi, assassini e imbroglioni.

Le crime de la rue Suffren

Una canzone marinara decisamente giornalistica, ambientata a Brest è “Le crime de la rue Suffren” [7] (una via parallela alla celebre rue de Siam nei pressi del famoso “Arsenal” e che, al tempo, faceva parte del quartiere portuale della città). Al pari della celebre “Complainte de Jean Quéméneur” [8], anche questa grottesca e macabra canzone fu composta a inizio novecento, si suppone da tale Henri Ansquer.

Narra della vicenda realmente accaduta a Jean-Marie Pendivalo, malcapitato marinaio bretone de La Flotte, addetto alla manutenzione e manovra delle vele. Costui avendo guadagnato un bel gruzzoletto col duro lavoro e intendeva sposare la sua Margotte ma, arrivato con l’ultimo treno della notte, prese alloggio in una pensione di rue Suffen. Qui incontrò dei ragazzi che lo invitarono a bere con loro un bicchierino ma che poi protetti dall’ombra, lo aggredirono armati di punteruolo, cavatappi, punzone, forchetta e chiavi. Dopo averlo ammazzato, gli rubarono il portafogli, strappandogli i pantaloni e prendendo a ricordo il berretto con “pompon” rosso da marinaio. Infine fecero a pezzi il cadavere e, non ancora soddisfatti, macinarono la sua carne e la vendettero al mercato, per colmo questa finì nel piatto proprio di Margotte che ne morì avvelenata per il fatto che il fidanzato era un gran fumatore di tabacco.

Le crime de la rue Suffren
Complainte de Jean Quéméneur

Tristan Corbière: À mon cotre Le Négrier

A Brest nel 1793 nacque Jean-Antoine-René-Édouard Corbière, da una famiglia originaria della Haut-Languedoc, il padre era capitano di marina e quando a soli nove anni si trovò orfano non gli rimase altra scelta che entrarvi a sua volta. Marinaio, navigherà dopo il 1820, diventando tra il 1830 e il 1845 anche uno dei più celebri scrittori e giornalisti, oltre che armatore: viene oggi considerato il “padre del romanzo marinaresco francese”. Il suo disgraziato figlio Édouard-Joachim (nome d’arte Tristan Corbière) poeta bretone maledetto prima di Rimbaud e Mallarmé, al contrario visse nello schianto di una corda spezzata, in mezzo a un guazzabuglio inestricabile di dolore, malattia e deprivazione. Al posto di navigare, come desiderava tanto, visse una mareggiata umana tra schiume di squallidi sobborghi e periferie, reietto e aggrappato al relitto del suo disincantato destino di sconfitto. Tra le pagine dense di stravaganze barocche dell’unica disordinata e sconcertante raccolta di poesie che stampò a proprie spese nell’indifferenza parigina del 1873, si trova anche “À mon cotre Le Négrier” che verso il 1950, Lino Léonardi, accordeonista e direttore d’orchestra, metterà magistralmente in musica, per essere infine inciso nel 1975 dalla voce di quella che diventerà sua moglie, Monique Morelli, in un disco interamente dedicato all’opera poetica di Tristan Corbière.

À mon cotre Le Négrier

Una poesia, straziante come l’urlo del goéland, lucida, amara e salata più dell’oceano tanto amato che lo rifiutava. “Le Négrier” era il nome del primo romanzo del padre ispirato dalla propria esperienza sul mare e ugualmente quello del piccolo veliero ad un albero che regalò a Tristan nel 1860, la poesia, scritta in pieno agosto 1872 a Roscoff, rappresenterà il suo disperato addio e, probabilmente, non solo all’amato battello.

Monique Morelli –À mon cotre Le Négrier

Fila via, mio veliero, addio mio Négrier, va, fila nelle mani di un altro che potrà annegarti, non andremo più sull’onda lasciva…alla languida deriva…sul dorso rapido del maroso, sulla roccia dal dorso duro…va a sbronzarti da crepare, mio veliero, Négrier e dimostra bene a quell’altro che sapevamo bordeggiare…va, io sono in panne dove non si pesca più…va, che scivolando, il tuo ventre di marsuino lecchi l’alga profonda, va senza di me, senza la tua anima…che il refolo gonfi ancora la tua larga vela di bel tempo, tendendo i sartiami…vattene aspirando nebbia senza di me…va, ho troppe spese…nella tua anima di veliero pensa al tuo marinaio quando da un bordo all’altro, risalirà l’onda, tu puoi ancora incagliare la carena sull’umido varech ma io mi areno nelle coste del malessere, senza fondo, a secco.”

(trad. Flavio Poltronieri)

Il Pays Bigoudenon viene anche chiamato “Kost’ar mor” dai suoi abitanti costieri, a Kerity e a Guilvinec si pratica una variante della “ronde dei tre passi” (completamente sconosciuta all’interno della regione) che era la danza preferita dai marinai delle coste di ponente. Esiste in Bretagna tutto un repertorio di canzoni di danza marinara costiera: “De Bordeaux est arrivé”, “Les marins de Redon”, “Kas a barh”, “Ronds de Guérande”…

I marinai dei porti sono tutti uguali

I chants de marins non descrivevano solo la vita a bordo, Le Havre per esempio era un luogo privilegiato per gli scambi culturali più vari e sulla riva gravitava tutta una popolazione legata agli “uomini dell’acqua” che spesso veniva marginalizzata dai vicini, detentrice di una sua propria cultura e di un repertorio di canzoni specifiche. Ad esempio le botteghe dei barbieri esercitavano una certa attrazione sui naviganti sia del mare che dei fiumi. Ma più che a rasoi e forbici i marinai erano interessati ai modi di quelle servette profumate ad attrarli dato che, oltre all’igiene dei capelli, si occupavano di offrire anche altri servizi ancora più salutari, dopo le soventi lunghe traversate “…domando che mi si faccia la barba, la barba nera la fate voi? l’ho fatta al re di Spagna che è un uomo come voi…”.

Ogni tanto i marinai consumavano delle soste ormeggiati su una sedia ad invocare alisei, allora colavano a picco nelle pinte di birra o nel liquore cantando come pesci nei flutti e offrendo il proprio cuore salato alla bocca di una donna che aveva la forma di un’àncora. In quelle taverne dei porti marinari dove Jonathan Swift sosteneva che “la pazzia è venduta a bottiglie e si può restare a bocca asciutta o avere un miraggio e fare una serenata a una sirena”.

Michel Tonnerre “Sanguinaires” da “Fumier d’baleine” (1992)

Sanguinaires

…come le ragazze del “Corvo d’Argento”
che ti rifanno tutto il sartiame,
ti rovesciano sul fianco per liberarti lo scafo,
queste parti in caso di urto sono i peggiori atterraggi che esistano…
parto domani nella notte a caricare nitrato in Cile,
il tempo che passa conta solo per chi sa di partire.

(trad. Flavio Poltronieri)

Tutti gli affari erano trattati nelle locande, popolate da meretrici i cui fianchi diventavano avventure dove i marinai annegavano più volentieri e le cui insegne citavano sempre un timone, un pesce, una vela o un pirata. Oramai è un mondo artigianale quasi del tutto scomparso, assieme all’asprezza del linguaggio, agli spiriti turbolenti, irrispettosi e attaccabrighe, alla proverbiale incoscienza dei marinai nei confronti del denaro.

Il più riuscito esempio cinematografico in canzone che descrive alla perfezione tutto ciò lo si deve alla penna sublime di Jacques Brel che cantando il porto di Amsterdam, rappresenta tutto il mondo dei marinai sparsi di ogni angolo del mondo.

la versione originale di Jacques Brel
la versione inglese -francese cantata da Jasper Munk
una recente versione dei Doolin’

Dans le port d’Amsterdam Y’a des marins qui chantent
Les rêves qui les hantent Au large d’Amsterdam
Dans le port d’Amsterdam Y’a des marins qui dorment
Comme des oriflammes Le long des berges mornes
Dans le port d’Amsterdam Y’a des marins qui meurent
Pleins de bière et de drames Aux premières lueurs
Mais dans le port d’Amsterdam Y’a des marins qui naissent
Dans la chaleur épaisse Des langueurs océanes.

Dans le port d’Amsterdam Y’a des marins qui mangent
Sur des nappes trop blanches Des poissons ruisselants
Ils vous montrent des dents À croquer la fortune
À décroisser la lune À bouffer des haubans
Et ça sent la morue Jusque dans le cœur des frites
Que leurs grosses mains invitent À revenir en plus,
Puis se lèvent en riant Dans un bruit de tempête
Referment leur braguette et sortent en rotant
Dans le port d’Amsterdam Y’a des marins qui dansent
En se frottant la panse Sur la panse des femmes
Ils tournent, ils dansent Comme des soleils crachés
Dans le son déchiré d’un accordéon rance
Ils se tordent le cou Pour mieux s’entendre rire
Jusqu’à ce tout à coup l’accordéon expire
Alors d’un geste grave, alors le regard fier
Ils ramènent leurs bâtards jusqu’en pleine lumière
Dans le port d’Amsterdam Y’a des marins qui boivent
Et qui boivent et reboivent Et qui reboivent encore
Ils boivent à la santé Des putains d’Amsterdam
D’Hambourg ou d’ailleurs Enfin ils boivent aux dames
Qui leur donnent leur joli corps Qui leur donnent leur vertu
Pour une pièce en or Et quand ils ont bien bu
Ils se plantent le nez au ciel Se mouchent dans les étoiles
Ils pissent comme je pleure Sur les femmes infidèles
Dans le port d’Amsterdam Dans le port d’Amsterdam

Gli shanties nell’età d’oro dei grandi velieri

Sono numerosi gli scritti che tra il 1820 e il 1850 testimoniano l’importanza dei canti a bordo dei velieri francesi verso Brasile, Cile, India, Cina o Australia malgrado le condizioni penose di vita quotidiana. Lo stesso valeva per le “packet ships” inglesi o americane che in quell’epoca trasportavano gli emigranti sulla rotta tra Liverpool e New York[9]. Tante shanties oggi celebri risalgono a quel periodo e sono rielaborazioni che mescolano i differenti repertori tradizionali inglesi, irlandesi, scozzesi, di canzoni d’emigrazione nordeuropea o mediterranea, di marinai imbarcati per caso in qualche equipaggio, di schiavi neri americani o africani, di estremo orientali o canachi, di giamaicani e caraibici in genere. E’ attraverso il mare che gli europei hanno popolato le Americhe ed è il commercio marittimo che permetterà lo straordinario fiorire della potenza economica degli Stati Uniti. Le shanty di origine anglosassone, misto di musica tradizionale irlandese e blues dei campi di cotone, venivano urlate a squarciagola da uno che veniva chiamato senza troppa fantasia “shantyman”. A mia conoscenza, l’ultimo di questi professionisti era Stan Hugill ed è morto a Brest nel 1996.

Non si sa l’origine precisa del termine americano “chantey” che non ha un equivalente francese pur significando ugualmente “canto marinaro utilizzato per ritmare il lavoro a bordo delle navi”. E’ un termine apparso a metà del XIX° secolo, all’inizio ortograficamente scritto “chaunt” e quindi facilmente associabile al verbo “cantare” ma gli Inglesi rifiutarono decisamente questa ipotesi di origine francofona, adottando la scrittura “shanty” e sostenendo piuttosto derivasse dalle capanne in legno dei pescatori antillesi e caraibici chiamate appunto “shanties”. Queste casupole venivano spostate periodicamente su dei rulli di legno tirati da corde da tutta la popolazione del luogo che si incitava con canti di fatica chiamati a loro volta “shanties”.

Il maggior periodo della composizione delle “chantey” si colloca anch’esso tra il 1820 e il 1860, l’età d’oro delle vele ma anche inizio della concorrenza dei primi battelli a vapore. Alcune canzoni composte durante la guerra di Secessione tra il 1861 e il 1865 furono adattate alle situazioni del mare ma oramai la loro creazione si era fatta rara e al decennio tra il 1870 e il 1880 risalgono le ultime. Se ne sentiranno intonare ancora fino al 1910 ma oramai erano diventate pressoché inutili.

Il melting pot sulle rotte dei venti e delle correnti

I canti di lavoro degli schiavi neri delle piantagioni del sud degli Stati Uniti hanno profondamente influenzato le parole, le melodie, i ritmi e anche la struttura stessa delle chanteys: corti soli seguiti da ritornelli molto ripetitivi. I neri possedevano di fatto già un loro repertorio di canti che utilizzavano per ritmare i tragitti sulle scialuppe lungo le piantagioni delle coste della Georgia e della Carolina. Nei porti del cotone del sud, cultura bianca e nera si mescolavano[10]. L’esportazione verso l’Europa iniziata a fine del XVIII° secolo ha conosciuto un progressivo e inarrestabile sviluppo tra il 1815 e il 1837, i porti del golfo del Messico, Savannah, New Orleans, Mobile sono stati crogioli culturali dove marinai bianchi e neri apprendevano i reciproci canti originali e li incorporavano poi nei loro repertori. La Baia di Mobile, in Alabama era il luogo di maggior scambio delle chanteys. I portuali neri e bianchi riempivano di balle di cotone le stive dei battelli e le chanteys coordinavano i loro sforzi, ogni gruppo di lavoro aveva le proprie. La musica era una delle poche cose in grado di illuminare quei momenti, nelle pause c’era talvolta qualcuno che sapeva suonare un mélodéon e dava il via a danze magari sul ponte di una baleniera. I marinai che avrebbero poi solcato le onde dell’oceano erano gli stessi che, partiti da Liverpool o Le Havre durante l’estate per i porti oltre Atlantico, trascorrevano a sud autunno e inverno a stivare cotone in direzione Europa. In primavera quando la stagione del cotone finiva tornavano da dove erano partiti e si godevano la paga nelle bettole tra whisky, birra e puttane, poi quando terminavano i soldi tutto ricominciava.

Anche le Indie Occidentali hanno contribuito non poco all’elaborazione delle chanteys. Per molte generazioni gli abitanti di quelle isole sono stati marinai di lungo corso e se ne ritrovavano su ogni veliero, anche come cuochi e più ancor più come chanteymen. Uno dei più celebri brani di quel repertorio è “John Kanaka” che Stan Hugill affermava di avere raccolto da Harding soprannominato con un gioco di parole “il Barbaro delle Barbados”. Nelle Antille si riprendevano sempre a più voci i ritornelli delle chanteys così come facevano d’altronde anche le genti del Galles, sublimi armonizzatori di canti di lavoro: una vera eccellenza doveva essere l’ascolto delle polifonie originali degli equipaggi misti gallesi e neri!

Un gran numero di canti di bordo poi sono marchiati dalla musica irlandese, basti dire che a metà del XIX° secolo, l’ottanta per cento degli indomabili marinai “topi da transatlantico” che viaggiano nell’Atlantico del Nord sulle “navi a pacchetto” erano irlandesi.

Gli ultimi marinai a bordo dei grandi velieri

Negli anni settanta del secolo scorso alcuni marinai fécampois e malouins (Fécamp si trova in Normandia, nella Senna Marittima, affacciato sulla Manica e la corsara Saint-Malo in Bretagna) sono stati gli ultimi in Francia a navigare a bordo dei grandi velieri verso Terranova. Sono loro le memorie viventi che hanno trasmesso direttamente gli ultimi canti sulla Grande Pesca fino a quel momento sconosciuti e a germinare l’idea del gruppo bretone Cabestan. Altre fonti preziose hanno informato di canti utilizzati sulle “dundées” (barchette a due posti) dell’isola di Groix o sulle “sinagos” del Morbihan.

Alcuni repertori dei chants de marins però sono andati irrimediabilmente perduti, poiché nessuno se n’è interessato a dovere, come quello dei pescatori di merluzzo di Goëlo o di Paimpol di cui rimangono solamente un estratto del canto à hisser “Mer’hed Keriti” [11] (Le ragazze di Kérity) e “Le gabier de Terre-Neuve” su testo di Théodore Botrel composto nel 1899 e pubblicato nell’ “Almanacco del marinaio bretone” ma mai trascritto e quindi oramai inevitabilmente differente dall’originale.

Cabestan -Le gabier de Terre-Neuve in “Chants De Marins” (Le Chasse-Marée, 1984)

La complainte des terr’-neuvas

Le canzoni marittime oggi comunque fortunatamente abbondano nelle loro differenti ambientazioni o tradizioni musicali: shanties inglesi (Santiana, Boney), canti bretoni e francesi del litorale (War rad Brest, Quand je suis parti de La Rochelle), lamenti e canti di combattimento navale (Le 31 de mois d’août, Le combat de la Danaé, Le corsaire le Grand Courier), canti di bordo a lunga percorrenza e baleniere (La Margot, Pique la baleine), canzoni operaie di porto (Les calfats, Avec sa gamelle).

Per assurdo però la canzone oggi più conosciuta a celebrazione dei pescatori oceanici che osavano avventurarsi nei banchi di Terranova, si deve alla penna di Gaston Couté [12]. Questo testo contestatario e avanguardista, che oramai è un classico dei “chants de marins”, in Bretagna e fino a Sant-Pêr-har-Mìkelon, molti lo credono tradizionale, invece è opera di uno che nella sua (seppur breve) vita, il mare non lo aveva neanche mai visto!! Il compianto Marc Robine l’ha inizialmente musicato e interpretato da par suo nel 1980. In seguito moltissimi gruppi lo hanno ripreso (Duo du Pavé, Gaillards d’Avant, Mouez Port-Rhu, La Bouline, Matelots en Bordée, Rêve de Mer, Cent z’scale, Vent de Noroise, Boujaron, Le cap-horniers, Les Receneurs, Mascaret, Gwern): “…[Le barche] si mettono a pescare con ardore, per ingrassare l’armatore…”

Marc Robine La complainte des terr’-neuvas

Le chants de marins direttamente composte da marinai che sono giunte fino a noi sono invece rarissime e sovente incomplete: “Le Saint-François”, “A Cognac arrimons la futaille”, “Les affréteurs sont des rongeurs”, “Dans nos péniches”. Prima del 1850 solamente “Une descize sur le Rhone” è conosciuta, registrata per la prima volta nel 1968 da Jean-Claude Bouvier assieme ad un cantante ottantenne (un non meglio precisato Sig. Brugier).


[1] Il bretone Tristan Corbière con questa poesia tratta da “Gens de Mer” fa una parodia di “Oceano Nox” che era stata composta da Victor Hugo nel 1836 dopo essere stato testimone di una furiosa tempesta a Saint-Valery-em-Caux (“…l’oceano, della loro vita, ha preso tutte le pagine e, in un soffio, ha sparso tutto sulle onde…”)
[2] “Le canzoni hanno per argomento i luoghi visitati, i ricordi di casa o di terre straniere. I marinai amano i canti d’amore, d’avventura, di sentimenti, le storie di uomini famosi e di battaglie. Spesso i canti descrivono la dura vita sulle navi a vela, o parlano degli aspetti buoni o cattivi di una nave o dei legami emotivi che gli uomini hanno stretto a terra. Pure i personaggi di bordo appaiono con frequenza nelle canzoni; ufficiali e capitani possono essere detestati o ammirati, e tra i protagonisti delle canzoni vi sono anche compagni di bordo perduti in mare. (Italo Ottonello in Le vecchie canzoni dei giorni dei velieri).
Molto frequenti nei canti marinari sia di lavoro che di svago le lamentele contro la brutalità di ufficiali e Old Man (il comandante della nave) e i piatti poco appetitosi del rancio

[3] Armand Hayet (1883-1968) è l’unico ufficiale di acque profonde ad essersi interessato in qualche modo ai costumi e alle canzoni dei marinai francesi; sebbene gli si debba riconoscere il merito di essere stato il primo collezionista dei canti marinai francesi, li riscrisse in buona parte. Finalmente nel 1935 pubblicò anche “Chansons de la Voile sans Voiles“. Autore di “Vita e costumi a bordo dei grandi velieri”  Éditions Mursia di Milano 1973 (Us et coutumes à bord des Long-Courriers, 1953 ristampa del 1993 Éditions Maritimes )

[4] Una galleria ottocentesca di brutti ceffi del mare comprende inevitabilmente anche i procuratori d’imbarco (detti in inglese boarding master) che erano contemporaneamente proprietari di pensioni per marinai, ai quali procuravano alloggio e imbarco. https://terreceltiche.altervista.org/paddy-west/

[5] approfondimento in Bretagna a luci rosse sempre dello stesso autore

[6] Raccolta da Adolphe Orain e pubblicata da Simone Morand nella “Anthologie De La Chanson De Haute Bretagne: Penthièvre, Pays Malouin, Pays De Rennes Et D’outre Ille, Redon, Brière, Pays De Nantes” (1976)

[7] Ascoltabile in Various: “Brest en chansons d’hier et d’aujourd’hui” (Pluriel, 1991)

[8] Ascoltabile in Mikael Yaouank: “Chants de Marins vol. 2” (Arfolk, 1979)

[9] Agli inizi Ottocento per i traffici mercantili si richiedono navi sempre più veloci e non più “armate” come nel secolo precedente (epoca di galeoni, vascelli e fregate): nascono così i clippers, navi addette principalmente al trasporto delle merci, ma senza tanti fronzoli e con più vele per andare sempre più veloci..
Sono i clippers dell’Oppio che tra il  1830 e il 1850 correvano per la Compagnia delle Indie; i tea clippers americani che videro la loro stagione tra il 1845 e il 1860 in concomitanza con l’aumento del consumo di tè negli Stati Uniti a cui fecero concorrenza i tea clippers inglesi (varati tra il 1850 e il 1875); i clippers dei passeggeri più comunemente detti “packets” che tra il 1820 e il 1865 univano i porti di New York, Boston, Filadelfia e Baltimora con il nord Europa; i Colonial (o wool) clippers costruiti in Inghilterra e negli Stati Uniti tre il 1865 e il 1890 per assicurare i collegamenti commerciali con l’Australia, la Nuova Zelanda e la Tasmania… https://terreceltiche.altervista.org/blow-bullies-blow/
Si veda anche
https://terreceltiche.altervista.org/the-black-ball-line-and-sea-shanty/
https://terreceltiche.altervista.org/liverpool-packet/

[10] https://terreceltiche.altervista.org/mobile-bay/

[11] Ascoltabile in Cabestan: “Gwerz Penmarc’h” (Le Chasse-Marée, 1990)
https://terreceltiche.altervista.org/il-treno-loceano-e-la-gente-di-penmarch/

[12] https://www.azionenonviolenta.it/wp-content/uploads/Archivio%20Rivista/2019/AN%2011-12.pdf (pag. 40)
https://www.blogfoolk.com/2022/07/ora-e-sempre-evviva-gaston-coute_27.html

/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.