Da un mare ad un altro, salutando Brel e Brassens

Saint-Cast dipinta da Paul Signac (1890)

In Bretagna, Saint-Cast-le-Guildo, tra le imponenti scogliere di Cap Frehel, vicino a Saint-Malo, nel dipartimento de “Les Côtes-d’Armor” è stata teatro, nel 1758, dell’omonima battaglia tra francesi e inglesi nel quadro della “guerra dei sette anni”. La sua chiesa neo-gotica è consacrata a San Casto (Sanctus Castus), monaco irlandese del VI° secolo. Nel suo cimitero invece è sepolto Georges Pasquier.
Jojo” assomigliava ad un ometto di niente, semplice, un po’ calvo, il resto dei capelli erano grigi, il naso rotto dalla vita, è stato l’unico amico fraterno di Brel, durante venti anni di vita.

Nel 1977, una delle ultime strabilianti canzoni del Grand Jacques fu un raggelante “arrivederci a presto” proprio per lui, che la sua stessa malattia aveva ucciso solamente tre anni prima, proprio mentre il sommo chansonnier aveva iniziato il viaggio in partenza per il suo auto-esilio nei mari polinesiani.

Jacques Brel: Jojo

Moi, je t’entends rugir
quelques chansons marines
où des Bretons devinent
que Saint-Cast doit dormir
tout au fond du brouillard

Ti ascolto ruggire
qualche canzone marina
dove dei Bretoni indovinano
che dev’esserci Saint-Cast
che dorme in fondo alla nebbia

Georges Brassens, il vecchio cugino venuto da Parigi

Georges Brassens

Anche alcune delle canzoni di Georges Brassens sono state presumibilmente composte o pensate in Bretagna, a Lézardrieux, vicino a Paimpol, dove aveva acquistato nel 1971, una casa sulle rive del Trieux, nei pressi del porto. Un edificio alto, tradizionale e leggermente isolato, dalle persiane blu, che veniva chiamato la Maison de Ker Flandry. Quando Georges Brassens arrivò in Bretagna la prima volta, verso la metà degli anni ‘50, “les Côtes-d’Armor” (Aodoù-an-Arvor) ancora si chiamavano Côtes du Nord.
Aveva accompagnato Jeanne, proprio quella della canzone “La cane de Jeanne”, presso la quale lui aveva vissuto all’inizio tanti anni a Parigi, nella piccola casa all’Impasse Florimont, Paris XIV°. La donna doveva risolvere alcune questioni legate alle proprie origini familiari bretoni (era nata infatti Le Bonniec).

Georges Brassens si recava in Bretagna generalmente durante le estati ma talvolta anche in inverno. Qualcuno del luogo ancora riporta di come si faceva spesso rassicurare dai vicini di non arrecare loro disturbo con il canto proveniente dalla sua casa e di come alla fine della bella stagione se ne andasse sempre lasciando due biglietti da 200.000 vecchi franchi: metà per la squadra di calcio e metà per gli anziani del paese. Così fece pure nella sua ultima estate, quella del 1981.
Anche se in giro gli hanno dedicato strade, piazze, scuole, parchi, asteroidi, a Lézardrieux lo hanno sempre considerato semplicemente come “un vecchio cugino venuto da Parigi” con cui mangiare e improvvisare qualche volta un “kenavo blues”.

Le canzoni di Georges Brassens sono state incise in Bretagna in un paio di dischi nel 2011, da Michel Arbatz (Chez Jeanne) e dal compianto Claude Besson. In mezzo ai tanti imperituri diamanti sonori composti da Tonton Georges, brilla una canzone legata agli amori dei marinai, che è un suo estratto (1) dalle ventisette strofe originali de “La Marine”, meravigliosa poesia di Paul Fort (2)

(2) Brassens ha musicato anche altre poesie di Paul Fort (1872-1960): “Le Petit cheval” “Comme hier” “Si le bon Dieu l’avait voulu”.

Georges Brassens
(1) La poesia completa interpretata da Gabriel Yacoub con il suo inimitabile timbro vocale nel suo doppio CD “Je vois venir…”
e in una interpretazione dal vivo con una musica un po’ differente

On les r’trouve en raccourci
Dans nos p’tits amours d’un jour
Toutes les joies, tous les soucis
Des amours qui durent toujours

C’est là l’sort de la marine
Et de toutes nos p’tites chéries
On accoste. Vite ! un bec
Pour nos baisers, l’corps avec

Et les joies et les bouderies
Les fâcheries, les bons retours
Il y a tout, en raccourci
Des grandes amours dans nos p’tits

Tout c’qu’on fait dans un seul jour
Et comme on allonge le temps
Plus d’trois fois, dans un seul jour
Content, pas content, content

On a ri, on s’est baisés
Sur les neunœils, les nénés
Dans les ch’veux à plein bécots
Pondus comme des œufs tout chauds

Y a dans la chambre une odeur
D’amour tendre et de goudron
Ça vous met la joie au cœur
La peine aussi, et c’est bon

On n’est pas là pour causer
Mais on pense, même dans l’amour
On pense que d’main il fera jour
Et qu’c’est une calamité

C’est là l’sort de la marine
Et de toutes nos p’tites chéries
On s’accoste. Mais on devine
Qu’ça n’sera pas le paradis

On aura beau s’dépêcher
Faire, bon Dieu ! la pige au temps
Et l’bourrer de tous nos péchés
Ça n’sera pas ça; et pourtant

Toutes les joies, tous les soucis
Des amours qui durent toujours
On les r’trouve en raccourci
Dans nos p’tits amours d’un jour

Si ritrovano in miniatura
Nei nostri piccoli amori di un giorno
Tutte le gioie, tutte gli affanni
Degli amori che durano per sempre

E’ la sorte dei marinai
E di tutte le nostre piccole amiche
Ci si conosce. Presto! una bocca
Per i baci e per il corpo

E le gioie, i musi lunghi
Gli screzi, le dolci scuse
C’è tutto dei grandi amori
Raccorciato, nei nostri piccoli

Tutto quello che si fa in un solo giorno
E come si allunga il tempo
Più di tre volte in un solo giorno
Contento, scontento, contento

Si è riso, ci si è baciato
Sugli occhi, sulle tette
Nei capelli, con dei bacioni
Deposti come fossero uova calde

C’è nella stanza un odore
Di tenero amore e di catrame
Che mette la gioia nel cuore
E anche della pena, ed è bello

Non siamo là per chiacchierare
Ma si pensa anche durante l’amore
Si pensa che domani farà giorno
E che questa è una calamità

È la sorte dei marinai
E di tutte le nostre piccole amiche
Ci si abborda. Ma si capisce
Che questo non sarà il paradiso

Si dovrà sbrigarsi
Fare, per Dio, del proprio meglio
Riempire il tempo di peccati
Non sarà abbastanza, eppure

Tutte le gioie, tutte gli affanni
Degli amori che durano per sempre
Si ritrovano raccorciati
Nei nostri piccoli amori di un giorno
(traduzione Flavio Poltronieri)

Dalla Bretagna al Mediterraneo

Sète ha un passato minuscolo derivato da una decisione reale. L’ingeniere Paul Riquet aveva iniziato gli scavi per il Canal du Midi e stava cercando lo sbocco sul Mediterraneo. Luigi XIV conferì l’incarico all’allora ministro Colbert, di trovare un approdo per le galee reali e di creare un porto di esportazione per i prodotti della Linguadoca. Il compito venne affidato al Cavaliere di Clerville, che individuò in Cap de Sète il luogo più adatto per la creazione di questo sbocco al mare. Nel 1666 iniziarono i lavori. Dunque Sète compie, economicamente parlando, poco più di 350 anni: niente se consideriamo i 3000 di Narbonne o i 2000 delle sue vicine: Béziers, l’occitana, Nimes, la romana, Montpellier, l’aristocratica.

Non ha monumenti. Però possiede un Mont Saint-Clair che domina la città, 180 metri di calcare del Giurassico, che visto dalla spiaggia della Corniche o dagli altri centri abitati circostanti, sembra un cetaceo che si sia immobilizzato improvvisamente nell’aria come “una balena capovolta di nero allumata d’argento”. E infatti il suo nome deriverebbe in origine dal pre-indo-europeo set, che designa una montagna, quindi dal latino cetus (greco: kêtos), che significa balena, il suo nome si è nel Medioevo, trasformato in ceta, cetia, seta. I villaggi della Linguadoca nascondono comunque tutti un vastissimo bestiario fantastico che rimanda alle grandi paure medioevali. Il 23 ottobre 1793, il consiglio comunale decise che la città si sarebbe chiamata Sète, malgrado ciò resterà Cette fino a un decreto del 20 gennaio 1928, che fisserà definitivamente il nome. Sète possiede anche un campanile della camera di commercio che pare proprio scimmiottare un minareto. Le facciate cubiste delle rive de Le Grand Canal brillano riflesse nell’acqua e tutti questi canali le sono valsi talvolta l’appellativo di “Venezia della Linguadoca”. Possiede anche i meravigliosi colori di un mare caro ai suoi pittori locali e con i quali hanno dipinto i giorni e le notti che cadevano sulla metafisica di questo luogo: François Desnoyer, Pierre François, Hervé Di Rosa…

In questo periodo dove il locale gioca a nascondino con l’universale, il Mare Mediterraneo diventa un personaggio storico, una maniera di guardare la luce ed il destino. Senza questo mare, niente della Grecia sarebbe arrivato in Arabia e niente dell’Arabia sarebbe arrivato in Spagna. Niente dell’Oriente sarebbe poi passato in Provenza e niente di Roma a Tunisi. Un mare che, come sempre fa, ha mescolato i linguaggi e non solo, infatti tutti questi incroci si ritrovano sui visi e talvolta nei riti, come ad esempio in una parte del Quartiere Alto della città dove esiste un patois, il “cetarese” che ho ritrovato perfino su antiche cassette per la raccolta delle lettere. Séte conta infatti una forte colonia di origine italiana, emigrata dalla cittadina della costiera amalfitana in provincia di Salerno, nella seconda metà del XIX° secolo. Séte e Cetara nonostante la distanza geografica sono anche due borghi marinari di usanze religiose molto simili. Nel piccolo centro del Midi francese la forte comunità di pescatori porta grande devozione a San Pietro e una volta all’anno, lo onora con Le grand pardon de la Saint Pierre (La grande indulgenza di San Pietro), una processione per le strade e poi sulle onde per salutare tutti i dispersi del mare.

Séte possiede infine anche un Cimitero Marino, dove riposa Paul Valery:
Qui annuso il mio fumo futuro
e il cielo canta all’anima dissolta
il cambiamento delle rive in risonanza
bel cielo, vero cielo, guardami mutare
dopo tanto orgoglio, dopo tanto
ozio, strano ma pieno di vigore
mi abbandono a questo spazio ardente…
questo luogo mi piace, dominato dalle fiaccole
fatto d’oro, di pietra e di alberi ombrosi
dove tremola tanto marmo su tante tombe…
si, mare immenso inondato di deliri
pelle di pantera e clamide forata,
da mille e mille idoli solari
idra assoluta, ebbra di carne azzurra
che ti mordi la coda scintillante
in un tumulto che è pari al silenzio
si leva il vento! bisogna tentare di vivere!
quest’aria infinita apre e richiude il mio libro
l’onda sprizza polvere dai blocchi di roccia
volate via, pagine tutte abbagliate
rompete, onde! rompete di acque liete
questo tetto tranquillo dove i fiocchi beccavano


(traduzione parziale Flavio Poltronieri)

Ma non vi riposa Georges Brassens. Entrambi videro la luce proprio in questo paesaggio sudista, che al tempo dell’Occitanismo trionfante veniva chiamato “Il culo di bronzo d’Europa”. Ma, visto che comunque non è stata esaudita l’appassionata Supplica per essere sepolto alla spiaggia di Séte, può andar bene anche così, in fondo il cimitero di Py viene chiamato “quello dei poveri” ed è comunque più vicino al mare dell’altro, a dispetto del nome :
…a bordo di un vagone letto
le mie spoglie mortali vengan riportate
sul mio suolo natale e sian scaricate
proprio alla stazione di Sète…
proprio in riva al mare, alle onde vicino
scavate, ve ne prego per me un angolino
una bella, piccola nicchia
accanto ai miei amici d’infanzia, i delfini
dove la sabbia è dorata e così fine
sulla spiaggia della Corniche.
Paul Valéry, il vate, non oso sfidare
la sua arte non pretendo di uguagliare
ma il bravo maestro permetta
a me che non sono un poeta divino
che il mio cimitero del suo sia più marino
e non dispiaccia alla mia Sète..
. »

Traduzione ritmica Giuseppe Setaro (1934-2014), dal suo volume “Brassens in italiano” – 110 canzoni, 2012.

Georges Brassens è nato esattamente 100 anni fa al 54 di Rue de l’Hospice, nel quartiere popolare dove la Strada della Rivoluzione incrocia quelle di Libertà/Fratellanza/Uguaglianza. Qui lo chiamavano “Jo”, perchè da queste parti vanno pazzi per diminutivi e soprannomi. Come nella poetica di Valery, il classicismo della forma delle sue parole oramai fanno parte del paesaggio circostante. La Linguadoca ha avuto infatti da sempre una predilezione per le strofette corte, dall’antico troubadour Bernard de Ventadorn al contemporaneo Claude Marti, passando magari da Charles Trenet, nato poco più di una sessantina di chilometri da Séte.

I viaggi delle canzoni di Brassens: https://www.blogfoolk.com/2020/10/brassens-nei-linguaggi-e-nelle-musiche.html

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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