Tri bei giuvin (I falciatori)

Tri bei giuvin è una ballata piemontese raccolta a metà Ottocento da Domenico Buffa, edita nel 1979 dal Centro Studi Piemontesi (in I Canti popolati raccolti da Domenico Buffa a cura di A. Vitale Brovarone).

Con il titolo I falciatori è un canto narrativo proveniente dall’alta valle Staffora (Oltrepò Pavese) un tempo diffuso nel nord Italia, in Francia e Catalogna.

trascrizione piemontese di Domenico Buffa
U j’era trëi bëi giuvini
andavu a sië’ lu pra’,
Viva l’amur
U j’era trëi bëi giuvini
andavu a sië’ lu pra’
.

Ün dixëiva a l’atru:
“Chi ‘n portrà da dixnë’?”
“Sarà la Franceschin-na
Ch’a ‘n portrà da dixnë'”
Facendu scte parolle
Cisc-chin-na riva lì
Bütta ‘r manti ‘n sce l’erba:
“Bëi giuvu, gni a dixnë’.”
Jün e dui mangiavu
‘R pü’ bel mangiava nent’
“Mangë’, bevëi, bel giuvu;
Cosa pensë’ mai vu?”
“A ‘n voi mangë’ nè bëive
Ch’ a sun namurà d’vu’.”
“Mangë’, bevëi, bel giuvu;
mi a ‘n fassu nent’ per vu’.
A j’hö ‘r me amure ‘n Fransa,
Che l’è maggiur di vu’.”
“Allun, allun, Cisc-chin-na
Scpu’susmse mi e vu’
Farumma fë’ na roba
De trentadui colur
A la farem tajare
Da trentadui sartur
A la farem cü’sire
Da due fije d’amur:
Ogni puncin d’agugia
Bel massulin de fiur,
Ogni puncin d’agugia
Ün bel baxin d’amur”

Traduzione italiana in “Antologia della canzone popolare piemontese tra Settecento e Novecento” di Michele L. Straniero
Tre bei giovani c’erano andavano a falciare il prato, viva l’amor. Uno diceva all’altro “Chi ci porterà da mangiare? “Sarà la Franceschina che ci porterà da mangiare.”
Mentre così parlavano Ceschina arrivava lì. Getta il mantello sull’erba “Bei giovani venite a desinare.” Uno e due mangiavano, il più bello non mangiava. “Mangiate, bevete bel giovane, a cosa pensate mai?” “Non voglio mangiare nè bere che sono innamorato di voi.”
“Mangiate, bevete bel giovano io non faccio per voi. Ho il mio amore in Francia che è più vecchio di voi.” “Andiamo, andiamo Cischina, sposiamoci io e voi. Faremo fare una veste di trentadue colori, la faremo tagliare da trentadue sartori, la faremo cucire da due figlie d’amore, ogni puntino d’ago bel mazzolin di fiori, ogni puntino d’ago un bel bacino d’amore”

Quando le campagne straripavano di vita contadina lo sfalcio estivo dei prati per il foraggio degli animali, era una delle occasioni per amoreggiare, cioè per fare la corte alle ragazze. Durante il lavoro si cantava per far passare il tempo e alleggerire la fatica, nella fienagione erano i giovanotti a tagliare l’erba con la falce,  mentre le donne e i fanciulli utilizzavano il rastrello per raccogliere l’erba in grossi mucchi, che venivano poi caricati sul carro mediante l’uso dei forconi.


Domenico Buffa, nativo di Ovada visse per motivi di studio a Genova e a Torino. Deputato, ministro, sostenitore di Cavour coltivò l’interesse per la canzone popolare e i dialetti estendendo le sue ricerche (tra il 1843 e il 1845) su un campo eterogeneo quale l’alessandrino e il genovesato . La raccolta Buffa è conservata in due manoscritti di cui quattro quaderni depositati da Costantino Nigra alla Biblioteca Nazionale di Torino.


Tri bei giuvin

Una variante della versione trascritta da Domenico Buffa la troviamo ancora come canto tradizionale nel territorio delle Quattro Province (comprendente gli Appennini delle alte valli Scrivia, Borbera, Curone, Staffora, Trebbia e Aveto) che ha conservato un ricco repertorio di canti, danze e feste tradizionali al suono del piffero (1) e della fisarmonica.

(1) l’oboe popolare detto Il piffero (u pinfiu) è un oboe esclusivo delle Quattro Province, di origini secolari forse connesse ai commerci medievali con il vicino Oriente. Il suono potente è prodotto dall’ancia doppia (u müzottu), una linguetta di canna essiccata che molti suonatori realizzano e mettono a punto da soli. (tratto da (http://www.appennino4p.it/piffero). Nell’antica accoppiata piffero-musa (una cornamusa a un solo bordone con l’otre ricavato da una pelle di capra) è subentrata la fisarmonica, impiegata con una tecnica di accompagnamento specifica.

Stefano Valla e Daniele Scurati. Stefano ha imparato il canto da nonna Maddalena Buscaglia di Cegni

O si gh’eran tri bei giuvin
o chi ‘ndàvon tajà il prà,
o si gh’era tre fijette
o che ‘ndàvon rastellà.
Intra lur i discurèivon
chi vegnarà a purtà ‘l disnà:
la vegnarà la Margherita
o che la sa pü ben parlà.

Si l’è rivaa la Margherita,
si l’è rivaa cul disnà,
a l’ha stendü ‘l mantin su l’erba:
o tri bei giuven gne a disnà!
O chì se mangia e chi se beiva
chì s’imprega mai nisün,
o chì se mangia e chi se beiva,
chì si impara a far l’amur.

[Traduzione italiana: C’erano tre bei giovani | che andavano a tagliare il fieno, | c’erano tre ragazze | che andavano a rastrellare. | Tra di loro discorrevano: | Chi verrà a portare da mangiare? | Verrà la Margherita | che sa parlare meglio. | È arrivata la Margherita, | è arrivata con il pranzo, | ha steso il fazzoletto sull’erba, | o tre bei giovani venite a mangiare! | O qui si mangia e qui si beve, | qui non si prega mai nessuno, | qui si mangia e qui si beve, | qui si impara ad amoreggiare.]

Musiche Selvagge: Cesare Campanini, Marco Domenichetti e Stefano Faravelli a seguire la Mazurca di Ivano che Marco Domenichetti ha appreso da Andrea Domenichetti “Taramla”, fisarmonicista di Negruzzo.
Cesare Campanini e Danilo Carniglia (piffero)
Cabit (Davide Baglietto e Edmondo Romano)

Non ultima la versione dei Cantori di Marsaglia

http://www.appennino4p.it/musa/granosale
http://www.appennino4p.it/nomi
http://www.appennino4p.it/musica.php

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