Tri Yann: Urba 1978

tri yann

Tri Yann e Urba sono per me un tutt’uno.

I bretoni Tri Yann compiono 50 anni di carriera ed è ora, come sentenziava una canzone di Leonard Cohen: Closing Time!

Oramai è chiaramente da moltissimo tempo diventato un carrozzone, ma la qualità musicale è, come diceva Gilles Servat, “par chance et aussi par vouloir” rimasta salva.

Urba, 1978

Tri Yann e Urba

Come sovente accade in campo emotivo si rimane legati al primo incontro con qualcuno. Così succede anche per i dischi (almeno per me).

Iniziai con l’ascolto di Urba, perchè era l’unico disco dei Tri Yann, che si poteva acquistare in Italia, da Carù a Gallarate. Quella copertina incredibile mi attirò come un magnete. Nulla sapevo all’epoca dell’urbanizzazione in Bretagna e dei suoi misfatti, di cui si tratta in quelle canzoni, della perdita dei valori contadini di cui si facevano portavoce gli arrangiamenti acustici e dei soprusi cittadini rappresentati invece dal folk-rock virulento. Tutte caratteristiche che componevano il contrasto sublime all’interno di quei pezzi.

Tri Yann e Urba: Le soleil est noir

Urba è soprattutto Le soleil est noir in cui si descrive la tragedia della marea nera, provocata il 16 Marzo di quel 1978, dalla superpetroliera Amoco-Cadiz battente bandiera liberiana, mentre transitava a meno di un miglio di distanza dal porticciolo di Portsall. La tragedia ebbe un impatto epocale e devastante sull’emotività e sulla natura bretone.

La melodia a cappella cerca di rendere immortale la devastazione e di contribuire ad una presa di coscienza ambientalista di massa. Eppure mantiene, nella struttura della canzone, una forma tradizionale, con un testo esoterico assai denso di assonanze, visioni apocalittiche e riferimenti alla mitologia celtica. Così come gli antichi facevano con le leggende.

LE SOLEIL EST NOIR

Bel oiseau blanc du bout du monde,
Fils de deux muets, fils du Pays,
Rebelle semblant entre deux mondes,
Tire d’aile sanglant de quel pays?

Feu noir sur trois abers,
Sang noir sur dix estuaires,
Sept îles et fer en pluie.

Battu de vent, flottant bastion,
Battu devant, flots, tourbillons,
Battu, battant sang pavillon,
Soleil levant, noir, sans rayons.

Noirs l’eau, le feu, la terre,
Noirs de feu les deux airs,
Le vent, la brume aussi.

Mer en brume soleil déforme,
Terre en brume vieillie diforme;
Doigts sont changeants en dix corneilles,
Poissons sanglants en dix orteils.

Pigeons de feu sur mer,
Poison de gueux sous mer,
Sept îles et fer en pluie.

Morte saison sans floraison,
Morte maison, sang, déraison;
Saisons perdues en oraisons,
Moissons perdues sans rébellion

Feuillaison en hiver,
Fenaison en desert,
Grésil de fer en pluie.

Discours de feu, discours de veau,
Concours de peu, discours dévôts,
Secours de peu, futiles travaux,
Séjours de feu pour mille chevaux.

Noire langue des vipères,
Noire lande de colère,
Les vents, les hommes aussi.

Mil malloz ru, chant de l’épée,
Mille noires statues, noirs policiers,
Mille poings tendus, dix poings brisés,
Mille printemps dus pour mille années.

Cent mille hommes en colère,
Mille hommes sans la mer,
Sang, larmes et fer en pluie.

Mortes tribus sans héritiers
Portent tribut sang à payer;
Soleil fendu, bois condamnés,
Sol est venu, lois sont damnées.

Au temps que meurt la mer,
Autant se meurt la terre
Sous peur, sous fer en pluie.
Jour de demain, courage ardent.
Jour de Samain, coups, rage aux dents.

Seront les veaux perdant sang blanc,
Seront les loups perdant cents dents.

Rouge fin, Rouge avers,
Rouge poings, Rouge guerre,
Rouges mains, Rouges serres,
Rouge festin, Rouge chair,
Rouge vin, Rouge bière,
Le feu, la mer aussi.

IL SOLE E’ NERO

Bell’uccello bianco del limite del mondo
Figlio di due muti, figlio del Paese
Ribelle che sembri tra due mondi
Ali spiegate, insanguinate di quale paese?

Fuoco nero su tre abers*
Sangue nero su dieci estuari
Sette isole e ferro in pioggia.

Battuto dal vento, baluardo galleggiante
Battuto davanti, onde, vortici
Battuto, battendo bandiera sangue
Sol levante, nero, senza raggi

Neri l’acqua, il fuoco, la terra
Neri di fuoco le due arie,
Il vento, la nebbia anche.

Mare annebbiato, sole deforme
Terra bruna, invecchiata, deforme
Le dita si sono cambiate in dieci cornacchie
I pesci insanguinati in dieci alluci

Piccioni di fuoco sul mare
Veleno di pezzenti sotto il mare
Sette isole e ferro in pioggia.

Stagione morta senza fioritura
Casa morta, sangue, insensatezza
Stagioni perse in orazioni
Mietiture perse senza ribellione

Fogliazione in inverno
Fienagione nel deserto
Nevischio di ferro in pioggia.

Discorsi di fuoco, discorsi di vitello
Concorso di pochi, discorsi devoti
Soccorsi di pochi, futili lavori
Soggiorno di fuoco per mille cavalli

Nera lingua di vipere
Nera landa di collera
I venti, gli uomini anche.

Mille maledizioni rosse, canto della spada
Mille statue nere, neri poliziotti
Mille pugni tesi, dieci pugni spezzati
Mille primavere dovute per mille anni

Centomila uomini in collera
Mille uomini senza il mare
Sangue, lacrime e ferro in pioggia.

Tribù morte senza eredi
Portano tributo, sangue da pagare
Sole trafitto, boschi condannati
Il suolo è venduto, le leggi sono dannate.

Al tempo in cui muore il mare
Altrettanto muore la terra
Sotto paura, sotto ferro in pioggia
Giorno di domani, coraggio ardente
Giorno dei morti**, colpi, rabbia ai denti.

Saranno i vitelli a perdere sangue bianco
Saranno i lupi a perdere cento denti.

Rossa fine, Rosso rovescio di medaglia
Rossi pugni, Rossa guerra
Rosse mani, Rossi artigli
Rosso festino, Rossa carne
Rosso vino, Rossa birra***
Il fuoco, il mare anche

Traduzione italiana di Flavio Poltronieri. Dal volume “Koroll Ar C’hleze” – Danza della Spada –
Raccolta di testi bretoni contemporanei – 1985

NOTE

* così viene chiamato in Bretagna un profondo estuario di fiume
** il “Jour de Samain” cade la notte tra il 31 ottobre e l’1 novembre e vi si festeggia il capodanno celtico
*** bière significa “birra” ma anche “bara”

Tri Yann
Novembre 1977. Passage Pommeraye, à Nantes. | OUEST-FRANCE

Tri Yann: Immagini sonore

Non ero a conoscenza a quel tempo, dell’impatto artistico sulla cultura regionale di questi nantesi, rappresentanti del Paese Gallo. Percepivo solo il lontananza un combattimento tragico di fuoco tra giganti, tra titani, un’allegoria poetica all’interno della tradizione dei miti celtici. Soprattutto nel clima drammatico del loro canto polifonico a cappella, nel rinforzo dei suoni multipli della chitarra elettrica che un po’ fa ripensare a Jimi Hendrix, alle parole spesso spaventose che si accompagnano agli strumenti antichi.

Ero rapito dalla scenografia dei suoni del gruppo, da una ballata che magari inizia introducendoti in una atmosfera medioevale con violino, violoncello e flauto e poi quando l’eroina della storia in questione entra in una chiesa, un organo la accompagna. Si sente passare in lontananza una processione in latino, fino a quando un basso pesante introduce dei cori maschili che penetrano lo spazio con la loro eco. E ti ritrovi dentro la vicenda proprio come in un gwerz d’antichissime epoca e memoria.

Solo i Dead Can Dance in epoca più recente hanno raggiunto questi risultati visivi con le loro voci e i loro suoni. Ricordo che ero affascinato dalla chiaroveggenza e dal lirismo con cui la tradizione tentava di sopravvivere, esattamente come lo ero ascoltando le ballate di Malicorne o Lyonesse o quelle anglo-scoto-irlandesi di Steeleye SpanPlanxtyShirley CollinsThe Young TraditionMartin Carthy o quelle ungheresi di Kolinda e via andare. Anche quel disco di Tri Yann si rivelò un gioiello di rara preziosità, un esempio denso di immaginazione di bardismo moderno.

La lingua “de plouc”

Tri Yann sono stati anche coraggiosi, perchè all’epoca non era facile formare un gruppo musicale e poi difendersi dalle critiche senza nemmeno avere in organico un’arpa celtica e ce ne furono di feroci. Anche minacce soprattutto nei confronti dello spavaldo leader Jean-Louis Jossic e delle sue posizioni politiche e sociali. Una lettera anonima lo accusava di essere una puttana, uno che aveva svenduto le sue radici per diventare una pedina nel gran scacchiere dello show-biz francese. Stessa sorte era toccata anche a Melaine Favennec.

Perchè cantare in lingua gallo di fatti contemporanei, all’epoca suonava assai bizzarro e provocatorio: una lingua rurale, desueta o antica poteva richiamare solamente avvenimenti assai lontani nel tempo. Tra l’altro va detto che il caso della lingua gallo era ancora più disperato di quello del bretone “ufficiale”: oltre che di un “patois” si trattava pure di una lingua considerata unanimemente “de plouc” (ovvero “da zoticoni” come si direbbe qui in Italia). Dunque osteggiata dagli stressi “Bretoni duri e puri” che riconoscevano una minaccia in questo particolarismo nel particolarismo. Una possibile rimessa in questione della loro causa, quella cioè della nascente “idea di una Bretagna celtica uniforme”.

pays gallo

Non era stato certo un caso se prima di Urba il gruppo aveva messo le cose in chiaro con un altro meraviglioso disco “La Découverte ou l’ignorance” utilizzando le parole di Morvan Lebesque che marcò una frattura dolorosa con l’U.D.B. In questo periodo si tentò anche l’inserimento di una voce femminile nel gruppo (Mylène Coué) a causa dei problemi di salute di Jean-Paul Corbineau, ma la cosa non funzionò perchè le tonalità della sua voce non si accordavano perfettamente con quelle maschili già presenti nel gruppo.

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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