Piccolo Mondo Celtico

La musica tradizionale appartiene al passato, come tutti i passati non può tornare ma continua comunque a innervare ciò che è avvenuto: le evoluzioni di qualsiasi genere si poggiano sulle tradizioni per progredire . Le civiltà celtiche vanno dal 500 a. C. al XII° secolo, quella irlandese era pastorale, quella gallica agricola e artigiana, quella bretone fondeva le due, almeno finché la Chiesa romana non la cancellò a forza. Quel corpo celtico defunto da lungo tempo ha mantenuto vivo però uno spirito che si è diluito nell’enorme massa civile europea.

La Bretagna è un paese che comincia in mezzo all’onda, nell’esitazione che appare tra sabbia e granito. Anche se hanno scelto le intemperie, le sue pietre non sono pietre ma voci marine che gridano “terra”, sono visi d’uomo tagliati dalle tempeste, sono memoria di barche costruite con l’osso, sono visi di donne altezzose, malmenate dal tempo, belle e smussate oggi come ieri.

Alan Stivell– E Kreiz Hag Endro [“Al centro e tutto attorno”: accordi d’arpa nella natura]

Qualsiasi cammino in Bretagna a seguirlo ti conduce al mare, un mare di onde di quercia e oceani di ginestre. Ma il vero re è l’urlo del goéland che strazia le colline, quel grido continuo che ha colore blu perché qui si parla blu e blu chiama pioggia e invoca grandine.

Questo paese non si ferma al colore di quel che c’è ma non vedi: dietro l’angolo tutti i cammini portano a Roma, Granada, Praga, Atene. Il mare è un campo ma a Quimper nelle stradine, sui ciottoli o presso i calvari improvvisi, l’onda continui a sentirla ancora: nutre le pietre e si scopre musica. E allora come stupirsi che questi suoni siano nati in Bretagna, da questa civiltà apparsa alle legioni romane quando arrivarono in Gallia e che in tutti i modi ostacolarono. Da questa Piccola Bretagna dall’aureola romantica e partigiana così oscurata dalla storia dei libri e che, nonostante le interdizioni dell’Impero Romano, ha perpetuato l’insegnamento del suo culto druidico sotto forma di recite, canti, credenze popolari.

Barzaz Breiz: le ballate di Bretagna raccolte dal Villemarqué

Come stupirsi che il popolo bretone abbia composto lungo i secoli, il Barzaz Breizh, al meritorio Visconte Théodore de la Villemarqué il compito di raccoglierlo e trascriverlo e in cambio a lui, la gloria dei posteri. Il più seducente dei mille visi di un racconto è quello mostrato dalle allusioni e dai simbolismi delle leggende: sono loro la vera Storia Generale modellata dal Tempo. Il talento personale di qualcuno rimane impresso nei libri ma non è che un apporto passeggero al grande Ciclo della Memoria, la vera cultura creatrice rimane sempre popolare e anonima.

Glenmor diceva: “sei in debito con il passato per rispetto, con l’avvenire per inquietudine, con il presente per esistenza”. Glenmor, oggi considerato l’ultimo bardo-filosofo della Bretagna (ma altri lo considerano semplicemente come cantautore del risveglio o come poeta e scrittore), per arrivare a più orecchie possibile, si è molto espresso artisticamente, senza sentirsi un rinnegato, nella lingua francese che considerava quella degli “”usurpatori” del suolo armoricano. Questo nonostante fosse nato e cresciuto all’interno di una famiglia che parlava unicamente il bretone. Molti altri hanno fatto lo stesso in campo musicale, il più celebre è forse Gilles Servat ma d’altronde anche scrittori famosissimi come Yeats o Joyce hanno scritto in lingua anglosassone senza che nessuno mai si sognasse di chiamarli inglesi, anziché irlandesi.

La civiltà romana era storicamente di tipo verticale e gerarchica, quella celtica al contrario, orizzontale e le differenti tribù celtiche vivevano in modo autonomo, talvolta conflittuale ma senza sottostare in ogni caso ad alcun potere centrale.

Le reali autorità di coesione erano la lingua[1], il druidismo[2] e un sistema di logica che non riconosceva quello aristotelico-tolemaico di un universo geocentrico. I Celti rifiutavano di accettare il vero e il falso come elementi assoluti, il manicheismo e la morale del bene e del male o il peccato com’è inteso nel senso cristiano. Tendevano piuttosto al ragionamento analogico tipico dell’infanzia, facendo in questo modo appello costante all’immaginazione, all’accostamento tra situazioni anche distanti tra loro. Questo tipo di ragionamento sta alla base di ogni creatività umana, anche artistica e offre le molteplici possibilità di soluzioni non scontate che si possono incontrare quando si contrappone l’intuizione alla logica, la fantasia e l’irrazionalità al rigore. Un’altra caratteristica druidica era il carattere orale poiché per loro ogni pensiero trovava la morte nel momento in cui veniva fissato sulla carta, per cui il modo migliore di far vivere la tradizione era riattualizzarla ad ogni generazione con elementi nuovi. I Druidi potevano aver una ragion d’essere solamente all’interno della società celtica e non esistono certezze assolute su cosa fosse in realtà il druidismo di quelle genti.

Ma d’altronde, Omero è esistito? Probabilmente no e Iliade e Odissea non sono che vaste raccolte di memorie popolari. Shakespeare è esistito? Certamente si, come attore o impresario teatrale ma non ci sono prove inconfutabili che abbia scritto alcuna delle delle opere che oggi gli sono attribuite. Non si sa se avesse la cultura indispensabile per scriverle e in più in epoca Elisabettiana non era in uso neanche un sistema ortografico unificato.

Quello che si evince dalle storie e dalle canzoni è che il pensiero celtico rifiutava la dualità della persona umana in favore di una unità indissolubile tra anima e corpo, tra materiale e spirituale, il buono e il cattivo non rappresentavano che nozioni relative.

Anche i costumi risultavano assai liberi, nelle antiche epopee irlandesi le relazioni sessuali erano prive di catene, il giuramento di fedeltà si limitava alla vita comune e al sostegno ma il matrimonio in sé era considerato un mero contratto, utile solamente in quanto base dell’edificarsi di una cellula sociale. In effetti esisteva una certa ambiguità al suo interno poiché l’uomo poteva prendere una o più concubine, previo l’assenso della moglie, anche a loro spettavano compiti sia di collaborazione domestica che di educazione dei figli della coppia. Questo durava un anno, dopodiché poteva essere un rapporto interrotto o rinnovato per un altro anno, altrimenti avrebbero partecipato anch’esse alla proprietà dei beni della coppia. Pure alla moglie legittima era consentito avere degli amanti e il divorzio era contemplato se i coniugi si trovavano entrambi d’accordo, in quel caso ognuno avrebbe ripreso possesso dei propri beni, alla donna spettavano inoltre i mezzi adeguati per allevare l’eventuale prole. Il capofamiglia risultava essere semplicemente colui che possedeva più beni e in caso di parità, la direzione familiare doveva essere collegiale. Nessun’altra civiltà dell’epoca contemplava un ruolo così preponderante delle donne all’interno di un nucleo familiare, anche se va sottolineato che esse raramente si concedevano ad amanti, non per ragioni morali ma piuttosto di eugenetica. Infatti cercavano di evitare il rischio di alterazione della legittimità della loro discendenza e, da un punto di vista magico, anche di dare uno spirito diverso da quello del padre. In ogni caso nessun bambino veniva mai rifiutato da nessuna famiglia celtica.

Ci si sposava al di fuori della propria tribù di appartenenza ma non certo per timore degli incesti, come dimostra inequivocabilmente la celebre storia di Merlino e Viviana e tanta altra letteratura.

[1] Il gaelico nasce da una lingua madre indoeuropea (celtico comune) parlata nel III millennio a.C. dalle popolazioni in Europa e in Asia che si è differenziata man mano in seguito alle migrazioni e agli stanziamenti.
Celtico o gaelico? Precisa Riccardo Venturi “I due rami delle lingue celtiche, il ramo gaelico (o “goidelico”: irlandese, scozzese, mannese o manx) e quello britonico (gallese, bretone, cornico, o cornovagliese), sono ben distinti storicamente e linguisticamente. Una delle loro caratteristiche fonologiche più evidenti è l’eliminazione della labiale originaria indoeuropea [p] nel ramo gaelico. Nel ramo britonico, invece, la [p] originaria è conservata
https://terreceltiche.altervista.org/nazioni-celtiche-affini/#3

[2] Le funzioni del Druido sappiamo poi essere molteplici e non solo sacerdotali, giudice e consigliere del re ovvero del capo-clan e ambasciatore, anche all’occorrenza guerriero, era però fondamentalmente uno studioso-filosofo versato anche nella medicina, nella sua qualità di studioso fors’anche di “uomo medicina” in senso sciamanico, grande conoscitrore dei poteri curativi di erbe e piante, abile chirurgo e curatore delle malattie dell’anima. Era anche musico e sappiamo che molti rituali di preghiera o incantesimi si svolgevano con l’ausilio del canto e della danza. https://ontanomagico.altervista.org/druido.html

/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.