Nella Bretagna monastica sulle corde dell’Arpa

Ad inizio autunno ho conosciuto un’arpa celtica che voleva ripercorrere la propria storia nella Bretagna monastica. L’ho seguita e mi ha portato a Séglien, dove già nell’anno 871 c’era un’arcaica parrocchia gallo-romana chiamata di Silfiac.

Chapelle de Locmaria (Séglien) bretagna monastica
Bretagna monastica: Chapelle de Locmaria (Séglien)

Vicino al mulino di Pont Samuel, dove passa il fiume Sar che scende da Lescouët-Gouarec, ho incontrato dapprima fuoco, danza, cavalli, pettirossi e gabbiani. E poi un gran silenzio, a difesa delle radici contro l’iperconnessione delle migliaia di parole al giorno che attraversano i social.
Questa protezione delle radici permette di reggersi in piedi anche quando, come ora, c’è la siccità ovunque. Sono radici che tengono su un pianeta intero, sempre più disboscato. Un intero pianeta impaziente di raggiungere un futuro probabilmente già pianificato.

Bretagna monastica: La chapelle Saint-Ruelin du Moustoir
Bretagna monastica: Chapelle Saint-Ruelin du Moustoir
parrocchia di Châteauneuf-du-Faou

In quest’angolo di Morbihan, secondo la tradizione, sarebbe stato San Rivalain a dirigere i monaci, il che spiegherebbe le tracce che il suo nome ha lasciato nella toponomastica locale. Si tratta di uno dei tanti santi bretoni dell’antica Armorica.

Santi veri o inventati, dalla biografia pressoché sconosciuta e che mai sono stati riconosciuti dalla chiesa cattolica.
Discepolo di San Tugdual, immigrato qui verso il 540, proveniente dall’isola di Bretagna (l’attuale Gran Bretagna), avrebbe costruito nel VI° secolo un eremo, che venne poi trasformato in questo monastero, a Le Moustoir.

Non lontano incombono le paludi di Lann Benn Davad, al limitare del Pays Pourlet con la ricca piana di Cleguerec. Sono popolate di “gwir seblanchou”, praticamente fantasmi o comunque spaventosi personaggi acconciati con costumi e cappelli, che incontri se ti attardi nel buio della notte per strada. Questi tizi sono del tutto sordi alle grida d’aiuto e ai pianti di chiunque. Però chi attraversa questo silenzio, arriva facilmente alla poesia, alla musica, alla letteratura, alla natura, al teatro, alla scienza, alla psicoanalisi, alla linguistica, all’antropologia. E’ facile trovare il proprio ritmo quando non possiedi istruzioni, nella dimensione del territorio ignoto dell’ineffabile. Lontano dai discorsi urlati, aggressivi, ripetitivi e scontati, che consumano inutilmente le nostre giornate contemporanee.

Silenzio contro tempo perso.

Chi vi parla non è un fantasma della palude di Lann Benn Davan. E’ uno di quelli che insegue un’arpa celtica che voleva ripercorrere la propria storia nella Bretagna monastica, in un inizio di autunno della Terra.

bretagna monastica Abbazia di Relec
Bretagna monastica: Abbazia di Relec

Nell’Abbazia di Relec, sui Monts d’Arrée, antico luogo cistercense al crocicchio dei vescovati di Cornovaglia, Trégor e Leon, le arpe raccontano in maniera molto precisa i numerosi prodigi della Vergine del Releg.
Come quello del pellegrino originario di Gommanna che aveva ritrovato l’uso delle gambe. Lo si poteva incontrare accanto alla croce di Zalud nel villaggio di Kerneleg, con le sue stampelle in spalla. Stava portando un écu (scudo antico, moneta medioevale) alla Madonna.

Ma a questa gente bretone è riuscita l’impresa poco comune di chiudere a chiave la propria anima in una scatolina, che si può consultare a fronte di difficoltà di varia natura. Affermano con fierezza di non aver alcuna religione, ma ecco che sono tutti profondamente votati a quella delle anime, probabilmente più che i credenti comuni. Al punto che la devozione ha permesso loro di serrare la propria anima in una scatola.
In genere quando si ha bisogno del consiglio dell’anima bisogna molto pregare, e con profonda sincerità. Meditare nel silenzio e possedere una gran fede.
A loro basta aprire la scatolina, qualche volta anzi, è proprio l’anima che chiama il corpo, e se riescono a sentirla, si evitano disavventure, incidenti o peggio ancora.

L’unico inconveniente è il rischio di smarrire la scatola con l’anima. Se ne vedono di quelli ogni tanto, in giro con lo sguardo vuoto e perso che sembrano dei fantasmi, proprio come quelli che ho incontrato ieri alle paludi di Lann Benn Davad.

L’arpa bretone (telenn)

arpa bardica bretagna monastica

Amo incondizionatamente l’arpa, che qui chiamano “telenn”. Mi è stata di conforto mille volte e ultimamente ha interpretato per intero uno dei dischi che più amo “Songs of Love and Hate” di Leonard Cohen sotto le dita sapienti della mia amica Katie Curley.

L’arpa ha radici immerse nella notte del tempo andato della Bretagna monastica, E’ sempre stata ben custodita e protetta dalla società celtica, per le sue proprietà calmanti e unificanti.
Amata per il suo corpo scavato in un unico blocco di salice, per le sue corde di bronzo che possono restare in attesa anche per molto tempo delle tue unghie.
Amata per le sue perfette proporzioni geometriche che generano il suo suono profondo e cristallino, morbido e penetrante, capace di annullare le frontiere tra ciò che ci è prossimo e ciò che è lontano, senza che ne resti una seppur minima traccia nell’aria.

L’arpa, strumento dei druidi, accompagnava la liturgia della chiesa celtica dei primi secoli.

In quest’epoca sconvolta molti di noi hanno riprodotto con ammirevole maestrìa strumenti musicali medioevali, e hanno cercato i manoscritti dei primi monaci celti del VI° secolo. Hanno trascritto, copiato o mirabilmente interpretato i repertori in un Occidente che anela una spiritualità legittima. Quei primi monaci celtici sovente erano dei poeti eruditi, discendenti diretti dalla classe druidica, convinti della natura divina dell’uomo, in comunione con la natura. Padroneggiavano tutte le regole della poesia eroica che implementano rima, allitterazione, consonanza e rima interna e di cui troviamo esempi eloquenti nei gwerz orali della Bretagna.

I monasteri celtici, luoghi d’istruzione e apprendimento, brillarono in quella Europa lontana nei secoli, anche di fronte all’egemonia romana. L’arpa gaelica può portare un nome da regina, come la “Queen Mary” del XV° secolo, costruita proprio per essere destinata ad un monastero. Una delle tre più antiche superstiti (le altre sono la Lamont e quella di Brian Boru) e, se è fabbricata con le ossa e i capelli di una vittima, sa cantare da sola e rivelare a tutti, le verità tenute nascoste dagli assassini come quella di “Cruel Sister”.

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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