I rischi della professione: lo spinoso problema delle morti in mare ai tempi della vela

Funerale a bordo ai tempi della vela, le consuetudini e il servizio funebre in mare della Chiesa Anglicana

The sea is the largest cemetery, and its slumbers sleep without a monument. All other graveyards show symbols of distinction between great and small, rich and poor: but in the ocean cemetery, the king, the clown, the prince and the peasant are alike, undistinguishable.”

George Bruce, 1884 da: Wrecks and reminiscences of St.Andrews bay

FINIRE NEL DEPOSITO DI DAVY JONES

‘Davy Jones’ o più esattamente ‘Davy Jones Locker’. Chi fosse con precisione costui, non è certo. Tobias Smollet, in ‘The adventures of Peregrine Pikle’, scrisse nel 1751: “Questo Davy Jones, secondo la mitologia dei marinai, è il demonio a capo di tutti gli spiriti malvagi dell’abisso, e spesso si vede, in varie forme, appollaiato sul sartiame in occasione d’uragani, naufragi, ed altri disastri cui è esposta la vita di chi va per mare, mentre annuncia ai disgraziati, morte e sventura.“

Davy Jones nella saga Pirati dei Caraibi
Davy Jones nella saga cinematografica “I Pirati dei Caraibi”

I rischi della professione a volo d’uccello

Nei giorni dei velieri – dal quindicesimo secolo a tutto il diciannovesimo – le navi a vela percorsero gli oceani del mondo con sicurezza sempre crescente..
Tuttavia, anche dopo secoli di progressi nelle costruzioni navali e nelle tecniche di navigazione, il ritorno da un viaggio rimaneva una conclusione aleatoria, dal momento che nessuno scafo dipendente dal vento, poteva allontanarsi da terra senza rischi. Da questo punto di vista, quella del navigante era una professione estremamente incerta.

Genericamente parlando, il lavoro su una nave a vela era altamente specialistico e spesso pericoloso. La caduta da un albero normalmente si concludeva con la morte o una menomazione, e quando il marinaio cadeva fuori bordo spesso annegava, ma neppure erano esclusi incidenti minori. In definitiva, l’onnipresenza del rischio e della possibilità di un naufragio catastrofico, rendeva la morte una sgradevole e costante compagna del marinaio, almeno nella sua immaginazione. Sia che armasse una nave da guerra o un clipper del té, il marinaio difficilmente sfuggiva ai rischi della professione.

La gestione della “sgradevole compagna” di bordo

Dati gli stretti rapporti tra i marinai, è probabile che avrebbero voluto seppellire i corpi dei loro compagni con la massima cura; ciò nonostante, il trasferimento dei defunti a terra dall’alto mare, è stato raramente preso in considerazione. Difficoltà di conservazione a parte, era considerata una sfortuna avere un cadavere a bordo.

La morte, di conseguenza, aveva un enorme impatto sulla vita di una nave. Il rituale funebre rappresentava l’espressione collettiva dei sentimenti dei marinai verso la dipartita di uno di loro, in conseguenza dei legami condivisi tra gli uomini. Quando i rischi diventavano realtà, i sopravvissuti generalmente si liberavano del corpo in mare, non esistendo una vera alternativa (la refrigerazione o altri modi efficaci per conservare il corpo), senza citare le superstizioni che circondavano la presenza del cadavere a bordo e la possibile persecuzione del defunto. Egli, infatti, avrebbe potuto offendersi per un trattamento inaccurato, mentre l’equipaggio non poteva trattare il corpo del compagno alla stregua di un rifiuto. Di conseguenza, tra i marinai si diffuse un particolare servizio funebre, distinto da quello dalla sepoltura a terra. che rifletteva il peculiare contesto della vita di bordo. Il marinaio deceduto sarebbe stato avvolto e cucito in un sudario, appesantito, trasportato in una breve processione e quindi, dopo una concisa cerimonia, fatto scivolare fuori bordo.

In mare i marinai vivevano in stretta vicinanza, e formavano tra loro legami avulsi dai tradizionali condizionamenti della vita a terra, ed il costante pericolo già evocato in precedenza, non poteva mai essere molto lontano dai loro pensieri. Sviluppato in questo contesto, l’affidamento del corpo al mare evidenziava le superstizioni ed i vincoli emozionali degli uomini e le loro esigenze sia di onorare i compagni defunti che di proteggersi dai loro spiriti.

L’affidamento al mare: un rituale non sempre adeguato con implicazioni etico-religiose.

Lo smaltimento del cadavere in mare contrastava molto con le tradizioni del Cristianesimo. Per centinaia di anni si era creduto che alla fine dei tempi, i cristiani sarebbero risorti dalle loro tombe, in corpi integri ed incorrotti, per affrontare il giudizio di Dio e, qualora fosse mancato il corpo, tutto questo sarebbe diventato un problema. Per tali ragioni il cristianesimo giudicava la cremazione, lo smembramento e la sepoltura in terra non consacrata pratiche da evitare a tutti i costi, in quanto tali attività avrebbero letteralmente impedito ai morti di risorgere e presentarsi a Dio (tuba mirum spargens sonum…..coget omnes ante thronum; Messale Romano – Dies irae).
Per questo motivo, le nazioni cattoliche, in particolare Francia e Spagna, abitualmente non praticavano la sepoltura in mare. Invece, quando possibile, le navi di queste nazioni temporaneamente interravano i membri deceduti dell’equipaggio nella zavorra, di solito una notevole quantità di sabbia o ghiaia, imbarcata nella sentina, ai fini della stabilità. Sicuramente era una pratica malsana, forse mitigata dal fatto che la zona era di solito piuttosto soggetta all’acqua di mare, che avrebbe potuto – in parte – consentire la conservazione dei cadaveri; quando la nave sarebbe tornata in porto, si sarebbero spediti i resti a casa per la sepoltura definitiva.

Il servizio funebre in mare della Chiesa Anglicana

L’Inghilterra che, nel 1534 era entrata in contrasto con la Chiesa Cattolica, dovette creare nuove procedure adatte ad una nazione determinata a diventare una grande potenza marittima All’uopo, la Chiesa Anglicana iniziò a sviluppare un servizio per seppellire i morti in mare, che fosse considerato altrettanto valido di una sepoltura a terra, almeno per accedere al Regno dei Cieli.
A tal fine poteva risultare utile la pratica di ricorrere alla stessa cerimonia dell’Ufficio funebre celebrato a terra ma, in sostituzione della formula di interramento (Sentence of Committal), il ministro del culto avrebbe usato la seguente:
A Dio Onnipotente raccomandiamo l’anima del nostro fratello defunta, e affidiamo il suo corpo agli abissi nella certezza della Resurrezione alla vita eterna, per i meriti di nostro Signore Gesù Cristo a cui, quando egli verrà nella gloria per giudicare il mondo, il mare restituirà il suo morto; e i corpi corruttibili di coloro che dormono in esso, saranno mutati a similitudine del suo corpo glorioso, per mezzo della potenza con cui è in grado di sottomettere alla propria volontà tutte le cose.

Questa immagine, che i cadaveri di coloro che erano stati sepolti in mare fossero, in qualche modo incorruttibili e che sarebbero tutti risorti il giorno del giudizio, doveva essere di grande conforto per coloro che avevano perso i propri cari in mare, così come per coloro che avrebbero affrontato i suoi pericoli.

Il rituale per la sepoltura dei morti, richiedeva che la nave si arrestasse temporaneamente e tutti, a bordo, si rassettassero e indossassero i loro abiti migliori. Il corpo sarebbe stato preparato lavandolo, rivestendolo, e cucendolo all’interno di un robusto ferzo di tela da vele, che avrebbe funzionato da bara. Grande attenzione, veniva prestata alla realizzazione di un involto che non fosse facile preda delle creature marine. Il corpo era inoltre appesantito, di solito con due palle di cannone incorporate nella tela ai piedi del cadavere. Il ministro del culto, se disponibile, o il capitano della nave in sua vece, avrebbe officiato la cerimonia. Infine, il corpo sarebbe stato fatto tranquillamente scivolare in mare.

Funerale a bordo illustrato da P J Linch
Funerale a bordo illustrato da P J Linch

Le Eccezioni di un funerale a bordo

Naturalmente, simili cerimonie non sempre erano possibili. Le tempeste avrebbero potuto uccidere gli uomini, e spesso, prendere i loro corpi. Gli uomini sarebbero potuti morire in battaglia, e abitualmente sarebbero stati semplicemente gettati in mare nel tentativo di mantenere il ponte sgombro per l’azione.

I mercantili, tuttavia, costituivano spesso un’eccezione a tutto questo. I loro capitani non arrestavano volentieri la propria nave, dal momento che così facendo avrebbero perso tempo e quindi danaro. Per tali navi, inoltre, non esistevano, per queste cerimonie, direttive quali quelle tradizionali della Marina. Così, a volte, i marinai morti in mare sono stati semplicemente scaricati fuori bordo, e questo indusse tra gli uomini atteggiamenti ribellistici, talvolta sfociati in incidenti e in successive cause giudiziarie contro i capitani. In effetti, la promessa di una “sepoltura adeguata” era solo un incentivo al reclutamento. Non disponendo di autorità a cui fare riferimento, i marinai inventarono un proprio modo di onorare i morti.

Funerale a bordo: Onorare i defunti mediante l’aiuto ai superstiti.

Dopo essersi liberati (in qualsivoglia modo) del corpo, si sarebbe tenuta una breve riunione dell’equipaggio ai piedi dall’albero maestro, in cui i colleghi del defunto avrebbero messo all’asta i suoi beni. Questo che potrebbe sembrare un procedimento inutile, in quanto gli effetti personali di un semplice marinaio non valevano praticamente nulla, aveva tuttavia uno scopo preciso. Se il defunto avesse avuto a carico dei famigliari, non era conveniente spedire loro le poche cose di sua proprietà; se poi in vita, con il guadagno del proprio lavoro, il marinaio avesse mantenuto moglie e figli o genitori anziani, la perdita di quel reddito sarebbe stata, per loro, un colpo durissimo. Pertanto l’asta, che si sarebbe tenuta in ogni caso, avrebbe fornito ai marinai l’occasione di onorare i compagni provvedendo alla loro famiglia, facendo offerte molto più elevate dell’effettivo valore dei pochi semplici oggetti (a volte solo un coltello, una camicia di ricambio e pochi ninnoli) lasciati dai loro amici. Sostenendo che quel denaro era il risultato di un’asta, risparmiavano ai superstiti la vergogna di accettare la carità.

I rari marinai abbienti, (ma, in particolare i pirati), erano famosi per indossare un orecchino d’oro. L’orecchino avrebbe dovuto essere tolto e utilizzato per le spese di sepoltura, se il proprietario fosse morto solo e lontano da casa. Si trattava, in altre parole, di una sorta di pagamento anticipato. Ci si potrebbe chiedere perché tale desiderio avrebbe dovuto essere rispettato e perché non si rubasse l’orecchino lasciando il corpo a decomporsi. La risposta è semplice: qualsiasi marinaio sapeva che lui stesso, un giorno, avrebbe potuto trovarsi nell’analoga situazione.

Funerale a bordo: testimonianze dirette

Da fonti di diversa natura e provenienza

Britannia need no bulwarks
No towers along the steep
Her (Our) march is o’er the mountain-waves
Her home (Our rest) is on the deep.

The Kelly Girls

La Gran Bretagna non ha bisogno di baluardi
Né di torri lungo le alture
Il suo cammino è sulle montagne ondose
La sua casa è negli abissi.

Dall’ode di Thomas Campbell (1777–1844): “Ye Mariners of England”, dai marinai bitannici orgogliosamente modificati sostituendo le parole “her march” con: “our march” e “her home” con ”our rest” (il nostro riposo)


Sir Francis Drake, il corsaro e navigatore dell’epoca elisabettiana, morì in mare nel 1596. Il suo corpo, rivestito dall’armatura completa, fu deposto in una bara di piombo, e sepolto in mare nell’Oceano Pacifico, si dice, al largo della costa di Portobello (Panama). (Dalla Tradizione)

funerale in mare di Sir Francis Drake
Funerale in mare di Sir Francis Drake

Dalla Testimonianza del Chirurgo Capo del Victory dott. Beatty alla battaglia di Trafalgar, riportata da N.H. Nicolas: The dispatches and letters of Lord Nelson vol. VII – “The narrative of the death of Lord Nelson”:
“ L’Ammiraglio, accorgendosi che gli restava poco da vivere, rivolto al proprio comandante di bandiera ed amico Captain Masterman Hardy: He then told to the Captain Hardy, – he felt that in a few minutes he should be no more – adding in a low tone, ”Don’t throw me overboard, Hardy”. The Captain answered: “Oh! no, certainly not”.


Scheda di approfondimento in Terre Celtiche Blog: A dying sailor to his shipmates (Un marinaio morente ai propri compagni)

A dying sailor to his shipmates: Canzone registrata nel 1956 da Paul Clayton che, nelle note di copertina del suo album, asserisce di averla trovata nel Giornale di bordo della baleniera Lucy Ann di New Bedford, relativo ad un viaggio a balene del 1837 – 39

Avvolgetemi nella mia bandiera (1)
e affidatemi al freddo mare azzurro,
che lo strepito delle onde sia il mio requiem solenne,
e io dormirò un sonno sereno,
mentre le tempeste quassù terranno le loro veglie.
Il mio capitano, impavido, leggerà per me
l’ufficio funebre nel silenzio assorto
e poi verrò calato tra le onde;
quando tutte le preghiere saranno finite
troverò la mia casa eterna tra i marosi e la spuma.
Addio amici miei, dunque vi lascio,
abbiamo navigato insieme sugli oceani,
venite, stringiamoci le mani: io non navigherò più,
ma voi rimarrete ancora a lavorare al mio posto;
io sono diretto altrove, il mio cammino l’ho percorso
mi avvicino al porto, il viaggio è finito.

(1) Intende “la bandiera del mio paese “ [i.e. la nazione cui appartiene il marinaio]


Sailor’s grave

canzone del mare composta da Eliza Cook (testo) e John C. Baker (musica) nel 1845.

OUR BARK was out—far, far from land,
When the fairest of our gallant band
Grew sadly pale, and waned away
Like the twilight of an autumn day.
We watched him through long hours of pain;
But our cares were lost, our hopes were vain;
Death brought for him no coward alarm,
For he smiled as he died on a messmate’s arm.

He had no costly winding sheet,
But we placed a round shot at his feet;
And he slept in his hammock as safe and sound
As a king in his lawn shroud, marble-bound.
We proudly decked his funeral vest
With the English flag upon his breast:
We gave him that as the badge of the brave,
And then he was fit for his sailor’s grave.

Our voices broke—our hearts turned weak—
Hot tears were seen on the brownest cheek—
And a quiver played on the lips of pride,
As we lowered him down the ship’s dark side.
A plunge—a splash—and our task was o’er;
The billows rolled as they rolled before;
But many a rude prayer hallowed the wave
That closed above the sailor’s grave.

Scheda di approfondimento in Terre Celtiche Blog: Sailor’s Grave


Un funerale a bordo della HMS Macedonian 1812

Estratto delle memorie di Samuel Leeche, marinaio della Royal Navy A Voice From the Main Deck “. Il fatto è riferito allo scontro tra la HMS Macedonian e la USS United States durante la guerra 1812

“Con poche eccezioni, i feriti dovevano necessariamente essere ricoverati al nostro arrivo a Newport. L’ultimo tra loro a morire a bordo a causa delle ferite fu sepolto [in mare] prima di arrivarci. Si chiamava Thomas Whittaker, era stato gravemente ferito dalle schegge, e le sofferenze, prima della fine, lo avevano fatto impazzire. Venne cucito nella sua branda, dagli uomini del suo rancio, e trasportato su un carabottino, al portello del passavanti prodiero di sinistra, Qui, Mr. Archer, un guardiamarina del Macedonian, lesse il bel servizio funebre della Chiesa Anglicana. Quando giunse alla toccante frase: “noi affidiamo il corpo del nostro fratello agli abissi”, il carabottino fu alzato e, in un profondo silenzio, il corpo cadde pesantemente un mare. Quando scese nel profondo, un singhiozzo sfuggi dal petto di molti, e un atteggiamento di malinconica tristezza comparve sui volti. Allora furono richiamati vecchi ricordi, ma solo per un momento; gli uomini terse le lacrime, borbottarono: “Non è il caso di affliggersi”, e tutto riprese ancora una volta l’aspetto di sempre”.

Funerale a bordo. Il Comandante legge l'Ufficio funebre
Master and Commander: The Far Side of the World (2003)
Funerale a bordo. Il Comandante legge l’Ufficio funebre

Preparativi per l’affidamento al mare: La nave prenderà la panna mettendo a collo alcune vele, in modo che rimanga temporaneamente quasi immobile. I contro saranno imbroncati, in segno di lutto. (1) Il corpo, appesantito con due palle di cannone ai piedi, per assicurarne l’affondamento, sarà cucito nella propria branda a partire dal basso, in modo che l’ultimo punto sia passato attraverso il naso, al fine di verificarne l’effettivo decesso. Così composto, il corpo verrà deposto su un tavolo da rancio e coperto con la Red Ensign.(2) A seconda della configurazione dei vari tipi di nave, l’equipaggio verrà poi radunato sul ponte per assistere al servizio funebre, al comando del Nostromo. Le preghiere da utilizzare in mare saranno quelle dell’Anglican Book of Common Prayers del 1662.

NOTE
(1) Disponendo i pennoni in posizioni differenti tra loro sui diversi alberi, filando un amantiglio e alando l’altro, in modo che, si presentino come disposti a “X”.
(2) La Red Ensign o “Red Dust “ (Straccio rosso ) è una bandiera  di colore rosso con l’Union Jack nel cantone, in uso come vessillo principale della Royal Navy fino al 1856. In seguito, fino ad oggi, venne alzata sulle navi mercantili e lusorie del Regno Unito.

Dal Diario di Charles Abbey, marinaio diciottenne.

Charles Abbey a 18 anni
Charles Abbey

Tratto da: H. A. Gosnell ”Before the mast in the Clippers The diary of Charles A. Abbey 1856-1860”. Nato a New York il 28 aprile 1841, dopo aver frequentato per due anni un’Accademia Militare, si ritirò per seguire la propria passione. fare il marinaio. A 14 anni imbarcò sul clipper Surprise e, in seguito, sull’Intrepid per un totale di quattro anni.

Interramento nella zavorra

23 marzo 1859
Imbarcato sulla Nave INTREPID, Capitano Gardner. ancorata nella Baia di S. Francisco e diretta a New York.
Lunedì 4 aprile 1859
……..omissis……..
Questa mattina cominciammo a passare la coperta alla pietra, quando il Capitano mandò a dire di smettere, perchè facevamo eccessivo rumore disturbando sua sorella che era a bordo malata. Che bello [smettere di lavorare, naturalmente], anche perché il mare si stava alzando sempre di più.
Mercoledì 11 maggio 1859
Doppiato l’Horn ad un’ora imprecisata della notte.
……..omissis……….
Il Capitano Gardner ha a bordo la sorella con otto bambini. La signora B. è molto malata e infatti era venuta a bordo nella speranza di riprendersi ma nell’ultima settimana ci eravamo attesi di sentire [la notizia] della sua morte. Il capitano ed il “primo” sono totalmente impegnati con lei, dato che a bordo non vi è nessuna donna per assisterla. .di conseguenza la guardie sono svolte dal “primo” e dal carpentiere.
Sabato 14 maggio 1859
La Sigora Babcock, sorella del Capitano, è morta a mezzanotte proprio mentre la campana batteva otto. Era da tempo che ce lo aspettavamo e si conseguenza non ci stupimmo.
Domenica 15 maggio 1859
Il carpentiere era al lavoro per preparare una bara mentre gli uomini erano impegnati a incatramare tela e simili perché il capitano pensa di preservarne il corpo..
Lunedì 25 maggio 1859 Lat. 33* 58′ Long. 31° 30′
Da 60 giorni in mare e da due mesi a bordo.
Avendo avuto tempo molto brutto per tutta la scorsa settimana non ho scritto nulla come faccio di solito. Per rimediare dirò che siamo rimasti sulla stessa rotta per quasi tutto il tempo..
La signora B. venne avvolta in lenzuola impermeabilizzate e posta in una bara incatramata dipinta con la biacca e rivestita di fogli di rame; fu quindi posta in un’altra cassa e interrata nella zavorra della sentina. [In precedenza avevamo] presi i terzaroli e serrata la velatura, poi mollata e rimesso tutto in ordine, ma essendo diretti a casa, [alla Signora] non pensammo più.

Cerimonia funebre a bordo

Domenica 28 ottobre 1860 Lat. 17° 27′ N Long. 56° 17′ W
Walter, il mio unico compagno di bordo dell’Intrepid rimastomi, è morto lo scorso mercoledì pomeriggio ed è stato sepolto immediatamente dopo, causandomi grande mortificazione. Questa cosa [l’essergli stato compagno di bordo], infatti, aveva alleviato la sua pena nelle ultime ventiquattro ore. Charley e Ned lo cucirono in una tela da vele insieme con una vecchia testa d’argano (che si era fracassata il giorno che imbarcai a Singapore) per appesantirlo. Il poverino non chiedeva molto per andare a fondo, non avendo mangiato nulla per tre settimane, era a stento pelle e ossa. Io mi trovavo con lui a mezzogiorno e tentava di dirmi qualcosa ma la stanchezza e l’approssimarsi della morte resero il discorso inarticolato. Non lo ricordo se non prossimo alla morte, non aspettandomi che sopravvivesse per altre dodici ore. John Butcher mi sostituì e io tornai al lavoro. (Stava delirando così era inutile che restassi con lui). Mi trovavo in coffa di maestra e circa quindici minuti dopo, guardando in coperta, vidi mentre lo stavano trasportando all’esterno. Quando egli [Butcher] si voltò scorsi un inizio di mortificazione attraverso la pelle del suo volto; quando tutto fu pronto e lui [il morto] era sistemato sulla plancetta.. il Capitano Myhew lesse un capitolo dell’Ecclesiastico, e recitò una preghiera. La plancetta venne sollevata agevolando lo scivolamento del corpo ed il povero Walter piombò nel profondo, che subito si richiuse su di lui. La nave passò oltre e tutte le tracce del suo passaggio sulla Terra furono perdute.(1) Egli mi diede le sue lettere da inviare a casa nel caso avesse dovuto morire e mi autorizzò a prelevare tutte le sue cose che desideravo, ma furono poche perché egli si comportava come se vivesse su un relitto [da abbandonare in ogni istante], e in ogni caso, non si trattò di uno straordinario acquisto.

NOTA
(1) Sebbene sia probabile che il Capitano abbia preso nota del fatto sul Giornale, segnando latitudine e longitudine.

Il ventenne Richard Dana, su un marinaio perso in mare dal brigantino Pilgrim

Richard H. Dana nel 1842, all’età di ventotto anni. (Wikipedia)

Tratto da: Richard H. Dana “Two years before the mast 1834.1836”. Nato a Cambridge Mass. il 1 agosto 1815, da una famiglia di eminenti uomini di legge, Nonostante la sua profonda passione per il mare, nel 1831, il giovane Richard si iscrisse all’Università di Harvard, All’inizio del terzo anno, un attacco di morbillo gli provocò un indebolimento della vista tale da non consentirgli la prosecuzione degli studi; stanco della lunga convalescenza, spinto dalla sua antica passione, decise di intraprendere un avventuroso viaggio per mare, sperando in una più rapida guarigione. Scegliendo un imbarco come marinaio sul brigantino Pilgrim, diretto, via Capo Horn, sulle coste della California. Tornato dal viaggio integro nel fisico, riprese gli studi ad Harvard riuscendo a laurearsi, nel 1837, con gli studenti del proprio corso. Divenne un avvocato di grido e un politico di prestigio., Morì di polmonite, mentre si trovava a Roma, nel 1882, e per suo espresso desiderio, fu sepolto nel cimitero acattolico detto degli Inglesi, a Testaccio. (vds. ”Dana e il suo Capitano“ in Riv. Marittima maggio 2007 e giugno 2007)

Un caso di perdita in mare

Lunedì, 17 novembre [1834]. Alle sette del mattino, fummo svegliati dal grido “All hands ahoy! a man overboard!”. Balzando in coperta vedemmo che la nave aveva le vele a collo, con quelle di caccia ancora arriva. Il mozzo che era al timone, per poter correre a gettare qualcosa fuori bordo, era stato rilevato dal maestro d’ascia che era un vecchio marinaio. Costui, constatando che il vento era leggero, aveva messo il timone sotto ed aveva fatto prendere a collo. La guardia stava mettendo a mare la barca dell’anca, ed io giunsi in coperta appena in tempo per saltarvi dentro mentre la stavano ammainando.
Si trattava di George Ballamer, il giovane marinaio inglese, di cui ho parlato in precedenza come l’animatore dell’equipaggio. Stava salendo arriva per incappellare uno sbirro in testa dell’albero di gabbia, per la drizza del coltellaccio di randa, ed aveva lo sbirro, un bozzello, il rotolo della drizza, ed un impiombatoio appesi al collo. Cadde dalle sartie di rovescio di dritta e, non sapendo nuotare ed essendo molto appesantito da tutte quelle cose appese al collo, probabilmente affondò all’istante. Rimanemmo in zona per circa un’ora, senza alcuna idea su che cosa fare, ma senza riuscire a decidere di arrenderci. Infine dirigemmo la prora della barca sul brigantino e tornammo a bordo.
(Il presente passaggio è stato alleggerito, rispetto all’originale, di alcune considerazioni non indispensabili ai fini della narrazione)

La solennità della morte in mare

La morte è sempre solenne, ma mai quanto in mare. Un uomo muore a terra; il corpo rimane ai suoi amici, che ‘si aggireranno per le strade piangenti’.(1) Ma quando un uomo cade fuori bordo in mare ed è perduto, c’è nell’evento una tale subitaneità, una difficoltà di rendersene conto, che dà all’evento stesso un’aria di solenne mistero. Un uomo muore a terra, si può seguire il suo corpo fino alla tomba, ed una lapide resta ad indicarne la posizione. Spesso si è preparati all’avvenimento. C’è sempre qualcosa che aiuta a capirlo quando avviene, ed a rievocarlo quando è accaduto. Un uomo è colpito al vostro fianco in battaglia, ed il suo corpo straziato rimane un oggetto, una prova reale. Invece in mare, l’uomo è vicino a voi, – al vostro fianco, – udite la sua voce, ed in un momento è andato. Nulla, oltre un vuoto, testimonia della sua perdita. In mare, inoltre, – per usare un modo di dire semplice ma espressivo, – un uomo “si perde” del tutto. Una dozzina di persone è chiusa insieme su una piccola, piccola imbarcazione sul grande, grande mare. Per mesi e mesi, essi vedono solo le loro figure e odono soltanto le proprie voci. Improvvisamente uno di loro è strappato via, ed essi lo perdono sotto ogni aspetto. E’ come perdere un arto. Non ci sono nuove facce o nuove scene per sostituire la perdita. C’è sempre la cuccetta vuota nel locale del castello, ed un uomo che manca quando è chiamata l’esigua guardia della notte. C’è uno in meno nel turno al timone, ed uno in meno a darsi da fare con te sul pennone. Sei privato della sua figura e del suono della sua voce, cose che l’abitudine ti ha reso quasi necessarie, e ciascuno dei tuoi sensi percepisce la perdita.
Tutte queste cose rendono tale morte particolarmente solenne, ed il suo effetto pesa per un certo tempo sugli uomini. Gli ufficiali si mostrano più gentili con l’equipaggio, e lo stesso accade tra l’equipaggio, l’uno nei confronti l’altro. C’è maggiore calma e serietà. Le imprecazioni e le grasse risate sono finite. Gli ufficiali sono più guardinghi, e gli uomini vanno a riva con maggiore cautela. Il marinaio perso è talvolta nominato, o accomiatato con un rude elogio da marinaio – “Dunque il povero George se n’è andato! La sua crociera è finita troppo presto! Conosceva il mestiere, faceva bene il suo lavoro, ed era un ottimo compagno.” Abitualmente, allora, seguivano alcune allusioni ad un altro mondo. I marinai sono quasi tutti credenti, a modo loro, benché abbiano nozioni ed opinioni incerte e non impegnative. Essi dicono, “Dio non potrà essere severo con il povero ragazzo.” Talvolta buttano lì una frase comune, che sembra suggerire che le sofferenze ed il duro trattamento subiti in questo mondo, debbano essere trasferiti, a loro credito, nel libro del Grande Capitano, nell’altro. “Lavorare duramente, vivere duramente, morire duramente, ed andare all’inferno dopo tutto ciò, sarebbe davvero troppo!” Malgrado ciò, quando va bene, la vita di un marinaio è soltanto una miscela di poco di buono e molto di malvagio, con poco piacere e molta pena. Il bello è strettamente connesso al rivoltante, il sublime al comune, il solenne all’assurdo.

L’asta degli effetti personali del defunto

Le leggi che regolano la navigazione, rendono responsabile il capitano degli effetti personali di un marinaio morto durante il viaggio. E’ in base alla legge ed alla tradizione, entrambe confermate dall’opportunità, che il capitano deve subito fare un’asta delle proprietà del morto. Acquistate dai marinai, le somme offerte saranno dedotte dalla paga di ciascuno al termine del viaggio. In questo modo, si evitano le difficoltà ed i rischi che comporterebbe la loro conservazione per tutto il viaggio, mentre gli abiti sono normalmente venduti per somme maggiori di quelle realizzabili a terra. Conseguentemente, messa la nave con il vento in poppa, portato il suo sacco da marinaio sul castello, si cominciò la vendita. Le giacche ed i pantaloni che gli vedemmo indosso tanto di recente, furono esposti e venduti all’asta, appena la vita aveva lasciato il suo corpo. Il suo baule fu portato a poppa ed usato come contenitore, così che non rimase nulla che si potesse ancora dire “suo”. I marinai hanno ritrosia ad indossare i panni di un compagno morto, durante lo stesso viaggio, e lo fanno raramente, a meno di casi di assoluto bisogno. Come è d’uso dopo una morte, si raccontarono molte storie su George. Alcuni dicevano di averlo udito rammaricarsi di non avere mai imparato a nuotare, e che sapeva che sarebbe morto se fosse caduto in mare. Un altro garantì che egli aveva sempre saputo che un viaggio, compiuto contro la propria volontà, non gli avrebbe portato niente di buono. L’uomo deceduto, infatti, sembra che, in un primo tempo, si fosse arruolato ed avesse speso l’anticipo ricevuto. In seguito, non essendo stato in grado di restituirlo, pur se restio ad intraprendere il viaggio, fu costretto a partire con noi. Un mozzo, che gli era molto affezionato, riferì anche che George, la notte precedente, durante buona parte della guardia, gli aveva parlato della madre e della famiglia in patria. Si trattava della prima volta, dall’inizio del viaggio, che egli aveva accennato all’argomento.

NOTE
(1) Ecclesiaste XII,5

SIC VOS NON VOBIS

Così voi, ma non per voi’: tratto da alcuni esametri composti da Virgilio, che esprimono la delusione di chi constata che altri, e non lui, ha ricavato vantaggi dal proprio lavoro. L’epigramma, per intero, è:

Hos ego versiculos feci, tulit alter honores:
sic vos non vobis nidificatis aves;
sic vos non vobis vellera fertis oves;
sic vos non vobis mellificatis apes;
sic vos non vobis fertis aratra boves.

Feci questi versucci, ma altri s’ebbe gli onori:
così voi, ma non per voi, fate il nido, o uccelli;
così voi, ma non per voi, portate il vello, o pecore;
così voi, ma non per voi, fate il miele o api;
così voi, ma non per voi, tirate l’aratro, o buoi.

Fonti delle Illustrazioni
https://artuk.org/discover/artists/brangwyn-frank-18671956
http://www.pjlynchgallery.com/book-illustration/burial-at-sea/
https://thetudorials.com/2020/02/04/january-28th-1596-francis-drake-is-thrown-overboard/

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Pubblicato da Italo Ottonello

Contrammiraglio in congedo assoluto. Cultore delle tradizioni marinare e della vita di mare all’epoca della vela, in particolare nella Marina britannica ai tempi di Nelson. Collabora con la Rivista Marittima dal 1985.

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