Maripol: Donna di sabbia e acqua

Maripol (all’anagrafe Marie-Paul Graffard, dal nome del marito chitarrista, che sempre resterà al suo fianco) iniziò a cantare nel luglio del 1969.

“Il vento vomita serpenti di luna nei campi di varech, sulle rocce ruvide, gli uccelli addormentati intaccano la falesia, là dove il fiore di rovo non protegge che la pietra, è la notte nel paese del mare…”

Maripol

Fu l’incontro con Glenmor a determinare la sua presa di coscienza. Nel luglio del 1969, vicino alla spiaggia di Val-André dove si trova la celebre roccia di Verdelet, bagnata da un’acqua fin troppo blu, una sabbia fine, il porto di Piégu e sotto lo sguardo di Notre-Dame, Maripol iniziò a cantare, accompagnata dalle corde di Bernard Benoit, la sua Bretagna e il Mare.

Non aveva all’epoca una conoscenza cosciente della materia bretone e celtica, era solo una questione d’istinto e immaginazione.
La sua voce e i temi trattati le imposero di vivere in un infra-umano dimenticato e in un ultra-umano desiderato. Le sue correnti oniriche le restituirono semplicemente radici e antenne (“…quelli che si nascondono sotto queste maschere d’ombra sono forse visi di uomini, visi dimenticati”).

I temi delle sue canzoni furono la Bretagna di ieri e la sua mitologia marittima e la Bretagna di oggi con le sue difficoltà, l’emigrazione verso le grandi città e soprattutto verso la metropoli parigina (“E’ venuto il tempo di vivere, rompere i muri delle nostre prigioni, impigliare le nostre vite alle ramature delle nostre case”). Il suo canto si levò, senza particolari fioriture, nonostante ciò la sua presenza sulla scena bretone fu formidabile.
Un vero bardo al femminile, sempre vestita in nero, come anche il romanticismo dell’epoca imponeva, i piedi ben radicati per terra, il viso teso verso il punto d’incontro tra cielo e mare, le braccia aperte in un largo gesto di richiamo incantatorio. Prese posizione nel mondo sociale e perfino le curatissime copertine dei suoi dischi parleranno per lei. Aveva solo 24 anni a pensarci bene ma divenne immediatamente La Passionaria di quel rinnovamento culturale. Per la sua canzone Mère Noire ricevette i complimenti anche di Juliette Gréco, altra passionaria che prima di diventare la musa degli esistenzialisti parigini, a soli 15 anni era stata tenuta prigioniera dei nazisti per dieci giorni.

Nella bellezza del linguaggio della Natura cercò di interpretare gli elementi, la fecondità dell’essere e le rivelazioni dell’esistenza. Quando viene notte sul mare, nel grido di un’estasi talvolta dolorosa, nelle carezze violente delle onde alle rocce, l’Ankou della Bretagna marca le passioni, i sogni e le angosce. L’assoluto rinnova attraverso il vento della landa, il suo viaggio fondamentale.
Per i bretoni il mondo è un cimitero e nelle canzoni di Maripol si ritrovano notti senza stelle, radici in una terra incolta, il suicidio spirituale e culturale nelle officine o nella vana attesa delle donne di un ritorno dal mare. C’è nelle sue parole un bilanciamento permanente tra la certezza e la speranza. (“Ho visto dei re cambiarsi in pietra per parare le ustioni del vento. Ho visto il mondo degli spazi perduti. Ho trovato che il nostro era ben piccolo.”)

L’heritiere de Keroulaz in Chante sa Bretagne et la mer, 1969

Ar benn-hêrez a Geroulaz
E devoa eunn diduel vraz
Enn eur c’hoari diouz ann dizez
Gant bugale ann aotrounez.

Evid ar bloaz n’e deuz ket gret
Rag he danvez na aotre ket;
Emzivadez eo aberz tad:
Grad-vad he c’herent a vez mad.

Va holl gerent a du va zad
N’ho deuz biskoazh karet va mad,
Nemed c’hoantet va maro,
Da gavoud war-lerc’h va mado”

L’héritière de Kéroulaz
Etait éprise de Kerthomaz
Mais à ce jour et malgré elle
On l’a donnée au marquise de Mesle.

L’héritière de Kéroulaz
Séparée de Kerthomaz
Vient de mourir au petit jour
Vient de mourir de mourir d’amour,

Ar benn-hêrez a Geroulaz
E devoa eunn diduel vraz
Enn eur c’hoari diouz ann dizez
Gant bugale ann aotrounez.

L’ereditiera di Keroulaz
aveva ben piacere
a giocare a dadi
con i bambini dei signori

Quest’anno non ha giocato per niente
perché i suoi beni non glielo permettono
lei è orfana da parte di padre
serve il consenso dei genitori

Nessuno dei miei parenti da parte di padre
mi ha mai voluto bene
hanno sempre augurato la mia morte
per ereditare così la mia fortuna

L’ereditiera di Keroulaz
era innamorata di Kerthomaz
ma a tutt’oggi e malgrado lei
l’hanno data al Marchese di Mesle

L’ereditiera di Keroulaz
separata da Kerthomaz
è morta al mattino
è morta d’amore

L’ereditiera di Keroulaz
aveva ben piacere
a giocare a dadi
con i bambini dei signori

NOTA DEL TRADUTTORE: le prime tre strofe sono direttamente prese dal Barzaz Breizh, la sesta ripete la prima, la quarta e la quinta (in francese) dovrebbero essere un originale riassunto sommario delle altre 41 che narrano la vicenda. Va da sé che la narrazione è assolutamente monca, priva di personaggi e avvenimenti.
Si rimanda quindi più che volentieri e doverosamente alle ulteriori
NOTE:
http://chrsouchon.free.fr/pennhere.htm
http://chrsouchon.free.fr/pennherf.htm

Maripol
Maripol

La sua è una scrittura spontanea, intuitiva, veloce, in risposta al naufragio dell’esistenza quotidiana, fatta di parole che cercano di trasfigurarla in una visione mistica delle cose. Quello di Maripol è il combattimento per raggiungere la luce di una creazione di elementi necessari ad una esplosione vitale. Le sue liriche tendono a privilegiare la comunione possibile con un mondo di sogno e di fantasmi elementari, nel tentativo di raggiungere finalmente le rive di una chiarezza interiore (“….che tristezza inventata per saccheggiare il riso di bambini che non si divertono più a sciogliere i sortilegi dell’amore vincitore, eppure una fiamma brilla nella mia coscienza, una fiamma brilla nella vostra coscienza, per dirci che è oggi che si generano i nostri domani, dove ciascuno sarà ciò che avrà donato”).

La sua poetica domanda all’espressione umana di spingersi ancora più lontano, di rientrare nella storia di Bretagna come nel ventre materno, per ritrovare origini e identità, trattenendo un passato che non va dimenticato. Visionaria nel suo bardismo contemporaneo, chiede all’Amore di sconvolgere e alla Natura di conservare ciò che nel ventesimo secolo sembra essere sul punto di venir abbandonato e dimenticato. Anche al di là delle libertà, verso piuttosto una saggezza nel cuore della follia dell’oggi. Percorso all’epoca reso ancora più arduo da una certa misoginia nei confronti di una “bardessa”. Ma la sua allegoria profetica bene fu accolta dalla potenza mistica che dimorava sonnecchiosa in questa mitologia, all’epoca del risveglio culturale dopo una lunga notte. Maripol ha lasciato la sua impronta nel bosco come la sua opera nella storia della Bretagna futura (“La pioggia si è addormentata nel vento, i cavalli volano verso l’oceano a cercare lontano da sorgenti asciutte un po’ d’acqua per coricare le loro vite. Nei campi il grano si è addormentato, gli uomini cominciano a guardare questa terra alla quale troppo hanno domandato…”). 

LES ETHERS BLEUTÉS (Maripol)
L’ARlA AZZURROGNOLA
traduzione italiana di Flavio Poltronieri

Ho camminato sola, sola, sola con la folla
Per dimenticare l’aria azzurrognola portata via dalla nebbia
E gli odori strani di brughiere spaccate
Da dei sentieri d’ardesia
Ho camminato sola, sola, sola con la folla
Quella che prende il metrò alle sei del mattino
Inciampando sui barboni mezzi morti in una ubriachezza malata
Quella che rompe l’uovo acido dimenticato sul bancone
E beve un caffè tiepido tutto infarinato di fondi
Ho camminato sola, sola, sola con la folla
Quella che si spinge negli uffici di collocamento
Una fessura formidabile che cambierà la vita
Ho camminato sola, sola, sola con la folla
Quella che fuma la nicotina dei giornali scandalistici
E delle scommesse
E poi ne ho avuto abbastanza
Allora ho aperto le vene blù del gas
Ma la grande notte fredda mi ha rigettata come una bambina bastarda
Allora sono rientrata nel paese dall’aria azzurrognola portata via dalla nebbia
E dagli odori strani di brughiere spaccate da dei sentieri d’ardesia
Ho visto levarsi delle nebbie incandescenti
Su dei sentieri bruciati dalle argille rosse
Rosse come la terra sgorgata dal cuore degli uomini
Rosse come i solchi che essa scava nei loro petti tossícolosi
Li ho visti accanirsi e ricucire il ventre delle fabbriche mal ingravidate
Ostetriche di disoccupati e di scioperi abortiti
Li ho visti cantare
Li ho visti ballare
Per ingannare le angoscia che sbriciolano sulla miseria
Li ho visti anche tacere
Mordendosi le labbra sbiancate da una febbre malsana
Che sarà domani per gli uomini dell’aria azzurrognola portata via dalla nebbia
A tutti loro io dono la mia vita perchè essi la mettano sulla barricata
Perchè essa sia il sasso che colpisca
Quelli che vorrebbero fare di noi un popolo avvinazzato dal sorriso fetido
Un popolo di scatarrosi e di barboni
Un popolo di niente, cancellato dalla carta del mondo

LES MAISONS VERT DE GRISÉES (Maripol)
LE CASE COPERTE DI VERDERAME
traduzione italiana di Flavio Poltronieri

Piango sulle case di muschio coperte di verderame in fondo agli
stagni di marmo e maledico le gabbie di pietra granulose che gli
uomini hanno vomitato. Soffoco nel fumo dei cristalli elettrici
e non posso più trattenere il silenzio che è andato a ghiacciarsi
su delle montagne troppo alte.
Una cornamusa suona là sul giradischi e io sogno di afferrare la musica; i miei paesi come i suoi
vengono da altre rive, da rive dove la vita non ha importanza se
non nella dismisura e nell’assenza inghiottite nella seta lanugiosa dell’infinito, da rive dove la materia non ha più corpo, da rive dove gli alberi hanno trasparenza di cristallo.
Piango sulle case di muschio coperte di verderame in fondo agli stagni di marmo e rido delle forme ridicole inventate da degli uomini
che vogliono farci credere che questo mondo non è di noia e di
calcoli ipocriti. Piango sulle case di muschio coperte di verde-rame in fondo agli stagni di marmo

LIBERTÉ EGALITÉ LAISSEZ-MOI RIGOLER (Maripol)
LIBERTA’, UGUAGLIANZA, NON FATEMI RIDERE…
traduzione italiana di Flavio Poltronieri

Gli organi folli del vento sprofondano nella notte bianca
Sulle brughiere illividite dove si screpola un canto di cristallo
L’ametista del gelo accorda i suoi violini
Le spine rosse sono delle arpe di sangue
Sento le mani di giglio della morte che scivolano
Sul fiato ghiacciato dalle grida e dalle torture
Del bardo assassinato in fondo a una sudicia prigione

Le paludi respirano il soffio verde della nebbia
Dove le gocce d’acqua ammuffite ricamano un fazzoletto di muschio
Gli uccelli che vi si posano portano nelle loro ali
Dei miasmi d’agonia impotente e diafana
Sento lo sguardo ghiacciato della morte dagli occhi d’annegata
E’ per l’indiano malato, spodestato e pestato
Che muore come un cane maledetto
In un tugurio di Manhattan

Sulle montagne aspre dove si secca il vento
Rantola l’eco febbricitante di un temporale perduto
Le ombre della notte errano in mezzo alle felci
Come pastori ciechi senza cani e senza greggi
Sento lo sguardo feroce della morte che attende
E’ per il basco accusato che hanno fatto vagabondo
Deportato verso il nord, verso le colline di carbone

Sotto i licheni violacei di polveri malaticce
muoiono le spezie verdi, l’odore delle nostre foreste
La città ha delle passioni e delle risa da strangolatrice
Nella sua gola d’acciaio dove si scrosta la vita
Sento le mani maledette della morte che palpita
E’ per l’operaio bretone senza tetto e senza lavoro
Morto di fame e di freddo, la notte in un terreno incolto
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà, uguaglianza, non fatemi ridere…

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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