René Guy Cadou: La poesia è inutile come la pioggia

René Guy Cadou
René Guy Cadou

René Guy Cadou morì il Venerdì Santo del 1951. Era nato da due maestri, il 15 febbraio del 1920 a Sainte-Reine-de-Bretagne, il poeta amico del barilaio, del postino, del guardaboschi e del contrabbandiere. Era nato direttamente dentro la scuola e l’indomani il padre lo presentò agli allievi della sua classe. E’ per questo che Gilles Servat sulla copertina del suo disco-tributo si siede dietro la cattedra e fa cantare al coro dei bambini della Scuola di Marsanderie di Nantes: “Sainte-Reine-de-Bretagne, en Brière dove sono nato, a ricordare si guadagna una felicità che dura per anni!” Ma se si vuole, si può incontrarlo ancora nella campagna di Louisfert, il suo villaggio d’adozione, nei segni misteriosi e nelle eco tremule della sua poetica fraterna. Servat lo aveva incontrato senza averlo mai letto, nei racconti di sua mamma che, alle scuole elementari, era stata allieva del padre del poeta e gli parlava di Rene-Guy, suo amichetto fino all’età di sette anni. Poi aveva iniziato a conoscerne l’opera quando Serge Kerguiduff a Saint-Brieuc trovò due copie di “Amis d’enfance” in un sacco pieno di libri gettato via e gliene regalò una.

René Guy Cadou lo si può incontrare anche nella voce errante, marchiata da un fuoco senza tempo, di un altro poeta di Bretagna, Manu Lann huel, a sua volta autore di un altro disco in omaggio alle parole di Cadou: “Una sera di povertà come ancora ce ne sono nei rapporti di bordo e nelle camere ammobiliate, succede che si pensi a delle donne capaci di farvi diventare grandi in un istante, di lanciarvi dal festone dorato delle balaustre verso un mondo di rocce e di vascelli abitati dagli spettri…”

Anche Martine Caplanne lo ha eletto a suo poeta preferito musicando con fede, respiro e fervore le sue poesie fin dal 1976. La sua voce roca e profonda è stata la cornice sonora che unisce i movimenti delle stagioni e a quelli dei cuori.

René, bambino presto orfano, ereditò, secondo un’usanza antica, anche il nome del suo fratellino Guy in precedenza morto precocemente e incontrò Hélène , l’amore di tutta la sua vita, anch’essa come lui, poetessa e figlia di due insegnanti di Nantes, il 17 giugno 1943 : “Tutto il giorno vedevo blù” diceva e scrisse:“…puoi riprendere alla notte il bottino di fiori neri già sparsi sul mio petto…” Istitutore supplente, vagabondo dipartimentale, insegnò in parecchi villaggi della Loira Atlantica, da Brière a Clisson e nel 1946 ottenne un “posto fisso” appunto a Louisfert, professore rurale in questo villaggio di seicento abitanti nella campagna, vicino a Châteaubriant.

Paese che amò profondamente come si avverte ascoltandolo attraverso la voce di Morice Benin “…io vado, non so niente della mia vita ma vado, alla fine di tutto, senza preoccuparmi del tempo che fa, le genti di oggi assomigliano alle orchidee, faccia buffa e mani incatenate, ma io amo questo villaggio murato da foreste e i suoi vecchi che assomigliano ai vasi di gres. Ho scelto il mio paese distante dalla città per i suoi nidi sotto i tetti e i suoi rampicanti…”.

Scarsamente interessato alle miserie amministrative, tutta la sua “vera vita fu altrove”, consacrata alla scrittura. Ogni sera, terminate le lezioni, non andava alla Brasserie Lipp o al Deux Magots, ma preferiva rimanere per ore e ore nel suo ufficio a scrivere, forse inconsapevolmente cosciente che gli sarebbe purtroppo stata concessa una breve vita. Quando aveva vent’anni, corrispondeva con Max Jacob e con Pierre Reverdy che gli diceva: “Quando la sostanza dell’amore è densa abbastanza; quando l’amicizia pianta le unghie nell’assenza, non cambia nulla, nulla si flette“. Non aveva ancora ventidue anni quando, alla scuola poetica di Rochefort-sur-Loire, fu compagno di Marcel Bélau, Lucien Becker, Jean Bouhier, Luc Bérimont, Jean Follain, Michel Manoll, Jean Rousselot. E non ne aveva ancora venticinque anni quando scriveva: “Notte nera, si cammina nel vento del sale e nella nebbia“.

Io credo fermamente che anche una pietra si dovrà emozionare ad ascoltare Marc Robine cantare con l’anima sulle labbra, i versi disperati del suo Testamento

René Guy Cadou : Le testament

Dans le temps de ma vie
Je vous ai tout donné.
Sur mes mains, sur mon sang,
Je vous ai promené.
Pour vous plaire, j’ai dû
Me soulever du monde,
Eloigner mes poumons
Des cryptes enfumées,
Reprendre au jour nouveau
Son butin de solfège,
Et ses vitraux couverts
De graffiti, de neige
Peu d’années ont suffi
Pour voiler mon regard.
J’ai pâli, j’ai vieilli,
Mon coeur a fait sa part.
Dans la mansarde bleue
Qui me gardait des branches
J’ai vu mon front s’ouvrir
Sous une étoile blanche.
Que voulez-vous de moi,
Maintenant que je n’ai
Pas même, pour saluer,
La grâce des poneys?
Dans le cirque des mots
J’ai trop fait de voltige,
Trop d’oiseaux sont venus
S’appuyer à ma tige.
Je ne puis rien pour vous,
Pas même vous soumettre
A la lumière, au vent,
Au dernier kilomètre.

IL TESTAMENTO

Nel tempo della mia vita,
Vi ho dato tutto,
Sulle mie mani, sul mio sangue
Io vi ho camminato.
Per farvi piacere ho dovuto
Sollevarmi dal mondo,
Allontanare i miei polmoni
Da cripte di fumo,
Riprendere al nuovo giorno
Il suo bottino di solfeggio
E le sue vetrate coperte
Di graffiti, di neve.
Pochi anni sono stati sufficienti
Per velare il mio sguardo,
Impallidii, divenni vecchio,
Il mio cuore ha fatto la sua parte.
Nella mansarda blu
Che mi custodiva i rami
Ho visto aprirsi la mia fronte
Sotto una stella bianca.
Cosa volete da me,
Ora che non ho più per salutare,
Neppure la grazia dei cavallini?
Nel circo delle parole
Ho fatto troppi volteggi,
Troppi uccelli sono venuti
A posarsi sul mio gambo,
Non posso fare niente per voi,
Nemmeno presentarvi
Alla luce, al vento,
All’ultimo chilometro.
Traduzione italiana Flavio Poltronieri

Ora riposa al cimitero de La Bouteillerie di Nantes nel quartier Malakoff-Saint-Donatien.

Bruits du coeur: Michel Arbatz chante René Guy Cadou

guardo spesso alla finestra, come se la felicità dovesse entrare da là”

Nel 2020, Michel Arbatz, in occasione del centenario della nascita di René Guy Cadou, pubblica questa sua personale antologia sonora, comprendente 24 titoli, un CD accompagnato da un libro di una settantina di pagine comprendenti i testi e un’iconografia. Registrato nel secondo semestre dell’anno scorso tra Parigi e Montpellier in differenti contesti, invitando comici, musicisti e dicitori e utilizzando in “Rue du Sang” la musica di “A fala da paixao” composta da Egberto Gismonti.

Arbatz, scrittore, compositore ed interprete, che ricordavamo cantautore impegnato all’interno della Coop. Droug (Collera) a fianco di Kirjuhel negli anni ‘70 e tributare nel 2011 con il CD “Chez Jeanne” la giovinezza di Georges Brassens, ha scoperto Cadou in adolescenza. Arbatz ha sempre subìto il fascino di colui che si tenne alla larga dai circoli letterari per raggruppare piuttosto attorno a sé gli amici della Scuola di Rochfort, come forma di resistenza attraverso l’amicizia in tempo di guerra.
Un omaggio di cuore alla grazia della lingua spogliata del poeta per cantare l’imperfezione e alla sua tenerezza per l’uomo “innocente come un uovo e con il peso del cielo sulla schiena”.

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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