Il Mese Nero

La prima volta che lessi del Mese Nero in Bretagna fu quando incrociai la spettrale figura di Tristan Corbière. La sua poesia mi si appiccicò alle dita e da quel momento lì è rimasta. Mi capita continuamente di ritrovarla in mezzo alle nebbie della Pianura Padana come in tutti i “pardon” delle campagne bretoni che vanno da Plougastel a Loc-Tudy. Ogni autunno, ogni inverno si finisce sempre per incontrarla gironzolare perché Tristan vive ancora con la sua natura dinoccolata. Di notte, di giorno, secondo antichi rituali, nei canti serafici, nei canti degli ubriaconi, nei cantici spirituali è la sua poesia. Là sotto un cielo pallido e puntellato come in mezzo alle urla della tempesta è casa sua, quando tutto è calmo lui si veste di nero e quando si annoia entra in uno stagno plumbeo e melmoso e si dirige verso la Sodoma bretone sommersa dalle acque, Ys.

Mese nero pardon
tradizionale pardon bretone

Nella fredda sera brinata la folla si accalca alle processioni di Sainte-Anne-la-Palud, un mondo di donne sfiorenti con rose malate e di uomini increduli, tristi e delusi e in mezzo a gente dolente senza lacrime, lo si incontra mescolato tra chi abbandona il proprio nome anagrafico e chi vuol prendere il largo durante la burrasca. Come in chi sogna di essere marinaio e in chi si traveste da forzato, da donna, da mendicante o da vescovo. Lo si incontra in chi si rade le sopracciglia o porta a passeggio un maiale a guinzaglio. Perché Tristan ha per unici compagni il mare e gli amori gialli del suo personale Casino dei Trapassati.
Nel Finistère le borgate e le località si chiamano tutte con nomi barbari che paiono urlati dalle raffiche di vento o rotolate da sotto sordide ondate del mare. Nomi che hanno voci profonde, frantumate tra gli scogli, perse nelle paludi o su coste di roccia. Mettono la pelle d’oca anche a pronunciarli quei nomi: Penmarc’h, Stang-an-Ankou, Poul-Dahut, Toul-Infer. E sono tutti figli del peccato. Le case sono popolate più da morti che da vivi. Più numerosi delle foglie gialle sui sentieri di questi boschi.

Tradizioni di Novembre in Bretagna

E’ novembre, il Mese Nero in Bretagna. Prima di andare a dormire bisogna fare il proprio dovere, lasciare la tovaglia sulla tavola e un gran fuoco acceso nel camino. Sono tutti figli dell’Angelo Nero, del rosario come del vino, non si accorgono degli avvertimenti. Nemmeno la “mala aria” (1) li ha spaventati. Ho sentito uno che diceva. “Siccome non ne possiedo più una tutta solo mia, ho a disposizione tutte quelle degli altri”. Parlava della borsa? Parlava della vita? Parlava della moglie? Credevo che gli altri inorridissero, invece ne hanno fatto un proverbio e perfino il motivo di una canzone che tutti oramai conoscono. Sono proprio figli dell’Angelo Cornuto. Qui si cantano a squarciagola le canzoni che altrove sono solo sussurrate. Anche il vento canta forte, anche i mugnai, i marinai e le ragazze con le lentiggini e con i capelli rossi. Tutti si ubriacano nelle notti senza luna né stelle, non ci si preoccupa dei ruscelli che tristemente gocciolano lungo i fianchi umidi delle colline e neppure dei cespugli che tremano al passare delle anime vaganti per le stradine, con passo da gigante.

Al buio, in coro senti “C’est Jean-François de Nantes oué oué oué, gabier sur la Fringante oh mes boués, Jean Françoué, débarqu’ en fin d’campagne fier comme un roi d’Espagne…”. Cantano tutti anche il curato, l’ostessa, il notaio, lo stalliere, il sindaco e il campanaro. E’ novembre, il Mese Nero e il cielo è ancora più nero delle cuffie delle monache. Non serve tentare di fare un po’ di luce, le candele rifiutano di accendersi e si spengono continuamente.

C’est Jean-François de Nantes Canto marinaro bretone di origine anonima d’inizio 19° secolo

Sono tutti dannati. In questo villaggio dell’Alta Bretagna ho ascoltato due gwerz pieni di umanità che non ho mai dimenticato, raccontano di madri e bambini. Anche qui come ovunque la religione e la canzone popolare hanno spesso tentato entrambe di dare del conforto per rispondere a delle realtà sociali o psicologiche troppo pesanti, ingiuste e difficilmente sopportabili.

Il Mese Nero e i suoi gwerz

Il primo gwerz narrava del lamento di tre piccoli bambini sulle rive di un’isola, vicino all’acqua, nelle vicinanze di un vascello. La loro mamma era morta e il loro padre si era risposato con una donna che picchiava i piccoli ad ogni occasione. Un giorno, il più piccolo perché chiedeva un tozzo di pane, ricevette una gran pedata nel ventre e un pugno nel petto, proprio all’altezza del cuore. Il più grande allora lo soccorse “Non piangere fratello mio, andiamo al cimitero a cercare nostra mamma”. Ad un certo punto del loro cammino incontrarono nostro Signore Gesù Cristo che chiese loro “Dove andate angeli, voi che siete così piccoli?” “Andiamo al cimitero per ritrovare nostra madre.” “E quale era il suo nome?” “Si chiama Maddalena”. Allora il Signore si girò verso la tomba dov’era sepolta la donna e le ordinò di alzarsi immediatamente. “Ti dono quindici anni di vita per poter così allevare i tuoi bambini.” Quando questo tempo infine stava per terminare, lei iniziò a piangere disperatamente al pensiero di doversi separare dai suoi tre figli. “Non piangere, mamma, noi verremo con te!” Fu così che la donna e i tre bambini furono seppelliti tutti insieme.
In questo borgo bianco, che si chiama Bro Leon un tempo abitava veramente poca gente perché il territorio era quasi interamente coperto da boschi e a testimonianza di ciò, ricordo di aver notato che parecchi quartieri portavano dei nomi che contengono la parola “coat” (“bosco”).

Il secondo gwerz, per voce e arpa, su un’aria conosciuta di una canzone ben più famosa in Bretagna, raccontava che verso la fine dell’orribile guerra del 1870 fra la Francia e la Prussia, un giovane soldato vinto infine dopo tanta sofferenza, da freddo e miseria, venne inviato all’ospedale di Ginevra. Una volta giuntovi fu preso da una nostalgia feroce per il proprio Paese, cosicché giorno e notte il suo spirito tornava in Bassa Bretagna. In punto di morte chiese di vedere suo padre un’ultima volta e saputolo, quest’ultimo iniziò il lungo e penoso cammino che attraversava tutta la Francia per giungere al capezzale del suo povero ragazzo. A quel tempo non esistevano mezzi di trasporto tranne le proprie gambe e quando il pover’uomo giunse a cospetto del figlio, quest’ultimo oramai faceva pena solo a vederlo. “Ho portato dei soldi, ti comprerò delle buone cose” disse il genitore ma il soldato rispose di aver perso oramai il gusto per qualsiasi delizia. Il vecchio disperato ricordò all’improvviso che gli era rimasto in tasca un pezzo di pane di segale impastato dalla moglie con tutto l’amore di una mamma che disperava oramai di rivedere il proprio figliolo e glielo offrì. Già dal primo morso le forze iniziarono improvvisamente a tornargli e ben presto riprese colore finché completamente ristabilito, rientrò a casa col genitore per ricongiungersi alla madre.

vecchio contastorie bretone
vecchio contastorie bretone

Capita di incontrare tra le catapecchie qualche bretone malizioso e misterioso che conosce storie straordinarie, che si sottrae al tuo sguardo indagatore con un sorriso incredulo, che ti racconta i fatti suoi o del vicino di casa come fossero avvenimenti leggendari accaduti a chissà chi, chissà quando, chissà dove. Non saprai mai la verità. Se era ieri oppure, come dice lui, “al tempo in cui in Bretagna c’erano i re”. Così la principessa, sorella di un monarca straniero, la bellissima vergine dai capelli d’oro fine mentre noi stiamo qui a parlare della sua canzone, è dietro il casolare a portare al pascolo le oche, in una piccola processione rumorosa che va dalla fontana fino alla chiesa e quando ci arriva, i pennuti si schierano a fianco al prete, ascoltano la predica muti e poi impettiti come solo loro sanno essere, tornano starnazzando al villaggio.
Quello che ti racconta la storia giura che non solo lui ma tutta la gente del villaggio ha toccato con gli occhi lo splendore della sua principessa e tu non potrai fare altro che credergli anche se i re non ci sono più da secoli e lui avrà più o meno la tua età ma….. non ne sono poi più così sicuro!
Ecco è questo che mi piace: che non si saprà mai la verità.

(1) In Bretagna qualsiasi morbo maligno viene chiamato “avel fal” (mala aria)

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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