Il covid non balla la gavotta

[Peste Nera e Covid]

Il 2020 è stato per la Bretagna il primo anno in cui non si è ballato la gavotta. Davvero un evento infausto ed inedito. Perfino durante la guerra gli anziani la ballavano clandestinamente nelle campagne, alla faccia degli invasori, delle loro armi e dei loro divieti. Le fest-noz del futuro non saranno mai virtuali: tutti dietro uno schermo non significa niente! Ciascuno può ballare a casa propria, ma di certo non si tratta di fest-noz.

Fest-noz è “Complete Communion” parafrasando Don Cherry. La gavotta virtuale è una catena che lega, stringe, circonda, avvolge, ha bisogno di tempo e contatto per essere completa. Il canto che la guida è magia e improvvisazione, è lui che trasporta la folla e la folla trasporta chi canta. L’empatia è assoluta. Nessuno si nasconde dietro un angolo o una porta. Cantare da solo dietro una telecamera non è fest-noz, è depressione. A Poullaouen nella Notte della Gavotta non sono ammessi “distanziamenti sociali”.

Bosen Elliant/ Bosenn Langolen

La Peste d’Elliant
Tableau de Louis Duveau (1818-1867), « La Peste d’Elliant »

In Bretagna qualcuno ricorda ancora l’influenza spagnola o la Morte/Peste Nera, di cui il Barzaz Breizh racconta in Bosen Elliant.

In questo gwerz si narra nel dialetto della Cornovaglia, della devastante pandemia che rase al suolo la cittadina di Elliant, uccidendo 7100 persone. Si salvarono solamente una donna di 60 anni e il suo figliolo. Nel cimitero i morti ammassati superavano l’altezza delle mura di cinta e anche la chiesa ne era colma, si dovettero benedire i campi per sotterrarli tutti. Era la stessa peste nera descritta dal Manzoni ne “I promessi sposi”, la seconda delle quattro pandemie (questa compresa) che nei secoli hanno colpito l’umanità.

Ankou
Ankou

Una leggenda aleggia sulla Bosen Elliant (la Peste di Elliant) secondo la quale il giorno del “pardon” nel borgo di Elliant un giovane mugnaio, mentre passava il guado con i suoi cavalli, vide seduta una bella donna tutta vestita in bianco, con una bacchetta in mano e che gli chiese di aiutarla a passare sull’altra sponda, desiderio che lui prontamente esaudì. Allora lei disse: Giovanotto, io sono la Peste, vengo a fare il giro della Bretagna e vado in chiesa dove suonano la messa. Tutti quelli che toccherò con la mia bacchetta moriranno immediatamente, ma non preoccuparti, tu non avrai alcun male e neppure tua madre.

Cantare la Peste Nera

In Bretagna ho letto che molti sostenevano che per far fuggire la peste bisognasse cantarla, perché solo vedendosi scoperta si sarebbe allontanata. Un estratto del testo completo (precisamente le strofe 3-4-7-8-9-10-18-19-20) venne interpretato nel 1977 anche da Patrick Ewen, nel disco “Ker Ys“. Il testo inizia raccontando come tra Langolen e Le Faouet abitasse un Santo Bardo chiamato Père Rasian e di come quando la peste entrava nelle case, la gente ne uscisse, sulla piazza pubblica di Elliant c’era erba e diciotto carrette piene di corpi erano all’entrata del cimitero mentre altrettante stavano arrivando, una madre seppelliva i suoi nove bambini urlando a Dio, mentre il loro padre fischiettava, oramai completamente impazzito.

Anche nella vicina Langolen giunse implacabile la peste.

I Tri Yann interpretano solennemente Bosenn Langolen, a più voci e con accompagnamento di organo. E’ la quarta traccia di Rummadoù (2010)

Bosenn Langolen

En iliz emañ bodet an holl wazed:
Erru eo un droug nevez, ur c’hleñved
Dirak an aoter bras emaint o pediñ
Sant Yann ha Sant Sebastian d’hon frezerviñ.

En ur ober un devezh pe zaou pe dri,
Mervel a ra kalz a dud, mui ouzh mui
Hag an holl re-se lazhet gant ar c’hleñved
A rankomp bemdez kas dillo d’ar vered.

Ul lizher ‘oa an Aotrou Person o Lenn:
“Anv ar c’hleñved-se eo ar vosenn”,
Ul lizher bet kaset din gant hon eskob:
“Tud paour, pinijet e vezimp evel Job!”

Allas! Erru eo ar vosenn er vro-mañ.
Doue, petra hon eus graet eneptañ
Ma tag ac’hanomp en un doare ken kriz,
Ma venn dezhañ kas un ken taer a gastiz?

Teir sizhun zo tremenet pan erruas.
Ne chom nemet va mab ha me bey c’hoazh:
“Kuitaomp hon ti ha chomomp barzh ar vered,
Benn ma varvimp hon daou en douar benniget.”

La peste di Langolen

In chiesa sono ammassati tutti gli uomini:
è arrivato un nuovo male, una malattia.
Davanti al grande altare stanno pregando
San Jean e San Sébastien di salvarci.

In una giornata o due o tre
ne muoiono tanti, sempre di più.
E tutti quelli uccisi dalla malattia
dobbiamo in fretta mandarli ogni giorno al cimitero.

Il signor curato stà leggendo una lettera:
“Il nome di questa malattia è la peste”.
Una lettera che ci è stata inviata dal nostro vescovo:
“Povera gente, saremo puniti come Giobbe”

Ahimè! La peste è arrivata in questo paese.
Cosa abbiamo fatto contro Dio
per venire attaccati in modo così crudele,
da averci mandato una prova così dura?

Tre settimane sono passate da quando è arrivata.
Non restiamo che mio figlio ed io ancora vivi:
“Lasciamo la nostra casa e restiamo al cimitero
così moriremo tutti e due in terra benedetta”
(traduzione italiana Flavio Poltronieri)

La Peste Nera

La Peste Nera in sei anni uccise trenta milioni di persone solo in Europa, uno ogni tre. Il fulcro d’origine si pensa sia stato nell’Asia centrale dove nel 1347 l’Orda d’Oro mongola, condotta da Ganī Bek cingeva d’assedio Caffa. Nella prosperosa colonia genovese sulla via dell’Oriente, come riferisce il frate francescano Michele Da Piazza, i mongoli iniziarono a catapultare cadaveri di soldati appestati entro le mura della città. Il contagio era stato irrimediabilmente e criminalmente messo in moto. Portata dalle navi commerciali che partirono da Caffa, la Peste Nera si diffuse ovunque sulla rotta Costantinopoli-Messina. Dilagò nell’est del Vecchio Continente e a nord, da Genova a Marsiglia e da li nel resto della Francia. A quel tempo la medicina era basata quasi esclusivamente sull’astrologia, la stupidità umana fece anche peggio considerando “untori” le streghe e gli ebrei.

Trionfo della Morte
Il Trionfo della morte è un dipinto olio su tavola di Pieter Bruegel il Vecchio, databile al 1562 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid, dove sono raffigurati tutti gli orrori della Peste Nera

A.D. 1348 o 2020?

Orribilmente cominciò i suoi dolorosi effetti, e in miracolosa maniera, a dimostrare

Nelle pagine introduttive alla prima Giornata del Decameron, Giovanni Boccaccio descrive quando questa epidemia attaccò Firenze. Lui non la chiama mai “peste” bensì “orrido cominciamento” e nel constatare che i primi ad essere colpiti a morte erano gli anziani, la paragonava al fuoco che brucia per prime le cose secche che gli stanno vicine. Lo scritto iniziale dell’opera è uno scenario grandioso in cui prevale lo sbigottimento attonito per il flagello e la maggior parte delle genti si pone la domanda se non sia questa una punizione divina “mandata o per l’influsso maligno dei corpi celesti o per castigo di Dio per punire le nostre inique opere”. Insomma un male meritato a cui rassegnarsi con fatalismo. Discorsi che si sentono dire talvolta anche di questi tempi.

Le strade furono tutte ben ripulite dall’immondizia, agli infetti fu vietato l’ingresso in città e numerosi erano i consigli per conservare la propria e l’altrui salute. C’era chi andava in giro portando in mano erbe o spezie che annusava in continuazione, convinto che gli effluvi giovassero al cervello. Si organizzarono frequenti processioni e suppliche a Dio ma nessuna medicina o rimedio sortì efficacia alcuna. La malattia resisteva a tutto e si ignorava completamente da cosa fosse provocata. Quasi tutti entro il terzo giorno dalla comparsa dei sintomi, morivano e altri pur non manifestando febbre o altri segnali, morivano lo stesso. Migliaia di corpi finivano miseramente accatastati, senza vicinanza di parenti, senza funerali, sotterrati nelle fosse comuni. Ormai i morti non suscitavano commozione alcuna.

Sembra di leggere la cronache delle file di camion di Bergamo e i comportamenti di questi mesi, nevvero? Ebbene, correva l’anno 1348!

Anche allora come oggi una parte negava l’evidenza. E se c’è chi pensa che gli assembramenti alla faccia della pandemia in vie, piazze, stanze siano cose di questi tempi, che i bar e i pub affollati nei week-end, gli happy hour, le feste o lo shopping sfrenato siano pazzìe di oggigiorno, vada a leggersi il Decameron. Se c’è chi crede di essere originale perché si interessa più alla movida che del coronavirus, sappia che su quelle antiche pagine del poeta di Certaldo, leggerà le identiche cose viste sabato scorso in televisione, solo che sono eventi di quasi 700 anni fa, anche allora in mezzo alla gente che moriva a migliaia, c’era chi «il giorno e la notte ora a quella taverna ora a quella altra andando, bevendo senza modo e senza misura…».

Flavio Poltronieri
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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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