La ballata italiana della bella/povera Cecilia

[Nigra #3]

Cecilia, una delle eroine più note nelle ballate tradizionali d’Italia è lo sviluppo in forma di ballata di un tema novellistico passato anche al teatro.
Già Giambattista Cinzio Giraldi[1] nelle “Ecatommiti” (raccolta di cento novelle) narra la storia di Epitia (V novella dell’VIII giornata) una trama alla shakeaspirianaMisura per Misura[2] in cui vediamo comparire nella storia un deux es machina, il duca che governa la città, ma anche il ricatto del governatore-capitano  che chiede una notte d’amore con la bella Isabella in cambio della liberazione del prigioniero.  Parimenti anche Shakespeare analizza il conflitto tra giustizia e pietà.

[1] Il Giraldi detto Cinthio come titolo accademico è un erudito e drammaturgo ferrarese della metà del Cinquecento, grande inventore di storie che furono d’ispirazione sia a Cervantes che a Shakespeare come trame dei loro capolavori.
Per la novella nell’archivio digitale si veda https://archive.org/details/bub_gb_CTV0e7H5xfwC
SULL’AUTORE http://www.ferraraitalia.it/giraldi-cinzio-lispiratore-dellotello-di-shakespeare-1002.html
[2] http://www.shakespeareinitaly.it/misurapermisura.html

Costantino Nigra propende per un origine squisitamente piemontese della ballata

Costantino Nigra riporta alcune versioni nel suo Canti popolari del Piemonte  classificandola al numero 3.
“La canzone di Cecilia fu annunziata per la prima volta al pubblico da Cesare Cantù, il quale nei documenti alla sua Storia Universale ne diede un sunto, tolto, suppongo, da una lezione Lombarda (1). L’esistenza della canzone in Piemonte fu da me annunziata nel Cimento nel 1854 e Cesare CORRENTI la nominò nel Nipote del Vesta-Verde del 1856 (2); posteriormente, ne vennero pubblicate varie lezioni non solo nell’alta Italia ma anche nell’Italia meridionale e in Sicilia, dove la canzone riusci a penetrare. Le lezioni pubblicate fin qui sono, a mia notizia, le seguenti in ordine di data: Una Veneta raccolta da G. WIDTER e pubblicata da Adolfo WOLF; una Lombarda (Comasca) pubblicata da G. B. BOLZA; una Piemontese (Monferrina) da Gius. FERRARO; una Sicilianizzata, da PITRE’ e da SALOMONE-MARINO; una Veneziana da G. BERNONI; una Napoletana da IMBRIANI; una Marchigiana da GIANANDREA; una Emiliana da Gius. FERRARO; una Istriana da Antonio IVE (3). Questa canzone era stata segnalata in Palermo fin dal 1834 dal signor Kestner, di Hannover, il quale in una sua lettera del 17 febbraio 1863 mi scriveva d’averla udita a cantare in quell’anno a Palermo da tre donne d’origine Genovese, e me ne inviava questi primi versi:
La bella Cecilia che piangea a sumarì;
L`hanno posto in prigiuni lu vonno fa morì.
– Signuri Capitániu, una grazia vuo` da te.
– Bedda, la grazia è fatta se tu cunsenti a me.

Nei suoi studii sui canti popolari del Monferrato GIUSEPPE FERRARO esprime l’opinione che Cecilia possa essere identificata con Stefania, la moglie del tribuno Romano Crescenzio, che assediato in Roma da Ottone III, e arresosi, per intercessione della moglie, a condizione d’aver salva la vita, fu messo a morte per ordine dell’imperatore fedifrago. Stefania, divenuta concubina d’Ottone, l’avrebbe poi avvelenato, secondo la tradizione, per vendicare il marito (4). Ma l’origine storica probabile di questa canzone, che ricorda il soggetto d’una novella di GIRALDI CINTO, della commedia “Promos e Cassandra” di Giorgio WHETSTONE, del dramma di SHAKESPEARE “Measure for measure”, e della leggenda sul colonnello KIRKE (5), e stata studiata da Alessandro D’ANCONA nel suo libro “La poesia popolare Italiana” (6). Secondo la di lui opinione, la canzone avrebbe origine in un fatto storico, o creduto tale, che sarebbe avvenuto in Piemonte verso la metà o prima del XVI secolo, e che fu preso da Claudio ROUILLET ad argomento della sua tragedia “Philanire”, stampata nel 1563 (7). Il fatto che la canzone, coi suoi emistichii tronchi alternati coi piani, accusa un’origine Celto-Italica, e in ogni caso non Medio-Italica nè Sud-Italica, è un argomento importante in favore di questa ipotesi. La canzone, o passò dall’Italia in Catalogna, o ivi si riprodusse in circostanze non dissimili. MILA’ e BRIZ ne pubblicarono varie lezioni, coi titoli La dama de Reuss, La dama implacable, La dama de Tolosa(8). Le lezioni Catalane offrono colle Italiane un’analogia incontestabile. Ma in quelle la donna si vendica uccidendo il capitano, o comandante. Quest’ultimo tratto manca invece nelle lezioni italiane, eccettuata una che non è di origine popolare e che gira per l’ltalia, stampata su foglio volante, con grossolana incisione rappresentante una donna che taglia con una sciabola la testa a un ufficiale giacente sopra un letto. Questa composizione, opera di volgare versificatore, dà la stessa conclusione delle lezioni Catalane:
Cecilia « s`arma dello squadrone di lui che dorme allor;
e senza compassione, già cieca da furor,
Ricidegli la testa, nuova Giuditta par.
Ciò fatto, lesta, lesta di là mosse l’andar.
››
Va a Roma, si confessa al Papa, ottiene l’assoluzione, si chiude in un convento, e santamente vi muore. Nel principio della canzone, il marito di Cecilia va all’osteria e vi ha coll’ostiere un alterco; passano le guardie e lo menano in prigione. Tutto questo passo, ed altri ancora, sono aggiunte recenti. Ma qua e la vi è qualche traccia del canto popolare da cui il fabbricatore di fogli volanti si è inspirato. Tali sono i versi La povera Cecilia piange lo suo marì – Cecilia fa un sospir – Ho una gran pena al core. Il foglio volante che ho sott’occhio e che porta il titolo La vendetta della bella Cecilia, ha la data di Firenze 1867, tipografia Salani: ma sarà stato probabilmente preceduto da altre edizioni. Le lezioni Piemontesi, come le Catalane, hanno (salve le solite deviazioni) l’assonanza monorima tronca, in ì. Gli emistichii sono settenarii piani e tronchi alterni.”
NOTE
1) C. Cantù. Storia Univ. Docum. Letteratura II, 1841, p. 616.
2) Il Cimento. Torino 1854. Anno Il, fascic. XVII. _ Il Nipote del Vesta- Verde. Milano 1856, 116.
3) WIDTER- WOLF Volkslieder aus Venetien 64. _ G. BOLZA, Canzoni pop. Comasche 671. _ Gius. FERRARO, Canti pop. Monf. 28. _ PITRE’, Studii etc. 294. _ SALOMONE-MARINO, Baronessa di Carini, 32. _ G. BERNONI, Canti pop. Veneziani, V, 7. _ V. IMBRIANI. Canti pop. Avellinesi, 73. _ GIANANDREA, Canti pop. Marchigiani 264. _ Gius. FERRARO, Canti pop. di Ferrara etc. 108. _ A. IVE, Canti pop. Istriani 326.
4) I canti pop. del Monferrato. Studii di GIUSEPPE FERRARO. Firenze 1872, 17.
5) Il fatto attribuito al colonnello KIRKE è cosi narrato nella History of England di D. HUME, L.XXII (an. 1685-88): « Una giovanetta chiese la vita del fratello gettandosi ai piedi di Kirke, armata di tutto le grazie della bellezza o dell’innocenza in pianto. ll tiranno sentì accendersi i suoi desiderii, senza essere commosso dall’amore 0 dalla clemenza; promise ciò che la giovane gli domandava pur ch’ella avesse la stessa compiacenza per lui. Questa tenera sorella s’arrese alla necessità che le si imponeva: ma Kirke, dopo aver passato la notte con lei. le mostrò l’indomani da una finestra il di lei fratello, il caro oggetto per cui ella aveva sacrificato la sua virtù, appeso alla forca ch’egli aveva fatto piantare segretamente per la di lui esecuzione. La sciagurata giovane impazzì di rabbia e disperazione ››.
6) A. D’ANCONA, La poesia pop. Italiana. Livorno 1373, 119-23.
7) Ecco le parole del ROUILLET, che Alessandro D’Ancona cita dalla Histoire du Théatre Franiçais del PARFAIT (Paris 1713,III, 342): << Quelques années se sont passées depuis qu’une dame de Piémont impétra du prévost du lieu, que son mari, lors prisonnier pour quelque concussion, et déjà prest à recevoir jugement de mort, lui seroit rendu, moyennant une nuit qu’elle lui prèteroit. Ce fait, son mary le jour suivant lui est rendu, mais jà exécuté de mort. Elle esplorée de l`une et de l`autre injure a son recours au gouverneur, qui pour lui garantir son honneur contraint le dit prévost à l’espouser, et puis le fait décapiter; et la dame cependant demeure dépourvue de ses deux maris ›>. A. D’ANCONA, op. cit. p. 121-22.
8) MILA’ Y FONTANALS , Observaciones etc.,143; Romancerillo, 190. _ BRIZ, Cansons de la terra, I, 129.

LA BALLATA DI CECILIA -versione piemontese

Il marito di Cecilia è condannato all’impiccagione  e la donna domanda al capitano che dovrà eseguire la sentenza se c’è un modo per liberarlo: il capitano le chiede di passare con lui una notte d’amore, ma al mattino il marito viene ugualmente giustiziato. Cecilia in alcune versioni si uccide o muore di crepacuore, in altre uccide il capitano, in altre ancora rifiuta sdegnosamente il genere maschile e manda tutti a quel paese!  


Cecilia, bela Cecilia na piura nóit e dì,
L’à so marì ‘n pregiune, lo völo fè mürì.
N’in va dal capitani: — Na grássia voria mi,
Voria ch’e m’liberéisse la vita al me marì.
— La grássia a sarà fáita, dormì na nóit cun mi.
— J’andrù ciamè licensa, licensa al me marì. —
‘L marì da la finestra da luns l’à vista vnì.
— Che növe portè, Cecilia, che növe portè për mì?
— Le növe sun váiro bune për vui e gnianc për mì;
Na nóit cu ‘l capitani devrei andè dormi.
— Andè püra, Cecilia, andè püra dormì;
Salvè-me a mi la vita l’onur ij pensrù mi. —
N’in ven meza noiteja, Cecilia a fa ün sospir,
A fa ün sospir dal core, chërdia di mürì.
— Coza sospirè, bela, bela, coza j’avi?
— Omì! ch’i m’sun sugneja, ch’a m’àn pendǜ ‘l marì.
— Dormì, dormì, la bela, dormì, lassè dormì;
Doman matin bunura vedrei ël vost marì. —
Na ven la matineja, Cecilia a s’è vestì,
Si büta a la finestra, l’à vist pendǜ ‘l marì.
— Scutè, sur capitani,
l’è pa lo ch’l’éi promì,
1 m’éi leva Tonure, la vita ai me mari.
— Piurè pa tan, la bela; bela, spuzè-me mi.
— Mai pi mi spuzeria ‘l boja dël me marì!

Traduzione italiana Costantino Nigra
Cecilia, bella Cecilia piange notte e dì,
ha il suo marito in prigione, vogliono farlo morire.
Essa va dal capitano. — Una grazia vorrei io,
vorrei che salvaste la vita al mio marito.
— La grazia sarà fatta, dormite una notte con me.
— Andrò a chieder licenza, licenza al mio marito.
— Il marito dalla finestra da lungi l’ha vista a venire:
— Che nuove portate, Cecilia, che nuove portate per me?
— Le nuove non son guari buone per voi e neanche per me;
una notte col capitano dovrò andare a dormire.
— Andate pure, Cecilia, andate pure a dormire,
salvate a me la vita, all’onore ci penserò io. —
Ne viene la mezzanotte, Cecilia fa un sospiro,
fa un sospiro dal cuore, credeva di morire.
— Che sospirate, bella, bella che avete?
— Ohimè! ch’io mi sognai che m’hanno appiccato il marito.
— Dormite, dormite, la bella, dormite, lasciate dormire;
domani mattina di buonora vedrete il vostro marito. —
Ne viene il mattino, Cecilia s’è vestita;
si butta alla finestra, vide appiccato il suo marito.
— Ascoltate, signor capitano,
non è quel che m’avete promesso:
avete tolto a me l’onore, la vita al mio marito.
— Non piangete tanto, la bella; bella, sposate me.
— Non mai io sposerei il boia del mio marito. —

Teresa Viarengo Amerio/ La Lionetta
A na sun tre gentil dame ch’a na venhu da Liun,
la più bela l’è Sisilia ch’a l’ha ‘l so marì ‘n persun.
«O buondì, buon capitani», «O ‘l buondì v’lu dagh a vui»
«E la grasia che mi fèisa m’ fèisa vedi me mari».
«O sì sì, dona Sisilia, che na grasia u la fas mi,
basta sol d’una nutea ch’a venhi a dormi cun mi».
«O sì sì, sur Capitani, a me mari i lu vagh a dì,
o s’el sarà cuntent chiel cuntenta sarò mi».
So marì l’era a la fnestra, da luntan l’ha vista venir:
«Che novi ‘m purté-vi, Sisilia, che novi ‘m purté-vi a mi?».
«E per vui na sun tant bunni, tant grami sa sun per mi:
ansema sur Capitani e mi m’tuca andé durmì».
«O ‘ndé pura, dona Sisilia, o ‘ndé pura, se vorì;
vui a’m salverei la vita e l’unur a v’lu salv mi.
Butevi la vesta bianca cun el faudalin d’ satin;
vi vederan tan bela a i avran pietà de mi».
A s’na ven la mezzanotte che Sisilia da ‘n suspir:
s’ cherdiva d’essi sugnea feissu mori so marì.
«O dormì, dormì Sisilia, o dormì, lassé durmì:
duman matin bunura na vedrei lu vost marì».
A s’na ven a la matinea che Sisilia s’ leva su,
a s’è fasi a la finestra, vede so mari pendu.
«O vilan d’un capitani, o vilan, vui m’ei tradì:
a m’ei levà l’onore e la vita a me marì».
«O tasi, tasi Sisilia, tasi un po’ se vui vorì:
sima sì tre Capitani, pievi vui cun ch’a vorì».
«Mi voi pa che la nova vaga da Liun fin a Paris
che mi abia spusà ‘l boia, el boia del me marì».
Sa na sun tre gentil dame ch’a na venhu dal mercà:
a i han vist dona Sisilia bel e morta per la strà

(traduzione italiana in “Il gioco del Diavolo”)*
Sono tre gentildame che vengono da Lione.
La più bella è Cecilia che ha il marito in prigione (1)
“Buondì buon capitano” – “II buondì ve lo do io”
“La grazia che vi chiedo è riavere mio marito
“Oh si, donna Cecilia, che vi farò la grazia
Basta solo che veniate una notte a dormire con me (2)”
“Oh si, signor capitano, lo vado a dire a mio marito
Se lui sarà contento anch’io sarò contenta (3)
Suo marito alla finestra, da lontano l’ha vista venire 
“Che notizie mi portate, Cecilia, che notizie?”
“Per te sono molto buone e per me molto cattive
Insieme al capitano mi tocca dormire”
“Vai pure donna Cecilia, vai pure se lo vuoi
Tu mi salverai la vita e io ti salverò l’onore
Metti il vestito bianco con il grembiule di seta
Ti vedrà così bella che avrà pietà di me”
Viene la mezzanotte e Cecilia da un sospiro
Le sembrava di aver sognato che uccidevano suo marito
“Dormite Cecilia! Dormite e lasciatemi dormire!
Domattina di buon ora vedrete vostro marito”
Viene la mattina e Cecilia si sveglia
Si affaccia alla finestra e vede il marito impiccato (4)
“Villano di un capitano! Voi mi avete tradito!
A me avete rubato l’onore e a mio marito la vita! “
“Tacete, donna Cecilia! Tacete per piacere
Siamo qui tre capitani, prendete quello che volete”
“Io non voglio che da Lione a Parigi corra la notizia
Che ho sposato il boia il boia di mio marito! “
Sono tre gentildame che vengono dal mercato 
Hanno trovato donna Cecilia morta lungo la strada. (5)

NOTE
* http://digilander.libero.it/gianni61dgl/lalionetta.htm
(1) nella novella di Epitia il condannato di nome Claudio aveva violentato una fanciulla. In alcune versioni della ballata l’accusa è di aver ucciso a coltellate un uomo.
(2) nell’Epitia la ragazza risponde “La vita di mio fratello mi è molto cara, ma vie più caro mi è l’onor mio; e più tosto con la perdita della vita cercherei di salvarlo, che con la perdita dell’onore“. Ovvero Castità, purezza, (e fedeltà) sono doti che una donna deve considerare sacre e inviolabili e se usate come merce di scambio portano alla sua rovina. L’intento degli Ecatommiti era dichiaratamente moralistico e al centro del libro sono riportati ben tre dialoghi “Dell’allevare et ammaestrare i figliuoli nella vita civile”
(3) possiamo solo constatare la condizione di soggiogamento della donna  all’arroganza del potere maschile  (ben poca differenza si coglie tra l’opportunismo del capitano e quello del marito).
(4) il capitano è un opportunista o un sadico? Probabilmente se avesse avuto tendenze sadiche avrebbe goduto di più l’atto sessuale con la bella Cecilia se lei lo avesse respinto, piuttosto ha approfittato della situazione per possedere forse colei che già era un oggetto delle sue fantasie sessuali. Sicuramente non era uno dal cuore tenero e men che meno un gentiluomo.
(5) Cecilia è morta probabilmente di crepacuore. Nella Tosca di Puccini, sul dramma di Victorien Sardou che legò il suo successo all’interpretazione di Sarah Bernhardt, Tosca in fuga dai gendarmi si getta nel Tevere, era il 1900 quando andò in scena al Costanzi di Roma. La Tosca eroina che uccide il suo aguzzino, la Cecilia vittima due volte di tradimento (il capitano e il marito)

La versione “Cecilia, bela Cecilia na piura nóit e dì”

La Ciapa Rusa voce Maurizio Martinotti in Aji e safràn
Tendachënt ·
Teresa Viarengo  in una registrazione effettuata il 31 maggio del 1964 da Roberto Leydi e Franco Coggiola nella sua casa di Asti.

Scrive Aversa nelle note: “Una delle più diffuse ballate popolari italiane (dal Piemonte alla Sicilia). La nostra versione è musicalmente divisa in due parti: la prima, eseguita dalla voce di Laura, è tratta da una versione astigiana. La seconda conserva il testo tradizionale su musica di composizione.” La versione astigiana proviene proprio da Teresa Viarengo

La Lionetta in “Il gioco del Diavolo” 1981, pregevole e innovativo gruppo di area torinese del folk-revival.
Bärtavela (voce Betti Zambruno) in “Canté Bergera” 2009

La versione veneta trascritta sempre da Roberto Leydi proviene da Pellestrina (prov Venezia)

Cecilia è nelle carcere   trovare suo marì
Cecilia è nelle carcere   trovare suo marì
Caro marito mio   na cosa t’ò da di
Ghe sé un capitano   che ‘l vol dormir con mi
Dormì dormì Cecilia   salvi la vita a mi
Prepara i linsòi bianchi   e ‘l letto ben fornì
Cos’è la mezzanotte   Cicilia da un sospir
Cara Cicilia cara   che ti sospir  così
Mi sento una smania al petto   mi pare di morir
Cos’è la mezzanotte   Cicilia va al balcon
La vede suo marito   tacato a picolón
Bogia d’un capitano   ti m’à tradìo così
Ti me g’à tolto l’onore   la vita al mio marì.

Sandra Mantovani · Bruno Pianta anche in Servi Baroni e Uomini 1970

Cecilia è in carcere a trovare il marito
Cecilia è in carcere a trovare il marito
“Caro marito mio devo dirti una cosa
c’è un capitano che vuole venire a letto con me”
“Vacci a letto Cecilia che mi salvi la vita,
prepara le lenzuola bianche e ben corredato”
E’ mezzanotte Cecilia sospira
“Cara Cecilia cara perché sospiri così?”
“Mi sento una smania al petto e  mi pare di morire”
E’ la mezzanotte Cecilia va al balcone
e vede suo marito impiccato
“Boia d’un capitano così mi hai tradito!
Mi hai tolto l’onore e la vita a mio marito”

https://bibliolmc.uniroma3.it/index.php/node/3106

Folk revival

Playlist con le interpretazioni di Sara Modigliani, La Piva dal Carner, Caterina Bueno, La Macina, Graziella Di Prospero, Teresa Viarengo, Canzoniere Popolare, Mariuccia Chiriacò
https://www.raiplaysound.it/audio/2019/11/Aspettando-Tosca-La-ballata-di-Cecilia-cf59a524-ef21-4913-a431-6bee3a4b9f59.html

versione emiliana
La povera Cecilia piange il suo marì
gliel’hanno imprigionato per farglielo morir.
“Oh signor capitano la grazia fate a me!”
“La grazia te la faccio, vieni a dormir con me!”
Allora la Cecilia corre alla prigion:
“Marito sei contento s’io vo a dormir con lui?”
“Vai, vai pure Cecilia non star pensar l’onor,
salva la vita mia, levami di prigion.”
A mezzanotte in punto, Cecilia dà un sospir:
“Cosa hai tu Cecilia da non poter dormir?”
“Ho fatto un brutto sogno, ch’è morto mio marì,
se il mio marito è morto, anch’io voglio morir.”
“Dormi, dormi Cecilia, dormi senza un sospir,
che domattina buon’ora il tuo marito è qui.”
Alla mattin buon’ora Cecilia va al balcon,
vede il suo marito col collo a penzolon.
“Addio belli palazzi, addio belle città,
addio visino dorato e chi ti bacerà(1).”
Laggiù al camposanto fioriscono rose e fior,
è il fior della Cecilia ch’è morta per amor.
NOTE
(1) “commiato” alla vita di Cecilia che muore di crepacuore o medita propositi suicidi, in questa versione italianizzata, non è ben chiaro chi pronunci il verso e di chi sia il volto adorato (dorato potrebbe anche significare abbronzato, ma propendo per l’aggiunta della a davanti) è Cecilia che dice addio alla vita e al volto amato del marito

La Piva dal Carner

versione toscana
La povera Cecilia che piange il suo mari’
Gliel’hanno carcerato glielo fanno mori’
Vanne vanne o Cecilia e non pensa’ all’onor
Levami da ste pene levami di prigion.
Senta sor capitano sono venuta a dormi’
Se lei mi fa la grazia salvare il mio mari”
Prendilla la sieda e metteti a sede’
E quando avrò cenato a letto si va assiem
Tavola apparecchiata letto per riposa’
Colle bianca lenzola oh che felicità
A mezzanotte in punto Cecilia da un sospir
Cos’hai cos’hai Cecilia da sospirar cosi’
Ce l’ho la pena in cuore che mi sento mori’
L’ho fatto un brutto sogno l’è morto il mio mari’
Dormi dormi o Cecilia e non pensar cosi’
Che domattina all’alba il tuo marito è qui
Alla mattina all’alba Cecilia va al balcon
Vede il marito morto col capo a ciondolon
Vile d’un capitano tu m’hai saputo tradi’
L’hai tolto a me l’onore la vita al mio mari’
(Zitta zitta o Cecilia e non parla’ cosi’
Principi e cavalieri tutti mariti a te
lo non voglio ne’ prencipi neppure fosse re
Solo il marito mio voleva bene a me)
Addio belli paesi addio addio belle città
Addio casa paterna Cecilia se ne va.

Caterina Bueno


versioni marchigiane La Macina

La povera Cecilia che piange ‘l suo mmarì’
che l’ha messò in prigione lo vole fa morì’
vanne vanne Cecilia vanne dal capita’
se ‘l capitano è bbono ‘na grazia ti farà.
O ssignor’ capitano ‘na grazia chiedo a vvo’
scarcera il mio marido dalla scuré prigiò’.
O ccara mia Cecilia ‘na grazia chiedo a tte
per una notte solo vorrei dormi’ co’ tte.
Appena si fa notte Cecicilia va a ddormi’
co’ le bianche lenzuola co’ i guancialetti fì’.
E ‘n mezzanotte ‘n punto Cecilia da un sospì’
cos’hai cos’hai Cecilia che non me fai dormì’.
Ci agghio ‘na pena al core ci agghio ‘na pena al core
‘narrivà a ddomadì.
Appena si fa giorno Cecilia va in balcò’
trova ‘l marido morto la testa a ppendolò’.
O ssignor capitano m’hai voluto ben tradì’
m’hai llevadò l’onore la vita a’ mmio marì’.
Zzitta zzitta Cecili ci sarò io co’ tte
principi e cavalieri tutti a ffavore a tte.
Non vojo né consorti non vojo né mmarì’
prendo la rocca e ‘l fuso io me ne sto d ame.
Ma con la rocca e ‘l fuso non ce si po’ campà’
non ce si po’ campà’ allora andrò a mmorì’.
Dopo che io sarò mmorta me porti a sseppellì’
a ssan Vittorio Papa dove sta ‘l mio marì’.
E sulla tomba poi ci nascerà un bel fior’(1)
è mmorta la Cecilia morta dal gran’ dolì’
e sulla tomba poi ci nasce un tollipà’.
E’ mmorta la Cecilia a conte capità’
e sulla toma poi ci nasce un gelsomì’
è mmorta la Cecilia morta pel suo mmarì’.
NOTE
(1) innesto del tema fiore di tomba

Gastone Pietrucci & La Macina 2002 in “Aedo malinconico ed ardente. fuoco ed acque di canto”, Volume I, 2002,  – informatrice L. Marinozzi Lattanzi (registrata a Corridonia, AN, nel 1986)

Cecilia in mezzo al mare piange pel suo mmarì
Je l’ha messò in prigione no’ ‘l vole fa’ ssortì’
Senti cara Cecilia vanne dal capita’
Domandaje la grazia vedrai te la farà
Senti sor capitano ‘na grazia vo’ da te
Il mio marì’ ‘n prigione se mme lo fai vede’
Senti cara Cecilia te lo farò vvede’
Ma sse ‘na notte sola vieni a ddormì’ co’ mme
Va’ la o capitano vado da mio marì’
Se se contenta lui io ce potrò vvenì’
Senti marito mia la grazia me la fa
Se per una notte sola dormo sormo co’ il capita’
Vanne vanne Cecilia e bùvanne ben’ puli’
Mette camicia bianga e ‘l busto e ‘l sottanì
Annamo capitano annamoce a dormì’
Le dieci son’ ssonade lenzoli bianchi e llì’
Quando fu mezzanotte Cecili da un sospì’
Cos’hai cos’hai Cecilia che non me fai dormì’
A’ la madina s’alza s’affaccia dal balc’
Vedè il marito morto che stava a ppendolò
Grazie sor capitano m’avete ben’ tradì’
Me llevato l’onore la vita al mio marì’
Non dubita’ Cecilia non dubità di me
Principi e cavalieri tutti a ffavore a te
Io non vojo né principi nemmeno cavali’
Prendo la rocca e ‘l fuso e mme ne sto da me
Quando che ssarò morta me porti a sseppellì’
A ssan Gregorio Papa dovè sta ‘l mio marì’
Sopra di quella tomba ci nascerà un bel fior’
È morta la Cecilia è morta per amor’
Sopra di quella tomba ci nasce un tullipa’(1)
È morta la Cecili è stato ‘l capita’
Sopra di quella tomba ci nascerà un fiori’
È morta la Cecilia morta pel suo mari’.

La Macina · Gang in  “Nel tempo ed oltre, cantando”- informatrice, sempre jesina, G. Formiconi Morselli, 1990

La versione laziale di Gabriella Ferri Cecilia è decisamente femminista, Cecilia si vendica uccidendo il capitano finendo a sua volta in galera


La povera Cecilia j’ha preso er su marito
je l’han messo ‘npriggione, lo vonno fa morì
«Sarve sor capitano ‘na grazia vo’ da te»
«La grazia è beli’e fatta, vienghì a dormi co’ me.»
[«Senti marito mio, cha ha detto er capita
Che una notte sola a dormì co’ lui me vo’»
«Vacce Cecilia vacce, vacce pure a dormì
Nun abbadà all’onore, sarva lo tuo mari’.»
«Vacce Cecilia vacce, vacce pure a dormì
Metti la veste bianca, sappice comparì»]
Quanno che fu alla matina s’affaccia a lu barcone
E vede er su marito che stava a pennolone
«Grazie sor capitano, m’avete ben tradito;
a me tolto l’onore, la vita a mio marito»
«Zitta Cecilia zitta, nun dire male de me,
se nno le carceri scure, io te farò vede.»
«Si si le vojo vedere, si si le vederò.»
Cecilia cava lo spillo, er capitan ammazzò.
Pija la rocca er fuso e mettete a fila’,
la povera Cecilia, ar San Michele va.

Gabriella Ferri e Luisa De Santis

Traduzione italiana Cattia Salto
Alla povera Cecilia hanno incarcerato il marito
l’hanno imprigionato e condannato a morte
«Salve signor capitano una grazia voglio da te»
«La grazia è subito fatta se vieni a letto con me»
[«Senti marito mio, cosa mi ha detto il capitano
che per una sola notte vada a letto con lui»
«Vacci Cecilia vacci pure a letto
non badare all’onore, per salvare tuo marito»
«Vacci Cecilia vacci pure a letto
Metti la veste bianca, mettiti in ghingheri»](1)
Quando venne il mattino s’affaccia al barcone
e vede il marito a penzoloni
«Grazie signor capitano, m’avete tradito per bene;
a me avete tolto l’onore, a mio marito avete tolto la vita »
«Zitta Cecilia zitta, non dire male di me,
altrimenti il gabbio buio, ti farò vedere.»
«Si lo voglio vedere, si, si lo vedrò.»
Cecilia prendo lo stiletto, e ammazza il capitano.
Prendi la rocca e il fuso e mettiti in fila,
la povera Cecilia, al San Michele(2) va.
NOTE
(1) strofe omesse
(2) antico carcere minorile e femminile di Roma sul Tevere

rivisitazione live del duo Le Menestrelle con il finale moderno

La rivisitazione calabrese di Otello Profazio

E la bella Cecilia ha persu lu maritu:
l’hannu misu in prigioni, lu vonnu fucilá.
E si parti Cecilia e va dal capitanu:
“Signuri Capitanu, ‘na grazia m’hai de fa.”
“O mia cara Cecilia, la grazia tua é fatta:
dormi cu me ‘na notti, maritu t’ha libertá”
Quandu era menzanotti Cecilia suspirava.
“Chi n’d’hai bella Cecilia:’sta notti ‘un poi durmi?”
Si alza la Cecilia, s’affaccia a lu barcuni
vidi chi lu maritu é postu a lu tagliuni:
“Signuri capitanu, a me tu m’hai traditu!
L’onuri m’hai levatu, maritu mi ha’ fucilá! “
O mia cara Cecilia non c’esti cchiu chi fari,
ti duneró a ‘nu Conti oppuri n’Imperaturi”
“No, no non voglio Conti e mancu all’ Imperaturi,
vulia lu me’ maritu, chi mi vuliva beni!!”
Chiamau li servituri: “Cacciati a chista fôri:
li vermi si la mangianu, la terra n’é patruna!”
“Signuri sacristanu: portatimi in sepultura,
cu na torcia a li manu, ‘ché l’ura di chiangeri
Supra ‘na petra di marmoru ci lassu ‘na scrittura
ognuno chi passa, leggeri la mia mala sventura
Vi pregu vermi e surici ‘sti carni non tuccati,
‘st’ occhi annarcati niuri, ssi labbra zuccarati…
ca sunnu di Cecilia muglieri sventurata
ca pe’ salva’ ‘u maritu a morte é cundannata.

E la bella Cecilia ha perso il suo marito,
l’hanno messo in prigione e lo vogliono fucilare.
E si parte Cecilia a va dal Capitano:
“Signore Capitano, una grazia mi dovete fare”
“O mia cara Cecilia, la grazia tua é fatta:
dormi con me una notte, ti faccio liberare il marito”
Quando era mezza notte, Cecilia sospirava:
“Cos’hai , cara Cecilia, questa notte non puoi dormire?”
Si alza la Cecilia, si affaccia al balcone
e vede che il marito é stato messo a morte.
“Signore Capitano, mi hai tradito!
Mi hai levato l’onore e mi hai fatto fucilare il marito.”
“O mia cara Cecilia, non c’é piú niente da fare,
ti doneró a un Conte oppure ad un Imperatore.”
“No, no non voglio Conti e neanche Imperatori,
volevo il mio marito, che mi voleva bene!”
Chiamó i servitori: “Cacciatela fuori:
i vermi se la mangiano, la terra ne é padrona!”
Signore sacrestano: portatemi in sepoltura,
con una torcia in mano, ‘ché l’ora di piangere.
Sopra una pietra di marmo lascerò una scritta,
ognuno che passa leggerà la mia cattiva sorte.
Vi prego vermi e topi non toccate queste carni,
questi occhi larghi a mandorla neri, queste labbra dolci…
che sono di Cecilia, moglie sventurata,
che per salvare il marito é stata condannata a morte.”


PAGINA QUADRO https://terreceltiche.altervista.org/gallows-pole-golden-ball/

ultimo aggiornamento marzo 2025

varianti testuali
La bella Cecilia (a cura di Diego Carpitella)
https://bibliolmc.uniroma3.it/index.php/node/3106
http://www.latramontanaperugia.it/articolo.asp?id=3777
http://www.lieder.net/lieder/get_text.html?TextId=87032
l’ascolto e trascrizione della ballata nelle variegate versioni diffuse per il Bel Paese
https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=38960

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Pubblicato da Cattia Salto

Amministratore e folklorista di Terre Celtiche Blog. Ha iniziato a divulgare i suoi studi e ricerche sulla musica, le danze e le tradizioni d'Europa nel web, dapprima in maniera sporadica e poi sempre più sistematicamente sul finire del anni 90

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