Come ben sappiamo nei secoli passati i mezzi erano enormemente più poveri rispetto alle tecnologie attuali, come avrebbe potuto un brano musicale diventare un “tormentone” oltre i confini contenuti di un luogo circoscritto? Eppure uno ci riuscì! Si tratta del tema tradizionale anonimo inglese intitolato “Fortune My Foe” (“Fortune”). Brano di collegamento tra musica rinascimentale e barocca in cui l’Amante si lagna con la Fortuna per averle fatto perdere i favori della sua bella Dama.
Il manoscritto è apparso per la prima volta nella raccolta del Fitzwilliam Virginal Book, contenente brani di John Bull, William Byrd (autore nello specifico di quello di “Fortune”) Orlando Gibbons, Jan Pieterzoon Sweelinck. Col tempo la fama del sonetto “Fortune My Foe” divenne talmente vasta e grandiosa in differenti luoghi, che furono circa centocinquanta le composizioni (a tutt’oggi conosciute) a essere adattate alla sua melodia: dalla “Engelsche Fortuyn” olandese, all’italiana “Fortuna Crudele”. Quest’ultima aria, contenuta nell’opera “Spezza amor, l’arco e li stral” per soprano, oboe, fagotto e basso continuo, viene generalmente attribuita a Agostino Steffani (1655-1728), compositore e vescovo italiano celebre anche in Germania; molti tendono però ad accreditarne la composizione musicale a Alessandro Scarlatti (1660 – 1725).
Pure in campo letterario il tema di “Fortune” ha lasciato molte tracce nel tardo rinascimentale e nell’arte barocca. Ad esempio, nell’opera teatrale pastorale tardo-elisabettiana “The Maid’s Metamorphosis” (La Metamorfosi della Cameriera) (1600), dove il personaggio di Joculo ne canta in apertura. O ancora in “Tom Essence or The Modish Wife” (1677) di Thomas Rawlins dove è Laurence a rivolgersi alla sua dolce metà in questo modo: “…solamente cantare una volta Fortune my Foe e due volte essere ubriaco ti farà uscire dal mio cuore e addio a Vostra Signoria…”.
Il Sonetto a contrasto amoroso..
Si tratta di un sonetto su peccato e pentimento che contiene al suo interno un “lamento” e una “risposta”, un dialogo a contrasto tra virile miseria maschile e forza femminile[1].
E’ un inno all’amore “resistente” (…la fortuna non potrà, con tutto il suo potere e la sua abilità, costringere il mio cuore a pensar male di te…).
I pericoli del peccato e il conseguente bisogno di ravvedersi, come si sa, sono stati sempre temi ricorrenti in innumerevoli situazioni religiose al fine di garantirsi l’immortalità dell’anima. Così come in quelle meditative sulla transitorietà della natura umana e dell’esistenza terrena; alle quali la melodia di “Fortune” offre occasione di messa in guardia contro spergiuri o ingiustizie, citando nelle ballate all’occasione:
– la morte oscura di svariati eminenti giudici e gentiluomini come monito ad amministrare la giustizia in maniera equa.
– l’aspro incontro in sogno di un cadavere e dell’anima immortale che precedentemente lo abitava, con entrambi che si accusano vicendevolmente della dannazione subita dopo la morte.
– un uomo che espresse un’opinione giurando di non mangiare mai più se la sua non si fosse dimostrata verità e morì soffocato giusto al pasto successivo.
– un lamento su come i ricchi vengano meno ai propri caritatevoli doveri verso chi è più povero, sfortunato e sofferente di loro, esortandoli a seguire piuttosto l’esempio di Gesù.
..e le varianti satiriche, storiche, simboliche
Scrittori dell’epoca, consapevoli della vasta e sempre più crescente risonanza della canzone, riscrissero le battute del testo adattandole a circostanze anche a sfondo comico o satirico. Una ballata narra in lettere nere, della storia del tradimento di un gentiluomo medievale, celando abilmente tra le righe una critica all’allora politica parlamentare. Interessanti risultano però soprattutto quelle che trattano argomenti storici, come quella che narra della morte di Re Giovanni avvelenato da un monaco e tra le molte altre, in succinta sintesi:
– la celebrazione delle vittorie di Mountjoy contro il conte di Tyrone e i suoi alleati spagnoli in Irlanda, con ringraziamento a Dio per aver combattuto dalla parte inglese.
– la descrizione della cruenta vicenda dell’eroe di guerra Tito Andronico che una volta tornato a Roma, si trova coinvolto in una faida mortale con la cattiva nuova Imperatrice e i suoi malvagi servitori.
– il racconto della storia di Catesby e dei suoi compagni cospiratori romani che tentarono di far saltare in aria il Re e il Parlamento, durante il regno di Giacomo I.
– il pianto per la morte del terzo figlio di Carlo I, elogiandolo e ricordando a tutti che, anche loro come il Duca, moriranno ed non è molto il tempo per prepararsi all’eternità.
L’atmosfera di miseria trasmessa dalla melodia di “Fortune” oltre all’umorismo oscuro, ben si adattava anche al simbolismo celato da inondazioni, incendi, pestilenze, sempre intesi come avvertimenti divini nei riguardanti di una Inghilterra considerata peccaminosa nei modi. Diverse ballate narrano come ammonimenti, premonizioni, rivelazioni o minacce si nascondano sempre dietro eventi naturali. Vengono portati in scena quindi, l’incendio che quasi distrusse del tutto il London Bridge, il fulmine che provocò un rogo spaventoso a Cork o la città di Wymondham (Sud Norfolk) che si scaglia contro i mendicanti erranti che la incendiarono, causandole catastrofici danni. Il succedersi di questo gran numero di storie, a causa della loro sovente tragicità, mi ha richiamato alla mente l’Antologia di “Spoon River”(1915) del poeta americano Edgar Lee Masters (1868 – 1950)[3] . Questo un elenco di alcune riassuntive narrazioni in canzone sulle vicende di uomini e donne, al ritmo di “Fortune”:
– un generoso contadino vende, subendo il disprezzo di altri ricchi, il suo grano sottoprezzo, per aiutare così i poveri che soffrono; Dio lo ricompenserà con un raccolto eccezionale.
– un umile e sventurato portiere londinese nonostante cada in disgrazia, passando dalla ricchezza alla povertà, si dichiara felice della propria sorte.
– un giovane farmacista promettente e devoto, si imbatte in cattive compagnie e muore attanagliato dal panico a riguardo il futuro della propria anima.
– un uomo del Gloucestershire (sud-ovest inglese), che si presumeva fosse morto per mano di una vedova e dei suoi due figli, riappare improvvisamente, essendo stato invece da lei, stregato e trasportato in modo soprannaturale su un’isola rocciosa al largo la sponda turca.
– una coppia benestante adora la figlia maggiore e al contrario tratta la minore come una serva; la più giovane però, alla morte del padre, salva madre e sorella con gentilezza esemplare quando la famiglia si trova ad attraversare un momento difficile.
– un marito vizioso e lascivo commissiona l’omicidio della moglie preferendo l’amore di una prostituta.
– un giovane gentiluomo uccide lo zio, incolpando del crimine il proprio amorevole e gentile padre ma alla fine si pente.
– un impiegato parrocchiale si prepara con compostezza, pentimento e fede a incontrare il suo Creatore.
– due uomini muoiono entrambi litigando con sfrenatezza e orgoglio per la stessa donna sull’Isola di Wight.
– alcuni soldati di passaggio sventano una violenta rapina in una casa vicino a Winchester anche se, nel corso della quale, svariati membri della famiglia finiranno assassinati.
– un uomo canta addolorato e pronto al suicidio poiché pensa che la sua donna lo abbia abbandonato ma lei risponde, appena in tempo, con un amorevole messaggio di rassicurazione.
– un teologo tedesco si allontana da Cristo e dona l’anima al Diavolo con conseguenze per lui spaventose.
– il tormentato fantasma di un tizio da poco defunto torna a Marlborough per chiedere ai parenti di saldargli un debito monetario e confessa nell’occasione di avere commesso, molti decenni prima, un omicidio.
– una donna, in attesa di venire giustiziata, esprime il suo rimorso per l’omicidio del marito ed esorta le altre donne a imparare dalla sua lezione, a tenere sotto controllo il proprio temperamento.
– una donna rinnega se stessa, affermando di venire inghiottita dalla terra qualora avesse rubato denaro a un ragazzo, e poiché sta mentendo, la terra si apre su di lei e la ghermisce.
– Eulalia Page e il suo amante George Strangwidge spiegano il motivo per il quale hanno assassinato il marito di lei e ora sono in attesa dell’esecuzione capitale.
– una povera vedova prega Dio e diventa miracolosamente in grado di mantenere in vita i suoi sette figli per sette settimane con un unico pezzo di pane, per di più bruciato.
– la signora Arden racconta come uccise il marito per amore di un altro uomo, aiutata da due complici incapaci di nome Shakebag e Black Will.
L’analisi delle numerose traiettorie testuali della melodia di “Fortune” nel corso del XVII secolo, rivela come andarono orientandosi sempre più dal romanticismo amoroso iniziale verso tematiche religiose e morali; William Slatyer (1587 – 1647), uomo di chiesa, arrivò ad adattarne perfino due salmi metrici. Ma quel grande successo si interruppe all’improvviso all’inizio del secolo seguente e da quel momento quasi niente più venne stampato e non si conoscono ulteriori versioni in forma di canti popolari.
Fortune my foe: gallows ballad
Il testo di Fortune oggi più noto ed eseguito, si deve alla trascrizione per liuto di John Dowland (1563 – 1626), la cui stampa, datata un paio di anni dopo la sua morte, viene conservata presso la British Library di Londra. Farà la sua apparizione anche ne “Le Allegre Comari di Windsor” di Shakespeare (pubblicata nel 1602 ma con tutta probabilità scritta nel 1597 o forse addirittura prima). Nell’ atto secondo, scena terza, Falstaff infatti afferma: “Vedo cosa saresti se la Fortuna non fosse tua nemica e la Natura tua amica”.
Come forma poetica il “sonetto” nacque in Italia con Jacopo da Lentini, alla corte di Federico II (XIII secolo) per poi entrare nella poesia volgare toscana (grazie a Petrarca) e quindi divulgarsi fino in Inghilterra (dove però cambiò piano metrico). La “canzone” dal canto suo, per diventare “tradizionale” ha dovuto corrispondere a necessità popolari comuni, la gente antica aveva bisogno di immedesimarsi o perlomeno di trovarvi all’interno, situazioni riconoscibili o conosciute, bisogni reali, che fossero propri o altrui. Solo in questi casi ha desiderato trasmetterla (oralmente) di generazione in generazione e lo stesso è avvenuto con i balli. Un tempo nulla di ciò che veniva creato risultava inutile alle popolazioni rurali, anche sul piano “artistico”. Questo è il criterio dei tempi e delle accettazioni di un’opera realmente popolare, indipendentemente dalla valutazione posteriore e intellettuale del livello artistico della stessa. Il numero di testi, dalle grandi diversità tra loro per argomenti e località, composti sulla melodia di “Fortune” testimoniano di pagine che hanno indubbiamente arricchito il contenuto della sua memoria nel corso dei secoli.
Folk revival della melodia
Tra le poche interpretazioni musicate non medioevali ma legate al mondo folk, mi è particolarmente cara quella contemporaneo-blues del flautista bretone Jean-Pol Huellou che apre il suo disco “Lost Agenda” (2017). Con Gilles Le Bigot alla chitarra, Manuel Marchès al basso acustico, JC Normant alle tastiere, oltre al titolare a voce e recorder. Il brano inizia con una piccola introduzione al cimbalon (salterio ungherese) di Tibor Gunàr (1953 – 2011), grande virtuoso rom dello strumento, incontrato durante le registrazioni a Praga. Huellou, suonatore anche di whistle e pipes dalla Bretagna si stabilì in Irlanda nel 1976 dove ha partecipato al gruppo Elixir e a vari progetti di David Hopkins. E’ stato a lungo l’accompagnatore preferito di Myrdhin (ha fatto anche parte per anni dell’organico di An Delen Dir), incidendo con gruppi bretoni storici quali Sked, Ar Skrilhed, Skolvan e Barzaz e con solisti come Mikael Skouarneg. E’ figlio del compianto Paul Huellou (1926 – 2017), a sua volta cantante tradizionale, autore di un rimarchevole disco in dialetto bretone molto fine, dal titolo “Kanaouennou Breiz-Izel” (Canzoni di Bassa- Bretagna) verso la fine degli anni ‘70, presso la storica etichetta “Velia” di Guingamp. Huellou-figlio, appassionato cultore della musica irlandese, apprese la canzone “Fortune My Foe” durante una tournée con il cantautore bretone Serge Kerguiduff (1943 – 2016) in Inghilterra, Galles e Irlanda, nella quale il duo interpretava il brano dal vivo con liuto e flauto barocco.
Una cronaca di metà ‘600 descrive suonatori di cornamusa irlandesi accompagnare al suono di “Fortune My Foe”, l’esercito di Lord Inchiquin alla volta di Naas. L’elenco è comunque lungo delle ballate folk irlandesi che hanno pescato a piene mani da questa melodia come descrive il Cavaliere William Henry Grattan Flood (1857 – 1928).
Il testo del sonetto[2] invece nel suo insieme, narra di una situazione similare a quella della celebre “Ballata degli Impiccati” di Villon (rielaborata in italiano anche da Fabrizio De André in “Tutti Morimmo A Stento”), anche se nell’occasione discografica di Jean-Pol Huellou vengono cantate unicamente le prime due lamentose quartine dalle quali l’ambientazione estrema non fa a tempo ad emergere:
Pol Huellou version:
Fortune my foe, why dost thou frown on me?
And will my favours never greater be?
Wilt thou I say, for ever breed my pain?
And wilt thou never restore my joys again?
Fortune hath wrought my grief & great annoy
Fortune hath falsly stoln my love away
My love and joy, whose sight did make me glad
Such great misfortunes never young man had
Owain Phyfe version
Fortune my foe, why dost thou frown on me?
And will thy favours ever better be?
Wilt thou, I say, for ever breed my pain?
And wilt thou not restore my joys again?
In vain I sigh, in vain I wail and weep
In vain my eyes refrain from quiet sleep;
In vain I shed my tears both night and day;
In vain my love my sorrows to bewray.
Then will I place my love in Fortunes hands,
My dearest love, in most unconstant bands,
And only serve the sorrow due to me:
Sorrow, hereafter thou shalt my Mistress be
Fortuna mia nemica, perché il tuo cipiglio verso me?
E i favori per me, non saranno mai più grandi?
Vuoi dire che mi destinerai sempre dolore?
E non mi renderai mai più le gioie?
La fortuna ha causato il mio dolore e gran fastidio
La fortuna mi ha ingiustamente portato via l’amore
Il mio amore e la mia gioia, la cui vista mi rendeva felice
Mai un giovane ebbe disgrazie talmente grandi
(trad. Flavio Poltronieri)
La ballade des pendus– Ballata degli Impiccati
[1] https://www.100ballads.org/show/37
https://ebba.english.ucsb.edu/ballad/37470/xml
https://mudcat.org/@displaysong.cfm?SongID=2092 (Fitzwilliam Virginal Book (ca 1550-1620)
[2] https://omeka.cloud.unimelb.edu.au/execution-ballads/items/show/1134
https://www.tesionline.it/tesi/mediazione-linguistica-e-culturale/fortune-my-foe-tradurre-la-poesia-e-la-canzone/54258
https://www.jiosaavn.com/lyrics/fortune-my-foe-lyrics/NxsoXxVvQkQ
[3] Dietro a “Non al denaro, non all’amore né al cielo” di Fabrizio De André
“Questo disco di De André è letteratura musicale originata da una geniale idea dello scrittore libertario/antiborghese Edgar Lee Masters (Garnett, 23 agosto 1868 – Melrose Park, 5 marzo 1950). Il titolo riassume in frase lapidaria (citazione tratta da “La Collina” in riferimento al Suonatore Jones), la sintesi programmatica e poetica di questo viaggio di cultura partito dalla realtà americana dei primi decenni del ‘900 e arrivato alla nostra, passando attraverso narrazione e lirica.” https://www.blogfoolk.com/2024/06/dietro-non-al-denaro-non-allamore-ne-al.html