Carnevale, celebrazione universale dell’inversione dei ruoli, quest’anno inizia il 16 febbraio e termina il 2 marzo (il 27 febbraio si festeggia il Giovedì grasso, Martedì Grasso è il 4 marzo mentre il 5 marzo cade il Mercoledì delle Ceneri)
Carnevale occitano
La canzone della Contea di Nizza “Adieu Paure Carnavas” è posta a conclusione degli annuali festeggiamenti nel crogiolo culturale mediterraneo del Carnevale Marsigliese. Questo Cantone (Quercy-Rouergue) è una divisione amministrativa dell’arrondissement di Montauban, Occitania, antica provincia della Francia meridionale compresa quasi tutta nell’attuale dipartimento del Lot e in parte minore in quello di Tarm-et-Garonne. Ha territorio formato di “causses”, altipiani calcarei del Giurassico, a superficie ciottolosa, permeabile, arida, incisa da vallate profonde fino a centocinquanta metri e a pendii scoscesi, che poi si attenuano verso l’Aquitania. Ma l’Occitania è anche molto altro, è territorio trans-nazionale, comprende una vasta area che non corrisponde solamente a buona parte al Midi francese (32 dipartimenti) ma anche a 14 valli e 120 comuni delle province di Cuneo, Torino e Imperia, senza dimenticare la Val d’Aran nei Pirenei spagnoli. L’Occitania non è uno Stato, né mai lo è stato storicamente, ma rappresenta milioni di abitanti di uno spazio culturale e linguistico che da oltre mille anni ha come denominatore comune la propria lingua romanza.
Savina Yannatou interpreta (con la Primavera En Salonico in “Terra Nostra” – 2001) questa melodia notoriamente attribuita a Giovanni Battista Draghi, detto Pergolesi (1710 – 1736) e diffusa in tutta l’Occitania, dopo essere stata introdotta in Francia da Égide Joseph Ignace Antoine Albanese (1729/1731-1800). Il cantante lirico italo-francese, castrato di Albano, potrebbe essere il suo reale compositore. Non è da escludere che il testo possieda un doppio senso che sottintende la disfatta di Napoleone. Il brano è stato in varie occasioni utilizzato, ad esempio per l’inno di Fénelon “Au sang qu’un Dieu va répandre” (Nel sangue che un Dio verserà), cantato sulla medesima musica. La scrittura del testo sacro da parte di François de Salignac de La Mothe-Fénelon (1651 – 1715), Arcivescovo di Cambrai (“Al sangue che un Dio verserà, ah! almeno mescola le tue lacrime…”) venne adattata alla fine del XVIII secolo alla melodia profana di Pergolesi (con tutta probabilità dai Sulpiziani, Membri della Compagnia dei preti di S. Sulpizio, sorti a Parigi nel 1642) in quel periodo molto in voga. In seguito però il musicologo francese Amédée Gastoué preferirà abbinare una musica più consona allo spirito del canto ecclesiastico tradizionale e in questa nuova veste (più gioiosa) viene ancora proposta oggi a Sain-Eugène durante la Passione di Gesù Cristo.
Lo si ritrova ugualmente in Bretagna sotto il titolo “O soñjal en hon pec‘hejoù”. Alla fine del XVIII secolo la melodia venne utilizzata per la nuova canzone “Que Ne Suis Je La Fougère” (“perché non sono la felce dove, a conclusione della giornata, si riposa la mia bella pastorella?…l’aria che respira la sua bocca? il fiore che nasce sotto i suoi piedi?…cosa non posso attraverso un sogno, con le bugie?…vorrei essere qualunque cosa piaccia ai suoi occhi”) e subì numerose variazioni da parte di altri compositori e in altre numerose lingue oltre all’occitano (araba: “وا حبيبي Wa Habibi”, greca: “Μάνα μου μάνα Mana mou mana”, catalana: “La dama de Mallorca”…) per finire, in epoca più recente, inserita in una celebre serie televisiva francese per l’infanzia dal titolo “Bonne Nuit Les Petits”.
Adieu paure carnavas
Adieu ta belle jeunesse
Allez, tu t’es bien amusé
Tu as dilapidé tes biens
Maintenant tu vas le regretter
S’il est vrai que tu as fait ripaille
Que tu as dansé dans des palais
Allez, reste nu sur la paille
Et bourré de foin comme un âne
Adieu pauvre, adieu pauvre
Adieu pauvre Carnaval
Tu t’en vas et je m’en reviens
Adieu pauvre Carnaval
Tchi ri tchi tchi tchitchi tchitchi
Ecoute bien, l’ami Jacques
Tchi ri tchi tchi tchitchi tchitchi
Écoute bien ce que je te dis
Adieu, toi qui te la coulais douce
Toi qui t’es vu adulé
Adieu l’argent que tu jetais par les fenêtres
Maintenant la roue a tourné
Il te faut changer de train de vie
Et si tu ne veux pas en pâtir
Pour te punir de tes crimes
Vermine, on va t’achever!
Adieu pauvre, adieu pauvre
Adieu pauvre Carnaval
Tu t’en vas et je m’en reviens
Adieu pauvre Carnaval
Tchi ri tchi tchi tchitchi tchitchi
Ecoute bien, l’ami Jacques
Tchi ri tchi tchi tchitchi tchitchi
Écoute bien ce que je te dis
Adieu vieux père pervers
Le carême est arrivé
C’est le jour de la justice
Adieu à toi qui vas crever
Tout le peuple te salue
Lui revient, et toi, tu t’en vas
Ta dernière heure est venue
Adieu pauvre Carnaval
Adieu pauvre, adieu pauvre
Adieu pauvre Carnaval
Tu t’en vas et je m’en reviens
Adieu pauvre Carnaval
Tchi ri tchi tchi tchitchi tchitchi
Ecoute bien, l’ami Jacques
Tchi ri tchi tchi tchitchi tchitchi
Écoute bien ce que je te dis
Traduzione italiana Flavio Poltronieri
Addio povero carnevale
Addio alla tua bella giovinezza
Dai, ti sei divertito
Hai sprecato i tuoi averi
Ora te ne pentirai
Se è vero che hai fatto festa
Che hai ballato nei palazzi
Dai, resta nudo sulla paglia
E imbottito di fieno come un asino
Addio povero, addio povero
Addio povero Carnevale
Tu vai via e io tornerò
Addio povero Carnevale
Tchi ri tchi tchi tchitchi tchitchi
Ascolta attentamente, amico Jacques
Tchi ri tchi tchi tchitchi tchitchi
Ascolta attentamente quello che ti dico
Addio, tu che te la sei presa comoda
Tu che ti vedevi adorato
Addio ai soldi che gettavi dalla finestra
Ora la ruota è girata
Devi cambiare il tuo stile di vita
E se non vuoi soffrirne
Per punirti dei tuoi crimini
Vermin, ti finiremo!
Addio povero, addio povero
Addio povero Carnevale
Tu vai via e io tornerò
Addio povero Carnevale
Tchi ri tchi tchi tchitchi tchitchi
Ascolta attentamente, amico Jacques
Tchi ri tchi tchi tchitchi tchitchi
Ascolta attentamente quello che ti dico
Addio vecchio padre pervertito
La Quaresima è arrivata
È il giorno della giustizia
Addio a te che morirai
Tutto il popolo ti saluta
Lui torna e tu vai via
La tua ultima ora è arrivata
Addio povero Carnevale
Addio povero, addio povero
Addio povero Carnevale
Tu vai via e io tornerò
Addio povero Carnevale
Tchi ri tchi tchi tchitchi tchitchi
Ascolta attentamente, amico Jacques
Tchi ri tchi tchi tchitchi tchitchi
Ascolta attentamente quello che ti dico.
Una preziosa versione che unisce il canto arabo “Wa Habibi” ad “Adiéu Paure Carnavau” si ritrova in “Marions Les Roses” (2005) del trio femminile Les Fin’Amoureuses (Emmanuelle Drouet – canto, Nannette Van Zanten – canto, viella, viola, Nathalie Waller – canto, viella, viola, dilruba)
Mardi Gras in Louisiana
La celebrazione collettiva del Mardi Gras ha viaggiato grazie ai primi coloni francesi, fino a giungere in Louisiana (il primo documento alle foci del Mississippi risale al 3 Marzo 1699 come parte della pratica cattolica) ed è stata istituzionalizzata come festa nel 1875. La melodia popolare transalpina ha subito profonde mutazioni musicali e linguistiche nel tempo e nello spazio, il Martedì Grasso in Louisiana è in totale contrasto con le sfilate del carnevale urbano, le comunità rurali francofone perpetuano nei giorni che precedono la Quaresima, una festa d’accattonaggio sfrenato di villaggio in villaggio con corredo di maschere e travestimenti provenienti direttamente dalle tradizioni cattoliche della Francia medievale.
La prima versione discografica registrata su vinile in Louisiana, proveniva dai fratelli Balfa (con Nathan Abshire) negli anni ‘60 ma nel Canada francofono il cantante pop Pierre Kwenders l’ha incisa (nel 2017) in “lingala” (o mangala), la lingua bantu parlata nella Repubblica Democratica del Congo “il Mardi Gras arriva dall’Inghilterra gira, gira intorno, il Mardi Gras arriva da ogni dove, una volta all’anno, chiedendo la carità anche se si tratta di una patata, una patata o dei ciccioli…il Mardi Gras è un grande viaggio anche se si tratta di una gallina magra o di tre o quattro pannocchie di cotone…”
Come per molti altri “riti di passaggio” tradizionali che marcano le tappe fondamentali della vita degli individui dalla nascita alla morte, ci sono ovunque e sempre canzoni rappresentative o simboliche di ciascun evento. Ovviamente il Martedì Grasso è stato proposto anche nel mondo del revival folk francese: “…Martedì Grasso aveva scarpe di carta per danzare…maglia di carta…capelli di carta…cappello di carta…era un buonuomo di carta…per bruciare. Martedì Grasso, troppo velocemente te ne vai!” cantava il compianto Marc Robine nel suo “Le Temps Des Cerises” (1995), ripresa poi nell’Anthologie De La Chanson Française, oppure dal vivo con tanto di costumi d’epoca, assieme al rinascimentale Ensemble Pastourel
Tra le innumerevoli canzoni dedicate all’argomento, un aspetto cantautorale intimo, raccolto e sofferente che il Carnevale ispira, sintetizzato in questo personale excursus con salti stilistici, temporali e geografici, che dal sud Italia finisce nel revival folk inglese.
Il Carnevale di Matteo Salvatore
Matteo Salvatore ( https://www.blogfoolk.com/2018/05/matteo-salvatore-i-suoi-canti-le-sue.html ) l’ammaliatore della campagna desolata pugliese trasformato per fame da angelo in lupo, lo sbalorditivo cantastorie dialettale dall’inimitabile falsetto, il più geniale, lazzarone, sregolato. L’unico assassino che la canzone d’autore italiana ricordi, ha cantato anche il Carnevale, non solo il blues dei braccianti agricoli vessati da soprastanti e latifondisti, che più d’ogni altra cosa rappresentava la sua intima storia personale. Andrebbe fatto ascoltare nelle scuole, l’intero suo “Lamento Dei Mendicanti” che si leva direttamente dalle viscere di una terra arcaica, spesso dimenticata dalla storia dei libri e che inizia addirittura con le tre angosciose note dissonanti che solamente il diavolo in persona poteva conoscere. Non certo il semi-analfabeta che era lui, cantautore ignorante prima dell’arrivo sulla scena italiana dei cantautori colti. Già dal Medioevo le orecchie degli uditori atterrivano nell’udire quel “diabolus in musica”. Il suo cofanetto “Quattro Stagioni Del Gargano” è geografia dalle radici profonde, storia di lotta e riscatto intrecciata con quella di terra e gente. Sono semplici voce e chitarra, non ritmi trascinanti a cui tutti poi ricorreranno per evocare la forza primordiale della tradizione. I silenzi di Matteo scandiscono il battito di una terra che viveva da secoli uno stato di precarietà ma ch’è resistita nel tempo, la sua “semplicità” non è per niente “facilità”. All’interno di quelle Quattro Stagioni, così lontane dalle pagine vivaldiane (che probabilmente neppure conosceva) ha interpretato anche il proprio Carnevale popolare.
Quello meridionale di un’altra epoca, che era fantoccio di paglia, abbondanti piatti di maccheroni al sugo di carne e cento fiaschi di vino di cui uno se lo stringeva orgoglioso e soddisfatto tra le mani. Alla mezzanotte in punto del Martedì Grasso per aver troppo mangiato e troppo bevuto, “Carnuele”, satollo, pipa in bocca, pentola come cappello, stramazza morto al suolo e l’intera popolazione lo dà alle fiamme, ballando intorno al rogo. E’ questo il suo girotondo d’addio “…oi carnuiele te ne sei andato dentro a li nuvole tu sei sparito…” Già l’autore latino Macrobio (proprio quello della strada romana di Piero Ciampi) aveva ambientato la sua opera “Saturnalia” in una cornice molto vicina al Carnevale ma l’effimero Carnuele di Matteo non dura che lo spazio di un attimo. Intravede già arrivare in lontananza il Martedì della fine e della sparizione dalla scena del suo pupazzo simbolo di sogno, utopia, gioia e liberazione.
I travestimenti tradizionali, nel loro cinico romanticismo, sono sempre di breve durata, si dissolvono al vento assieme alle ceneri incendiate nella piazza di ogni paese, non rimane forse che il sapore allegorico della perdita, della speranza di redenzione. Si riemerge dalle difficoltà e ci si scopre interi solo nel momento in cui si capisce che non è possibile essere altro da sé.
My Name Is Carnival
La canzone “My Name Is Carnival” dello sventurato cantautore americano trapiantato a Londra, Jackson C. Frank ( https://www.blogfoolk.com/2024/08/jim-abbott-jackson-c-frank-la-luce.html) disegna un’immagine vivida del Carnevale e dei consueti elementi associati: luci, colori sfavillanti, suoni forti, giostre, risate. Il testo ce lo suggerisce come precisa metafora della vita stessa, con alti e bassi, momenti preziosi e di dolore, svolte inaspettate “…ecco il mio nome: Carnival…l’ombra giace e aspetta fuori dai tuoi cancelli di ferro…i colori cadono, ruota e chiama…”. Apparirà nel suo unico disco del 1965.
Dopo averlo costantemente proposto dal vivo per decine di anni e migliaia di concerti, il compianto Maestro Bert Jansch aprirà con questa canzone, trentatré anni dopo, il suo cd “Toy Balloon”.
Anche l’irrequieta Sandy Denny (che di Jackson C. fu per un breve periodo, la fidanzata), titolerà “Carnival” una sua composizione (in “Like An Old Fashioned Waltz” 1974): “L’estate sta scappando e il carnevale è passato, il sole aspetta un’altra giornata di sole, i cavalloni sussurrano alle conchiglie a riva e ascoltano i gabbiani strillare sempre più…distante nel blu dei cieli e sopra gli alberi come il carnevale che vola sulle ali della brezza…”