Angèle Vannier: Sono nata dal mare e non lo sapevo

Angèle Vannier ( Angèle Marie Thérèse Vannier Saint-Servan, 12 Agosto 1917 – 2 Dicembre 1980) divenne cieca all’età di 21 anni, quando scoprì il linguaggio poetico

“Quercia che mangi la terra bevendo la pace del cielo, la tua ombra è così leggera sulle mie labbra senza sonno…”

Angèle Vannier
Angèle Vannier

Angèle Vannier  fu una vera fonte d’ispirazione per Myrdhin e determinante per la presa di coscienza delle proprie radici profonde, operata dall’arpista.
Lui spesso l’accompagnò nelle recite a Rennes, Ankara, Berlino e in Svizzera e ne musicò diversi testi, fino al CD “Que veux-tu Broceliande?” interamente costituito delle liriche di Angèle.

“….la marea dell’equinozio ha superato i suoi diritti per entrare nella mia città e attraverso tutte le porte, io e i miei fantasmi ci lasciamo morire senza accusare tre volte l’enigma della luna, ci lasciamo annegare da questa canzone di chi non conosce più il nome del suo desiderio…”

Angèle Vannier scoprì il linguaggio poetico (“Ho preso la notte come un battello prende il mare”) grazie a Théophile Briant, uno degli ultimi poeti o bardi dell’epoca. Misteriosamente, dall’età di sette mesi agli otto anni era stata presa in consegna ed allevata unicamente dalla nonna materna, prima di riunirsi alla sua numerosa famiglia. Crebbe in un’atmosfera ovattata, circondata da donne austere e da racconti e recite su Vivina, Merlino, Morgana e Lancillotto.

“….l’amore per ciò che non conosco vuole rimettermi al mondo…”

A seguito della sua terribile menomazione fisica, Angèle Vannier abbandonò tutto e si ritirò per un anno intero a Châtelet e in quella campagna, che aveva conosciuto bambina, oltre che nella vicina foresta di Villecartier, cercò gli odori e i fruscii per rinascere con gli unici occhi che le rimanevano: quelli interiori. Poi, grazie a Briant iniziò a pubblicare sulla rivista di poesia Le Goéland e nel 1947 uscirà la sua prima raccolta “Les songes de la lumière et de la brume” e tre anni dopo, la seconda “L’arbre à feu”, addirittura con la prefazione di Paul Eluard.

“Nella mia vita non ho mai visto
un viso più bello della sua voce
un più bel viso messo a nudo
dal silenzio delle mie dita
Sento suonare la campana rossa
la cui ombra sanguina sulla terra
la campana che sposa gli dèi
il frutto che si mangia con gli occhi”

Dopo il suo ritorno a Rennes, in compagnia di Per Jakez Hélias, una delle sue poesie “Chevalier de Paris” (1950) fu musicata dal compositore Philippe Bloch (Philippe-Gérard) e portata al successo dall’interpretazione di famosissimi personaggi della canzone, quali Edith Piaf, Yves Montand e Catherine Sauvage in Francia, Marlène Dietrich in Germania (titolo: “Wenn Die Welt War Jung”), Frank Sinatra, Bing Crosby e Nat King Cole in America (titolo: “ When The World Was Young”). Per dovere di cronaca va detto però che le varie traduzioni stravolsero completamente l’originale.

A quelli che non si interrogano più, la risposta è già stata data” diceva Angèle.

Una risposta dettata dalla ragione, evidentemente. L’incontro con Myrdhin agli inizi degli anni ’70 produsse armonie poetiche e parole d’arpa. Fu la conferma della vera destinazione orale della sua poetica e della geografia fisica celtica di cui essa grondava. L’essenza della comunicazione profonda tra musica e poesia formò una sorta di liturgia, la forza interiore e la vivacità del suo sguardo cieco unita alle dita di Myrdhin produssero “un piacere isoscele”.

“Cosa vuoi, Brocéliande, con i tuoi grandi occhi verdi, che fanno giocare il sangue, che fanno giocare i nervi, nei tempi in cui ci troviamo navighiamo ancora e prendiamo in parola la tua leggenda e i tuoi accordi, cosa vuoi? Noi scaviamo il nostro letto nella tua vecchia memoria ma tu distogli il tuo profilo dalla nostra storia prendendo e riprendendo le nostre ombre nelle tue trappole….”

Un dio rosso attraversa tutta la poesia di Angèle Vannier, anche oggi che lei abita le notti proseguendo instancabilmente nella mitologia e “nelle Rovine Armoricane” che fa rivivere con la sensibilità delle sue liriche: “Mi sono esiliata nel granello di pietra e me ne ritorno al gusto del sonno minerale, non atto di morte, né ritorno all’indietro, esploro senza rabbrividire la memoria del sangue per trovare le pieghe del primo movimento e la lingua interdetta alle favole degli amanti. Ho lacerato il mio nome e tutte le sue immagini, tornerò presto per un altro sentiero, con un altro cuore, con un altro corpo, con un altro canto per il mio diario di bordo, tornerò presto per un altro sentiero con un’altra carta incisa nella mano”.

In Bretagna oggi, strade, biblioteche e scuole portano il suo nome, in molte città, borghi e villaggi.

“Sono nata dal mare e non lo sapevo, troppi papaveri hanno macchiato i miei piedi nudi…”

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Pubblicato da Flavio Poltronieri

Etnomusicologo. Autore e traduttore di canzoni. Ha pubblicato su riviste di avanguardia musicale in Italia/Francia/Germania. Fa parte della redazione giornalistica di Blogfoolk, Lineatrad e leonardcohenfiles.com

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